«L’Europa è sotto attacco»: l’allarme di Draghi e la via del federalismo pragmatico
«Il mondo è cambiato e l’Europa fatica a rispondere», ha affermato Mario Draghi intervenendo ad Oviedo in occasione del conferimento del premio “Princesa de Asturias” per la Cooperazione Internazionale. «Quasi ogni principio su cui si fonda l’Unione è sotto attacco» – ha scandito l’ex presidente della Banca centrale europea – e per questo motivo «l’unica via» percorribile è quella del «federalismo pragmatico», inteso non come ideale astratto ma come strumento concreto per agire su temi strategici e urgenti.
La proposta – densa di implicazioni politiche, economiche e istituzionali – si inserisce in un contesto europeo segnato da sfide sistemiche: guerra in Ucraina, crisi energetica, emergenza climatica, rallentamento della crescita economica, pressione sulle istituzioni comunitarie. In tale scenario, Draghi rilancia un messaggio forte: serve un salto della UE oltre l’“Europa a 27 Stati che procede a rilento”, verso una realtà in grado di assumere decisioni in tempi e modalità compatibili con la competizione globale.
Un’Europa sulla difensiva
Dal palco di Oviedo, Draghi ha messo in luce un’identità europea fragile, esposta e costretta a rispondere a una doppia crisi: esterna — il nuovo ordine mondiale basato sulla potenza e sui reciproci blocchi — e interna — la debolezza strutturale stessa delle istituzioni comunitarie.
«Abbiamo costruito la nostra prosperità sull’apertura e sul multilateralismo … ora affrontiamo protezionismo e azioni unilaterali. Abbiamo creduto che la diplomazia potesse essere la base della nostra sicurezza: ora assistiamo al ritorno del potere militare come strumento per affermare i propri interessi».
Questa analisi non è nuova nel suo profilo: già nel maggio 2022 di fronte al Parlamento europeo Draghi aveva affermato che l’UE ha bisogno di un “pragmatic and ideal federalism”, capace di affrontare le trasformazioni globali — dalla difesa all’energia — attraverso una maggiore integrazione.
Ma la novità è la lettura che egli dà oggi del contesto: non più solo come “prossima fase”, ma come “momento critico” per la sopravvivenza del progetto europeo. La lentezza decisionale, i veti nazionali, l’eterogeneità degli Stati membri appaiono come veri e propri ostacoli alla capacità di reazione della UE. «Da molti anni non abbiamo modificato la nostra governance. Oggi siamo una confederazione europea che semplicemente non riesce a far fronte a tali esigenze».
Questo significa che il “sistema Europa” — istituzioni, trattati, procedure — rischia di essere non più all’altezza delle sfide: conflitti geopolitici, interdipendenze tecnologiche, concorrenza tra blocchi. E se l’Europa vuole ancora avere un ruolo autonomo, deve cambiare.

Crisi precedenti e labirinti istituzionali
Storicamente l’Europa si è costruita — e ha reagito — grazie alle crisi: dalla creazione della Comunità Europea all’unione economica, fino all’intervento della BCE a protezione dell’euro. Draghi stesso lo ha ricordato: «Ci viene spesso detto che l’Europa si forgia nelle crisi. Ma quanto grave deve diventare una crisi affinché i nostri leader uniscano le forze e trovino la volontà politica di agire?»
In parallelo, le strutture dell’UE rimangono quelle dei Trattati originari: decisioni che richiedono l’unanimità in molti settori, organi che procedono per compromessi, meccanismi spesso lenti a reagire. È proprio questa lentezza che Draghi punta come ostacolo centrale: se tutto dipende dal via libera di 27 governi, l’azione diventa quasi istintivamente conservatrice.
Per esempio, la politica estera e di difesa europea è ancora basata su logiche nazionali, con budget divisi, apparati duplicati, scarso coordinamento. Nel suo discorso del 2022 Draghi volle sottolineare che la spesa per la difesa dell’UE è divisa in più di 130 sistemi diversi, mentre gli Usa ne hanno 34: «È una distribuzione profondamente inefficiente che ostacola la costruzione di una vera difesa europea».
Questa radice istituzionale — un’Europa ancora “confederale” piuttosto che federale — è dunque il terreno di vulnerabilità sul quale Draghi punta il riflettore.
Cos’è il “federalismo pragmatico” e perché Draghi lo propone
Il concetto di “federalismo pragmatico” è centrale nel ragionamento di Draghi, e va distinto da un federalismo ideale, completo e uniforme su tutti i campi. Egli propone una via intermedia: articolata, tematica, flessibile, con avvio su settori strategici.

Gli elementi chiave del modello:
Temi specifici e azione mirata: L’idea non è di creare immediatamente una federazione piena, ma avviare “coalizioni di volenterosi” attorno a interessi strategici condivisi — ad esempio tecnologia, difesa, infrastrutture energetiche.
Superamento dell’unanimità: In alcuni campi, Draghi propone che le decisioni siano prese a maggioranza qualificata, non più bloccate dal veto di uno o pochi Stati membri.
Flessibilità di ritmo: Riconoscimento che Paesi diversi possono muoversi a velocità differenti — chi è pronto avanza, chi lo è meno segue senza bloccare gli altri.
Sovranità condivisa e mandato democratico: Non si tratta solo di trasferire poteri a Bruxelles, ma di costruire un consenso democratico genuino, un “mandato” che i cittadini europei approvino per ciò che l’Europa intende fare insieme.
Orientamento alle infrastrutture del futuro: Draghi suggerisce ambiti concreti — semiconduttori, infrastrutture di rete, catene tecnologiche, difesa congiunta — come punti d’avvio.
In questa visione, il federalismo pragmatico non è un sogno ideologico, ma una necessità operativa: «Non in ossequio a un sogno ma per necessità» ha detto Draghi.
Se l’idea appare chiara e ambiziosa, la sua concretizzazione presenta numerose difficoltà sistemiche e politiche.
Draghi indica alcuni ambiti prioritari in cui un federalismo pragmatico potrebbe essere inaugurato:
Difesa e sicurezza: ricerca congiunta, appalti comuni, strutture operative integrate. Già nel 2022 aveva richiamato la necessità di coordinare la spesa militare europea.
Tecnologia e infrastrutture digitali: semiconduttori, reti 5G/6G, intelligenza artificiale. Il modello: pochi sistemi paneuropei invece che tanti nazionali.
Energia e transizione ecologica: reti energetiche comuni, riduzione delle dipendenze e costi, progetti infrastrutturali condivisi.
Mercato unico e competitività: rafforzamento della dimensione europea delle imprese, unificazione di regolamentazioni, creazione di vere sfere continentali.
Questi settori hanno in comune il fatto che non si può più attendere: la competizione globale, la minaccia di nuova instabilità energetica o geopolitica, i vincoli tecnologi-industriali lo impongono.

L’intervento di Draghi assume un rilievo particolare per l’Italia. In quanto Paese fondatore della UE, con una economia tra le prime in Europa ma alle prese con difficoltà relative a produttività, debito pubblico e investimenti, l’Italia può ambire a fungere da ponte tra i Paesi più evoluti e quelli in ritardo.
La proposta di coalizioni tematiche flessibili può essere ben congeniale ad un’Italia che ha settori tecnologici avanzati, un grande potenziale manifatturiero e una posizione geopolitica di snodo nel Mediterraneo. Tuttavia, richiede che l’Italia non resti spettatrice ma diventi promotrice di “cluster tematici” europei, anche partecipando a iniziative multilaterali e spingendo per il superamento di logiche nazionali chiuse.
Đraghi stesso, ricordando l’inizio del suo impegno europeo con i negoziati del Trattato di Maastricht, ha riaffermato che la costruzione dell’Europa è stata la “missione centrale” della sua carriera.
Per Roma, dunque, la sfida è duplice: contribuire alla rifondazione dell’Europa e al contempo garantirsi che tale rilancio favorisca competitività nazionale, modernizzazione e crescita – senza che l’Italia resti nella parte “attendista” del continente.

Dal discorso di Draghi emergono alcune scadenze e fasi da monitorare:
Nel breve periodo, l’attenzione è sul Consiglio europeo straordinario previsto per il 12 febbraio 2026, dedicato ai dossier della competitività europea.
Occorre avviare progetti pilota che dimostrino la fattibilità del modello: ad esempio, gruppi di Paesi che co-investono in semiconduttori o infrastrutture energetiche comuni.
Serve l’avvio di una riflessione sul superamento dell’unanimità in settori strategici: un nodo politico e tecnico che richiede consenso.
Parallelamente, dovrebbe avviarsi un dialogo con i cittadini sull’evoluzione del progetto europeo: aumento della “legittimità democratica” è tema centrale.
Dal punto di vista italiano, emerge l’esigenza di partecipare attivamente ai tavoli europei, promuovendo iniziative e facendo dell’Italia un attore dinamico e non solo vettore di interesse nazionale.
Un bivio per l’Europa
Le parole di Mario Draghi suonano come un richiamo urgente. Non più solo un monito, ma una traccia operativa: «Un nuovo federalismo pragmatico è l’unica strada percorribile», ha affermato.
Se l’Europa — così come la conosciamo — vuole continuare a esistere come spazio di pace, crescita, innovazione e autonomia, allora deve fare una scelta. Rimanere nell’attesa di riforme generali che richiedono anni — rischiando l’irrigidimento e la marginalizzazione — oppure avviare oggi un percorso concreto, su pochi progetti strategici, con chi vuole procedere.
Per l’Italia, e per i cittadini europei, si apre una fase di opportunità ma anche di rischio. Il rischio è che la lentezza e la divisione prevalgano ancora una volta, relegando l’Europa a spettatrice di altri attori globali.
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