9:36 am, 27 Ottobre 25 calendario

Quando il figlio ti tratta male: trasformare il conflitto in comprensione

Di: Redazione Metrotoday
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Una scena che purtroppo non è così rara nella vita familiare: genitori che alzano lo sguardo, sopresi, a fronte di un figlio che risponde male, che sbatte la porta, che urla o che semplicemente chiude ogni comunicazione. Si tratta di un evento che può generare nei genitori una miscela di rabbia, colpa, smarrimento — “cosa ho sbagliato?”, “perché mi tratta così?”, “è normale?”. Cerchiamo di comprendere che cosa può nascondersi dietro un figlio che tratta male i genitori, come riconoscere i segnali, e tutte le possibili vie d’uscita, alla luce di ricerche, esperienze e storie di vita reale.

“Mio figlio mi risponde male”

«Mio figlio mi risponde sempre male» è il titolo di uno delle problematiche più diffuse tra i genitori. Di fronte alle repliche sgarbate, scatti d’ira, chiusure, molti genitori si interrogano sulla natura del rapporto.

Nel periodo dell’adolescenza, in particolare, non è affatto insolito che insorga un aumento della conflittualità: porte sbattute, sfide alle regole, frasi sprezzanti.

Cosa può nascondersi dietro

Spesso – e contrariamente all’impressione che possa dare – un figlio che “tratta male” non lo fa (solo) per ribellione o cattiva educazione. Dietro può esserci un bisogno non espresso, frustrazione, senso di marginalizzazione, o la sensazione di non essere compreso. In queste condizioni, l’aggressività verbale o comportamentale può essere la forma che il figlio trova per attirare l’attenzione.

Per esempio, un ragazzo che ripete “non mi ascolti mai” o lo comunica a modo suo — sbattendo la porta — sta in realtà emettendo un segnale: “Sono qui, esisto, fatemi spazio”.

Un altro fattore spesso meno considerato: i ruoli all’interno della famiglia cambiano nel tempo. Il figlio cresce, acquisisce autonomia, e vuole (o deve) una nuova collocazione nel contesto familiare. Se il genitore fatica a riconoscerlo come individuato, autonomo, oppure continua a trattarlo secondo logiche precedenti, può emergere una tensione.

Ad esempio, il figlio ormai adulto che percepisce che il genitore non lo lascia davvero libero, oppure che si sente costantemente sotto pressione per “fare bene”.

Durante l’adolescenza o anche più in là, l’individuo è impegnato a definire la propria identità, il confine tra ciò che è e ciò che vuole essere. I conflitti con i genitori possono diventare terreno di questa costruzione identitaria. L’atteggiamento “contro” può essere anche un modo per sperimentare il proprio potere, testare i limiti, affermare la propria differenza.

Non va sottovalutato il contesto famigliare: modalità educative troppo rigide, troppo permissive, incoerenti, oppure comunicazione povera, possono preparare il “terreno” per un rapporto conflittuale. Per esempio, se il figlio ha vissuto una dinamica in cui il rispetto era solo imposto o il dialogo quasi inesistente, può reagire con aggressività quando mette in discussione tali regole.

Inoltre, non dimentichiamo che emozioni come rabbia, frustrazione, senso di abbandono, non ascolto possono generarsi anche in ambienti che “sembrano sereni: ciò che conta è la qualità del legame e la coerenza relazionale.

Quando preoccuparsi davvero

Non tutte le risposte sgarbate o i momenti di tensione sono segnali di un problema profondo. Tuttavia, alcune caratteristiche rendono la situazione meritevole di attenzione:

    – Se il comportamento aggressivo, sminuente o offensivo è persistente e non occasionale.

    – Se c’è chiusura assoluta al dialogo, isolamento del figlio, riduzione drastica del contatto.

    – Se il figlio — indipendentemente dall’età — manifesta sintomi di disagio emotivo (ansia, depressione, isolamento), o le relazioni interne alla famiglia sono costantemente segnate da violenza verbale o fisica.

In questi casi, un supporto esterno (psicologo, counselor familiare) può essere utile.

Ascolto, prima di tutto

Un primo passo è cercare di mettersi all’ascolto, anche quando è difficile. Evitare di reagire subito con la rabbia o la colpevolizzazione (“Con tutto quello che ti do…”). Questo tipo di approccio tende a chiudere ulteriormente la comunicazione.

Creare momenti di dialogo: chiedere al figlio come si sente, cosa lo preoccupa, cosa vorrebbe cambiare. Anche se la risposta immediata può essere un “non lo so” o un rifiuto, il solo fatto di offrire spazio genera una differenza.

Chiarezza sui confini + empatia

Non significa permissività. Il genitore deve continuare a mantenere regole, coerenza, ma senza tono squalificante. Le regole servono: se non ci sono limiti, la tensione aumenta. Ma è importante che vengano presentate con calma, spiegate, aperte al dialogo.

Ad esempio: “Capisco che sei stufo che ti dica sempre la stessa cosa, ma questa ora è la regola: se sbatti la porta, restiamo in silenzio 5 minuti e poi parliamo. Se vuoi cambiare la modalità, ne parliamo insieme”.

Evitare le lotte di potere

Quando genitore e figlio restano intrappolati in uno scontro “chi ha più forza”, nessuno vince davvero. Meglio spostare l’asse del confronto verso la collaborazione: verificare insieme le soluzioni, le alternative, chiedere “come possiamo fare perché…”. L’obiettivo non è sottomettere il figlio, bensì ricostruire un rapporto.

I genitori che dicono «non è niente», «sei esagerato», oppure che usano il silenzio come punizione, rischiano di alimentare la distanza emotiva.

Temperare l’emotività

Il genitore che perde la calma spesso alimenta il circolo vizioso: figlio reagisce male genitore urla figlio si chiude o spinge di più. Un’alternativa è la calma, il prendersi un attimo per respirare, poi il discorso.

In parallelo, non dimenticare di riconoscere i comportamenti positivi. Farlo genera un clima migliore e rafforza la relazione.

    È comune, anche tra adulti, sentirsi poco valutati da un figlio ormai cresciuto che assume autonomamente decisioni, ma che poi si comporta in modo sprezzante o distante con il genitore. In questi casi, il genitore va aiutato a ridefinire il proprio ruolo, a uscire dalla logica del “figlio bambino” e riconoscere il figlio adulto, con rispetto reciproco.

    In famiglie in cui il figlio adolescente mostra esplosioni di rabbia, non è raro che si tratti di “prova di potere”: testare fino a dove si può arrivare, in un momento evolutivo di separazione e di definizione del sé.

    Famiglie dove il dialogo è scarso, dove i genitori sono molto incentrati sul lavoro, o la tecnologia ha preso molto spazio, spesso vedono emergere un figlio che “risponde male” semplicemente perché ha sentito che il genitore non era “present­e” – in senso emotivo, oltre che fisico.

    Non minimizzare mai l’emozione del figlio con frasi tipo “non è niente”, “sei esagerato”. Questo comunica disattenzione e può accrescere il risentimento.

    Non usare il senso di colpa o il ricatto emotivo (“Con tutto quello che faccio per te…”). Questo esercita pressione e alimenta il conflitto.

    Evitare punizioni emotive come il silenzio prolungato o il rifiuto: spesso generano isolamento e peggiorano la dinamica.

    Non considerare tutto come “solo adolescenza”: se il comportamento è eccessivo, persistente, degradante, potrebbe essere un segnale di disagio profondo, e serve un aiuto professionale.

Quando la situazione è molto complessa, l’aiuto di una figura esterna può fare la differenza: psicologo dell’età evolutiva, terapeuta familiare, servizi di counseling. Specialmente se il figlio mostra segni di autoisolamento, autolesionismo, aggressività grave, abuso di sostanze o ritiro sociale.

Il cammino va affrontato insieme: non solo il figlio, ma la famiglia (o chi fa parte del nucleo) per ricostruire comunicazione, fiducia e coesione.

Un figlio che tratta male i genitori è un segnale, non solo un problema. È un messaggio che, più spesso di quanto si pensi, dice: “Non mi vedo”, “ho bisogno di spazio”, “non mi ascolti”, “sono diverso da ciò che pensavi”. E se interpretato con accoglienza e saggezza, può diventare l’occasione per una crescita comune: del figlio, del genitore, del rapporto stesso.

27 Ottobre 2025 ( modificato il 26 Ottobre 2025 | 12:54 )
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