Il caso Pifferi: indagate le psicologhe del carcere

Il caso Pifferi si complica: indagate le psicologhe in carcere che assistevano la donna
Le accuse: aver influenzato la sua testimonianza con incontri intensi e frequenti
Nel contesto dell’inchiesta sul caso di Alessia Pifferi, attualmente detenuta nel carcere di San Vittore e accusata dell’omicidio volontario aggravato della figlia Diana, emergono nuove svolte. La Procura di Milano ha posto sotto indagine due psicologhe dell’istituto penitenziario, sospettate di favoreggiamento e falso ideologico. Secondo le informazioni raccolte da LaPresse, la polizia penitenziaria sta procedendo con perquisizioni nei confronti delle due professioniste. L’azione giudiziaria segue le dichiarazioni dei pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro, i quali, durante il processo, si erano espressi contro la possibilità di ascoltare le psicologhe come testimoni, suggerendo piuttosto di interrogarle in qualità di indagate in un procedimento correlato.
Secondo l’accusa, le psicologhe avrebbero condotto colloqui clinici in cella con Alessia Pifferi, caratterizzati da un ritmo incalzante, sia prima che dopo le udienze del processo. Questi incontri, avvenuti anche a breve distanza l’uno dall’altro, sarebbero stati condotti in violazione dei protocolli standard e avrebbero avuto un approccio più orientato alla costruzione di una difesa piuttosto che alla descrizione clinica.
La tesi dei pm sostiene che Pifferi sia stata indirizzata a fornire una versione dei fatti diversa da quella inizialmente dichiarata, attraverso un processo di revisione e reinterpretazione degli eventi in chiave difensiva. Questo avrebbe portato a una narrazione alternativa dei fatti, costruita attraverso una serie di colloqui intensi e strategici prima delle udienze del processo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA