La fine misteriosa di Paolo Ungari: un “cold case” tra diritti umani, silenzi e ombre
Roma, settembre 1999. Un pomeriggio qualunque si trasforma in tragedia. Paolo Ungari, accademico, esperto internazionale per i diritti umani, figura politica universalmente rispettata, esce dall’appartamento dell’onorevole Pasquale Bandiera, in Piazza dell’Ara Coeli. Sparito, nessuna traccia. Tre giorni dopo, il suo corpo senza vita viene rinvenuto nella tromba dell’ascensore del palazzo. È questo l’inizio di un mistero che ha continuato a far discutere – implicazioni politiche, voci, sospetti, ma anche una ricostruzione giudiziaria che archivia come incidente.
Un uomo scomodo
Nasce a Milano il 25 maggio 1933. Si laurea in Giurisprudenza all’Università di Roma nel 1957, con successivi approfondimenti in storia e sociologia.
Paolo Ungari è stato professore ordinario di Storia del diritto italiano e di diritti Umani presso la facoltà di Scienze Politiche dell’Università Luiss Guido Carli, dove fu anche vicepreside dal 1981 al 1986 e dal 1986 al 1992 preside. Qui fondò il Centro di ricerca e di studio sui diritti dell’uomo.
Fu direttore dell’Istituto di studi storico-politici, nonché dell’Osservatorio sull’editoria del Centro di Ricerca per il Diritto d’Impresa (CERADI) della LUISS.
Componente del Consiglio direttivo della Scuola superiore del Ministero dell’Interno e di quello della Commissione nazionale italiana per l’Unesco.
Presidente dell’unica Commissione per i Diritti Umani della presidenza del Consiglio in Italia e della Commissione contro l’antisemitismo e la xenofobia del Consiglio d’Europa.

Fortemente attivo anche nel campo dei diritti umani, come componente e poi presidente della Commissione per i Diritti Umani presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nel privato vive una vita intellettuale intensa, impegnata, orientata verso la libertà, la tutela dei diritti, la ricerca storica e giuridica.
La sua attività non era solo accademica: si spese per i diritti dei rifugiati, per la protezione dei dissidenti iraniani in Italia, e fu vicino alla comunità curda. Senza contare il suo impegno in tutto il mondo contro la pena di morte.
Il suo coinvolgimento nella Massoneria
Paolo Ungari viene iniziato alla Massoneria il 16 maggio 1978, nella Loggia Pisacane di Ponza-Hod (Loggia n. 160, del Grande Oriente d’Italia, con sede a Roma). Successivamente, nel 1987, diventa Maestro Venerabile della sua loggia.
Ungari interpretava la Massoneria non come un’anonima ossessione per il potere, ma come uno spazio per la difesa della libertà individuale, della dignità, dei diritti umani. Nella Massoneria vedeva un’eredità storica che aveva svolto ruolo nella Resistenza, nell’esilio, nella lotta per la libertà nel secolo XX, specie nei regimi autoritari.
Credeva che l’impegno massonico si dovesse proiettare nella vita civile: nel diritto, nella politica, nella formazione culturale. Il suo insegnamento universitario, le sue opere giuridiche e storiche, riflettono questa visione: libertà, democrazia, tutela dei più deboli.
Alcuni autorevoli esponenti della Massoneria sostengono che fosse, in pectore, il candidato designato unico nelle elezioni per la nomina a Gran Maestro del Goi (Grande Oriente d’Italia).
Dopo la sua morte, gli viene conferito nel 2001, alla memoria, il titolo di Gran Maestro Onorario del Grande Oriente d’Italia, e la Biblioteca della Villa del Vascello viene intitolata a lui.
Sulla sua lapide, in linea con la sua idea profonda dell’umano percorso di vita, solo una definizione: Maestro Massone.
Il ruolo nella legge Spadolini-Anselmi e le controversie
Uno dei punti più discussi del suo impegno massonico riguarda il coinvolgimento nella stesura della legge 17 gennaio 1982, n. 17 (nota come legge Spadolini-Anselmi), che regolamenta le associazioni segrete e massoniche, imponendo obblighi di trasparenza e vietando le logge occulte. Ungari ha operato come tecnico nella predisposizione del testo di quella legge.
È emersa una dichiarazione attribuitagli che attestava che, nella sua valutazione, la legge — pur essendo intesa per vietare le logge coperte — conteneva elementi che potevano paradossalmente tutelarle. In particolare, l’articolo 1 della legge ha una prima parte che definisce come vietate le associazioni segrete che occultano la propria esistenza o le finalità, e una seconda parte che condanna attività solo se tramano contro lo Stato.

Ungari, secondo alcune testimonianze, avrebbe confidato che quella “insidiosa perfezione” del testo fosse tale da renderla meno efficace contro le logge veramente occulte. Queste affermazioni sono state oggetto di dibattito: critici e analisti hanno chiesto se la norma abbia davvero funzionato come da intenzione, e se Ungari abbia valutato correttamente le conseguenze normative.
L’amicizia con Mohammed Hossein Naghdi
Uomo di legge e libertà, ma anche di frontiera, si muoveva in un terreno dove i diritti si intrecciavano con la geopolitica e con rapporti di potere difficili da gestire. Una parte importante della vita pubblica di Ungari ruota attorno al rapporto con la Resistenza iraniana, in particolare con Mohammad Hossein “Mohammed Hossein Naqdi/Naghdi”, oppositore del regime degli ayatollah.

Naghdi fu incaricato d’affari dell’ambasciata iraniana a Roma, ma nel 1982 ruppe con il regime e nel 1984 divenne rappresentante in Italia del Consiglio Nazionale della Resistenza Iraniana (CNRI).
Il suo impegno politico e internazionale attirò attenzioni oscure: il 16 marzo 1993 fu assassinato in Roma, da uomini in motocicletta. Le indagini puntarono all’intelligence iraniana. Analisi, inchieste, richieste di rinvio a giudizio, testimonianze che collegano il regime di Teheran alle minacce ricevute da Naghdi giorni prima.
Ungari lo stimava, lo considerava non solo un amico, ma una figura cruciale nella mobilitazione della coscienza internazionale e italiana verso i diritti umani in contesti repressivi. Questa relazione lo avrebbe esposto – almeno a livello simbolico – a tensioni, visto che Naghdi era odiato dal regime iraniano e la sua eliminazione aveva anche forti implicazioni diplomatiche.

Per una di quelle casualità che a volte sanno tanto di mistero, a pochi passi dalla tomba di Paolo Ungari giace proprio l’indimenticato amico Mohammed Hossein Naghdi.
I fatti: la scomparsa e la scoperta
Secondo le ricostruzioni:
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Il 3 settembre 1999, Ungari si reca presso l’appartamento dell’on. Pasquale Bandiera in Piazza dell’Ara Coeli, dove lo si vede uscire nel tardo pomeriggio.
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Non torna a casa. La famiglia, preoccupata, denuncia la sua scomparsa. Nei giorni successivi si ipotizzano molte piste: un incidente, un malore, un rapimento, persino ipotesi più oscure legate alla sua attività politica. La massoneria stessa e la sua appartenenza, è evocata da alcuni ambienti nei dibattiti giornalistici come motivo di complotto.
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Il 6 settembre un tecnico chiamato per un guasto all’ascensore del palazzo scopre il corpo di Ungari nella tromba dell’ascensore, al seminterrato.
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L’altezza della caduta: da circa il terzo piano – quasi 15 metri – un “volo” che lascia poche speranze.
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Le pareti e l’interno della tromba presentano macchie di sangue: si pensa che Ungari non sia morto immediatamente, ma abbia tentato di rialzarsi.
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Durante i giorni in cui si ignorava la sua sorte, l’ascensore continuava ad essere utilizzato dai condomini. Nessuno sembra aver segnalato rumori, grida oppure allarme.
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Neppure il deputato Bandiera riportò di aver sentito qualcosa di irregolare al momento dell’uscita.
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L’unica traccia significativa fu la sua cartella dimenticata nel pianerottolo del terzo piano: pensata inizialmente come dimenticanza, presa in casa dall’onorevole Bandiera e solo dopo restituita all’Autorità giudiziaria.
- Al pianerottolo del primo piano venne rinvenuto anche il pacco/regalo che Paolo Ungari avrebbe voluto consegnare alla figlia Fabia, prossima al matrimonio.
L’inchiesta, le conclusioni ufficiali, le ombre che restano
Le autorità competenti aprono indagini. Alcuni punti emergono:
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L’impianto dell’ascensore era difettoso. Ci sono testimonianze e riscontri tecnici che l’ascensore non funzionava correttamente, che c’erano segnalazioni da parte dei condomini.
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La dinamica più accreditata è quella dell’incidente: Ungari avrebbe aperto la porta dell’ascensore (non avendo visto che la cabina non era al piano), fatto un passo avanti, perso l’equilibrio, caduto lungo la tromba. Il corpo, come detto, fu ritrovato dopo giorni.
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Nessuno avrebbe udito grida o tonfi nel momento della caduta, né rumori sospetti che potessero far pensare a un’aggressione o a un’azione esterna. Questo fatto lascia spazio al dubbio, ma può anche essere compatibile con un incidente in condizioni di solitudine o in orari silenziosi.
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Non è stata confermata alcuna pista che porti a dolo: nessuna prova concreta di rapimento, omicidio, minacce dirette. Nessuno ha denunciato di averlo visto seguito, nessun testimone ha riferito rumori, urla. L’assenza di rumori è stata considerata rilevante dagli inquirenti.
I possibili scenari alternativi
Alla luce delle evidenze disponibili, si possono formulare alcuni scenari ipotetici:
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Incidente puro: scenario ufficiale. Ungari, distratto, apre la porta dell’ascensore senza accorgersi che la cabina non era al piano, scivola, cade. Il malfunzionamento è reale. È un tragico errore, senza dolo.
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Di tipo colposo aggravato: se si fosse riscontrata una negligenza grave nella manutenzione dell’impianto, si potrebbe ipotizzare una responsabilità per omissione. In termini legali, sarebbe un’incuria costata la vita. Ma nelle carte non emergono imputazioni specifiche in tal senso.
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Verosimile incidente con omissione: forse Ungari avrebbe potuto essere salvato se qualcuno avesse sentito le sue grida, se la porta non si fosse aperta; forse fu una successione sfortunata: difetto dell’impianto + isolamento + orario poco frequentato.
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Ipotesi complottistiche: qualcuno sostiene che Ungari, per il suo impegno, avrebbe potuto essere soggetto a un attentato o intimidazione. In queste versioni, la caduta sarebbe stata favorita da terzi: sabotaggio dell’ascensore, apertura forzata della porta senza sicurezza, intervento di complici. Finora, nessuna indagine ufficiale ha trovato prove in tal senso.

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I dubbi
Perché Ungari non fu trovato subito, sebbene vivessero vicini e l’edificio fosse frequentato? Alcuni condomini riferirono un malfunzionamento, ma la tromba era accessibile? Era noto che la porta dell’ascensore poteva aprirsi anche se la cabina non era al piano?
Perché nessuno ascoltò o vide nulla? Se Ungari cadde, anche se non morì immediatamente, avrebbe potuto chiamare aiuto. Le tracce di sangue indicano che si mosse, tentò forse di alzarsi. Ma nessuno lo sentì.
L’appartenenza massonica di Ungari fu subito al centro delle speculazioni. Alcune voci giornalistiche e blog gettarono ombre, suggerendo relazioni segrete, rapporti con servizi, con dossier sensibili. Nulla fu mai provato.
Le implicazioni politiche del suo ruolo: Ungari gestiva dossier su diritti umani non solo come idealista, ma anche come figura che influiva su concessioni di aiuti esterni. Stati con regimi poco inclini al rispetto dei diritti umani potevano essere toccati dalle sue valutazioni. Qualcuno suggerì che potesse essersi inimicato potentati esteri. Ma non sono emerse prove credibili.
Le condizioni tecniche dell’ascensore furono oggetto di verifiche, ma l’archiviazione del caso come incidente ha chiuso la pista giudiziaria senza sentenze contro persone specifiche.
Il rapporto conflittuale con Pasqualino Bandiera
La carriera parlamentare di Bandiera si svolse negli anni Settanta e inizio Ottanta: eletto alla Camera nei primi anni Settanta, confermato alle tornate successive, si impose come figura di riferimento per il PRI nella Sicilia orientale. Alle dinamiche di partito fece seguito un riconoscimento di responsabilità istituzionale: fu sottosegretario al Ministero della Difesa in governi dell’epoca. Fu un periodo in cui l’Italia viveva tensioni interne, sfide economiche e il riemergere di questioni legate alla sicurezza e alla struttura dello Stato. In quel contesto, il dicastero della Difesa era un osservatorio critico: l’Italia, pur fuori dagli scenari di guerra, doveva confrontarsi con la modernizzazione delle forze armate, con le gerarchie di gestione del personale e con sensibilità geopolitiche che influivano la politica interna.

Il suo nome finì per figurare negli elenchi collegati alla P2, associato alla tessera 114. La comparsa dell’iscrizione gettò dubbi e suscitò interrogativi, più ancora nell’opinione pubblica che vedeva nella P2 l’ombra di reti trasversali capaci di condizionare la vita pubblica italiana. Per la carriera di un politico, specialmente se attivo nel governo e vicino alle questioni di difesa e sicurezza, l’accostamento alla loggia implicava sospetti pesanti: compromissioni, relazioni opache, collegamenti con circuiti che la democrazia doveva tenere sotto osservazione. È opinione di molti storici che la P2 abbia rappresentato (anche) un canale attraverso cui reti di influenza si intrecciavano con apparati statali, ma i dettagli, per ciascun iscritto, non sono sempre chiari o confermati. Non esistono prove di operazioni concrete svolte sotto segreto, né a riscontri giudiziari che implichino ruolo operativo nei servizi segreti, né che abbia avuto incarichi ufficiali all’interno dei corpi di intelligence, tuttavia il suo ruolo istituzionale di sottosegretario al Ministero della Difesa nel governo Cossiga II, comporta di per sè responsabilità relative al settore e, in genere, rapporti con le strutture militari e possibilmente con ambiti dei servizi segreti.
Paolo Ungari fu fortemente critico nei confronti della Loggia P2 e in polemica con lo stesso Bandiera, sia dal punto di vista politico che massonico, tant’è che contribuì attivamente alla relazione della cd legge Spadolini-Anselmi , intesa proprio per vietare le logge coperte (vedi supra).
All’epoca della narrazione dei fatti troviamo Bandiera come tesoriere della Lega Italiana Diritti dell’Uomo, presieduta dallo stesso Paolo Ungari. Alcune fonti raccontano di una lite furiosa tra i due avvenuta solo pochi giorni prima della scomparsa del Professore, avente ad oggetto la gestione poco trasparente di non meglio identificati “fondi”, la cui destinazione era stata nascosta e di cui Ungari era venuto a conoscenza.
La dichiarazione di Bettino Craxi sulla morte di Paolo Ungari

COMUNICATO 358 Sulla morte di Paolo Ungari (8 settembre 1999) – La tragica scomparsa di Paolo Ungari mi addolora profondamente. Scompare con Paolo Ungari una parte della mia gioventù. Con altri amici, ho vissuto con lui gli anni delle lotte politiche all’Università, nella dialettica democratica di quel periodo, per il rinnovamento e la democrazia universitaria, per il diritto allo studio, per un ruolo politico e rappresentativo del movimento universitario. Rispetto a lui, per la capacità di metodo, di studio, di ricerca, noi eravamo gli studenti e lui un nostro professore. Paolo Ungari fu anche Presidente dell’UNURI (Unione Nazionale Universitaria Rappresentativa Nazionale). Lasciammo praticamente insieme l’esperienza del movimento universitario nazionale. La nostra mozione politica venne sconfitta al Congresso di Palermo dell’UGI nel 1960. Lo ricordo bene. Per 42 a 40 passò la decisione di accettare nell’UGI gli studenti comunisti. Io partii allora per continuare la mia avventura politica nel partito, Paolino si dedicò prevalentemente ai suoi studi. Ricordo che anni dopo a Palazzo Chigi, con un decreto presidenziale istituii una Commissione per la difesa dei diritti umani e ne nominai Ungari, allora politicamente legato a Giovanni Spadolini, Presidente. Scompare un uomo di grande serietà e di grande bontà, uno studioso del diritto e delle scienze politiche di grande valore, un laico e un democratico sincero.

Le affermazioni del Gran Maestro Giuliano Di Bernardo
Giuliano Di Bernardo, ex Gran Maestro del Goi (Grande Oriente d’Italia, dal ’90 al ‘93) e della Gran Loggia Regolare d’Italia (Glri, successivamente fino al 2002), nel giro di pochi mesi, nel 2014 è stato prima chiamato dalla Procura di Reggio Calabria e poi da quella di Palermo, a rispondere alle domande dei magistrati su alcune delicatissime vicende storiche i cui contorni sono ancora nebulosi e senza la cui chiarezza è di fatto impossibile capire quanto sia accaduto in Italia. Di Bernardo, ad esempio, ha attraversato il periodo delle stragi mafiose in Italia e la fase immediatamente precedente e successiva, viste da occhi attenti da osservatore privilegiato.

In un’intervista a Roberto Galullo per la rubrica Guardie o ladri, sul Sole 24Ore del 26 gennaio 2015, dichiara a proposito del “Caso Ungari”:
E’ vero, come vocifera qualche autorevole personaggio politico, che la cosiddetta “legge Anselmi” fu scritta o suggerita da parlamentari e tecnici massoni che riuscirono così a guidare i propositi dell’inconsapevole onorevole Tina Anselmi? Ed è vero, in caso di risposta affermativa, che il risultato sul campo è quello dell’ inapplicabilità o della difficile applicabilità da parte di pm e giudici?
Non è questa la sede per entrare nel merito della “legge Anselmi”. A me risulta che alla sua formulazione partecipò il professor Paolo Ungari (trovato morto a 66 anni il 6 settembre 1999 per la caduta nella tromba dell’ascensore, avvenuta nel fine settimana precedente, al terzo piano del palazzo in piazza dell’Ara Coeli a Roma in cui aveva sede una delle riviste cui collaborava; la Procura di Roma ha proposto decreto di archiviazione dopo le indagini, ma questo non è servito a fugare i sospetti e i dubbi sul decesso, ndr),il quale mi confidò che tale legge tutelerebbe lo Stato dalle trame delle società segrete solo in apparenza, poiché la sua applicazione a casi reali è quasi impossibile. In quegli anni ero Gran Maestro del Grande Oriente d’Italia e il professor Ungari era molto vicino a me sia come collega universitario sia come massone.
Perché alcuni lo definiscono un “cold case”
“Cold case” è un termine usato per indicare casi mai risolti definitivamente, con indagini concluse ma rimaste con zone d’ombra che non permettono chiusura certa. Nel caso Ungari:
- L’inchiesta fu chiusa come incidente dopo avere verificato il malfunzionamento dell’ascensore e non aver trovato elementi certi per l’ipotesi dell’omicidio.
Tuttavia, i dubbi restano, per le ragioni di cui sopra, e non sono mai emerse prove decisive di una causa diversa da quella accidentale.

Perché “il caso” non è stato risolto
Mancanza di prove concrete che possano passare da ipotesi a fatto dimostrato.
- Non si è trovata copia di una perizia che documenti il punto di impatto, la dinamica esatta, lo stato dell’ascensore (porta, cabina, manutenzione) in modo dettagliato.
- Non ci sono dati ufficiali sullo stato dell’impianto al momento della morte (certificazioni, controlli, segnalazioni di guasti precedent
- Non ci sono documenti pubblici recenti che attestino che la Procura abbia aperto un fascicolo per omicidio o che abbia indagato specificamente su una spinta volontaria o aggressione.
Inesistenza di testimoni udibili o visivi che confermino un atto volontario.
- Non esistono documenti che riportino testimonianze oculari di persone che abbiano visto Ungari cadere, gettato da qualcuno o chi avrebbe potuto spingerlo.
- Nessuno che abbia udito grida o movimenti sospetti al momento del fatto
Assenza di una contro-perizia o di una revisione ufficiale successiva che metta in discussione l’archiviazione.
Il tempo passato: con gli anni molti elementi possono essersi persi, testimonianze sfumate, memoria pubblica che si affievolisce.
La figura pubblica di Ungari, il suo impegno politico, culturale, la sua affiliazione massonica, i legami con questioni internazionali delicate (come i profughi e gli oppositori politici dell’Iran) alimentano teorie alternative. Chi ha interesse che tali teorie restino tali, senza verifiche più approfondite? Questo è uno dei motivi per cui il caso resta ancora presente nell’immaginario collettivo come “misterioso”.
Aggiornamenti, riflessioni e contestualizzazione negli anni
Col passare del tempo, il caso di Ungari è rimasto nella memoria di certe comunità: quella dei difensori dei diritti umani, degli esuli iraniani, dei circoli laici e massonici. È stato ricordato anche attraverso il Premio Paolo Ungari, istituito da LIDU (Lega Italiana Diritti dell’Uomo), che ogni anno riconosce personalità impegnate in difesa dei diritti umani.
Il dibattito pubblicistico non si è mai del tutto sopito: sono emersi articoli, blog, saggi che rilanciano dubbi, evocano scenari alternativi, mettono in correlazione Ungari con altri misteri italiani di figure scomparse o morti sospette, con presunte operazioni segrete.
Un punto che spesso compare nei racconti più scettici è la vicinanza fisica e simbolica: le ceneri di Ungari sono nel cimitero acattolico di Roma, vicino anche a quelle di Mohammad Hossein Naghdi. Non solo un legame d’amicizia, ma un filo simbolico: opposizione politica, diritti, testimonianza.
Nel frattempo, il regime iraniano non ha mai ammesso responsabilità per la morte di Naghdi, ma le indagini giudiziarie italiane, parlamentari, e gli esuli iraniani insistono che il coinvolgimento dei servizi segreti di Teheran sia stato concreto. Il caso mantiene risonanza internazionale, specie in occasione delle cerimonie commemorative.
Memoria e simboli
La figura di Ungari oggi è ricordata soprattutto come simbolo di impegno civile. Il Premio Paolo Ungari, le manifestazioni per i diritti umani, le commemorazioni legate anche a Naghdi sono segni che la sua carriera e la sua morte restano vivi nell’immaginario di chi si occupa di libertà, giustizia, denuncia. Anche dai recenti archivi dell’ex presidente Cossiga emerge una particolare attenzione alla figura di Paolo Ungari come intellettuale e Maestro Massone, anche in relazione al nome di Pasquale Bandiera.

Non è trascurabile che, in un’Italia in cui misteri irrisolti (scomparse, morti sospette) abbondano, il caso Ungari sia spesso evocato come “il professore-volato”, “il volo nel vuoto”, quasi un mito contemporaneo, un monito su cosa può accadere quando un uomo si spinge troppo in là nel denunciare ciò che è scomodo. Ma questo tipo di mitologia corre il rischio di mescolare fatti documentati e supposizioni non verificate.
L’eredità di Paolo Ungari
Malgrado le controversie, la figura di Ungari è ricordata come significativa per diversi motivi:
Didattica e ricerca storica verso i diritti umani: contribuì molto allo sviluppo degli studi giuridici, della storia del diritto e alla diffusione culturale del tema dei diritti umani in Italia.
Ruolo istituzionale: come presidente della Commissione per i Diritti Umani, come docente, come membro di organismi internazionali, Ungari portò la sua visione liberale e la sua esperienza massonica nel confronto istituzionale.
Simbolo morale: per molti giovani, per attivisti delle libertà civili, è figura che combina militanza intellettuale, rigore morale, coerenza fra professione, attivismo e vita privata.
Influenza normativa: la legge Spadolini-Anselmi, pur critica, resta un punto di riferimento legislativo nel regolamento delle associazioni segrete e massoniche. Il fatto che Ungari abbia contribuito come esperto tecnico la rende centrale nel dibattito sulla trasparenza massonica in Italia.

Cosa resta dopo venticinque anni
A distanza di molti anni dalla morte di Paolo Ungari:
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la ricostruzione giudiziaria ufficiale resta quella dell’incidente; non ci sono state sentenze che attribuiscono responsabilità penali a terzi oltre la normale verifica tecnica sull’impianto.
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non è emersa una prova certa che colleghi la sua morte con le attività politiche, sebbene questa resti la pista che molti non riescono ad abbandonare.
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la memoria culturale e civile del suo lavoro è però forte: il suo nome viene celebrato, il suo contributo riconosciuto nel campo dei diritti umani, nella scuola, nella società civile.
Il fantasma di un caso dimenticato
Potremmo definire la morte di Ungari un cold case nel senso che si tratta di un caso chiuso nell’ufficialità, ma che continua a generare domande, richieste di chiarezza, e ipotesi contrastanti con la consapevolezza di non essere riusciti a comprendere il perché della sua morte violenta e senza alcuna logica spiegazione.
Il fantasma del professore aleggia ancora, tra il vano di un ascensore e i corridoi della politica italiana. Un cold case che chiede ancora risposte.
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