1:56 pm, 27 Ottobre 25 calendario

Juve: la colpa non è (solo) di Tudor — cronaca di un malessere profondo

Di: Redazione Metrotoday
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«La colpa non è di Tudor, manca il Dna bianconero». Lo ha detto con parole nette e senza alibi Alessandro Del Piero, voce rispettata e simbolo di un’epoca in cui la Juventus era un’identità prima ancora che un club. Quel commento, arrivato sullo sfondo di una decisione che segnava un altro scossone nell’era recente dei bianconeri, non è solo un parere di stile: è una lente per leggere una crisi che ha radici più profonde della semplice resa tecnica dell’allenatore. Il club ha infatti confermato l’esonero di Igor Tudor dopo un filotto di risultati negativi che ha segnato l’ultimo atto di una stagione — e di un progetto — che non ha saputo produrre la continuità attesa.

L’epilogo: Tudor fuori.

La notizia dell’esonero — ufficializzata nella giornata di lunedì — arriva dopo un periodo di risultati sotto le attese culminato con l’ennesimo stop che ha reso insostenibile la permanenza dell’allenatore croato. Tudor, tornato in panchina dopo l’esonero di Thiago Motta a marzo e confermato con un’estensione contrattuale a giugno, aveva ricevuto fiducia formale dalla dirigenza ma non è riuscito a invertire la tendenza. Il comunicato del club parla di decisione tecnica, ma dietro la scelta si legge anche la pressione mediatica, le aspettative di piazza e una stagione che non ha rispettato i piani. Massimiliano Brambilla, dal settore giovanile, è stato indicato come soluzione temporanea in attesa di una decisione definitiva.

Perché questa scelta oggi e non prima? Perché Tudor era stato premiato con fiducia, per i segnali positivi raccolti immediatamente dopo il suo insediamento a marzo (la Juve aveva respirato risultati e qualche gioco), e perché la dirigenza sperava che la rosa — giovane in molte sue parti e con ambizioni rinnovate — potesse trovare ritmo e continuità. La realtà dei fatti ha invece mostrato lacune strutturali: problemi realizzativi, scarsa solidità difensiva in momenti chiave, e una fragilità psicologica che è diventata cronica.

Non è l’uomo in panchina il problema principale

Le parole di Del Piero non devono essere lette come sconti a chi ha fallito sul campo, né come giustificazione di una gestione tecnica sotto tiro. Sono, piuttosto, il richiamo a un’identità che sembra essersi logorata: «manca il Dna bianconero» significa che – secondo l’ex capitano — non bastano tattiche nuove o volti noti per ricostruire una squadra: ci vuole una cultura, un approccio, una pressione positiva che trasforma i momenti difficili in opportunità — quel tipo di cultura che la Juventus ha costruito sul campo negli anni. È una diagnosi che rimanda a scelte di mercato, alla costruzione della rosa, ai profili selezionati, e a come il club ha interpretato (e a volte frainteso) la modernità calcistica.

La rivoluzione mancata dell’estate

Il latte recente versato a Torino non è stato solo il frutto di scelte allenatoriali. L’estate, promessa come stagione di rivoluzione e rilancio, ha invece lasciato aperture non colmate e obiettivi sfumati. Tra i casi più eclatanti c’è la vicenda Kolo Muani: inseguito con decisione dalla società, il francese alla fine non è arrivato a vestire la maglia bianconera — quei tira e molla, le valutazioni economiche e contrattuali, e le cifre ritenute insostenibili hanno fatto sì che l’operazione si sfaldasse, alimentando rimpianti che oggi pesano come macigni. L’impatto atteso — in termini di gol, dinamismo offensivo e freschezza atletica — era notevole; la sua assenza ha lasciato spazi che non sono stati adeguatamente coperti.

A questo si sommano altri affondi di mercato falliti o attenuati: strategie che hanno privilegiato alcuni profili a discapito di altri, scommesse su giovani e ritorni che non hanno prodotto l’effetto moltiplicatore sperato. Quando il mercato non produce la soluzione, l’allenatore vede restringersi il margine di manovra: i giocatori chiave non sono nelle condizioni ideali, l’equilibrio tattico salta e la squadra inizia a vacillare. È la dinamica che ha portato alla crisi attuale.

Per capire davvero il momento attuale bisogna guardare oltre il singolo errore e ripercorrere gli ultimi anni di storia bianconera. La Juve post-Conte ha sperimentato modelli differenti: dal ciclo di Antonio Conte, che aveva riportato una Juventus dominante in Italia con un profilo fisico e mentale molto marcato, si è passati a stagioni di ricostruzione e aggiustamenti continui. Le ripartenze — con allenatori diversi, filosofie di gioco divergenti e strategie di mercato non sempre coerenti — hanno creato una specie di “work in progress” che poi non si è mai saldato in una visione unica e sostenuta. Le scelte dirigenziali, le partenze eccellenti e gli arrivi a volte poco funzionali hanno contribuito a un mosaico disarticolato.

Conte aveva costruito una Juventus con un Dna chiaro: intensità, disciplina e mentalità vincente. Dopo di lui, la Juventus è stata alla ricerca di modelli che potessero coniugare tradizione e modernità, ma il passaggio non è stato indolore. Ogni nuovo corso ha portato cambiamenti, ma la somma di questi cambiamenti non ha ricomposto l’identità. Del Piero lo sottolinea: il problema è culturale, oltre che tecnico, e richiede una ricostruzione che parta dalle basi — dal settore giovanile, dall’identificazione di leader veri e da scelte di mercato coerenti.

Uno degli elementi più evidenti è la perdita di efficacia offensiva. Vlahović, chiamato a essere un punto fermo, ha alternato sprazzi di qualità a momenti di scarsa incisività. Muani, dal canto suo, aveva mostrato lampi di classe nelle prime partite con la nuova maglia (quando si era parlato di lui come possibile rinforzo), ma l’effetto sorpresa si è esaurito e la mancanza di continuità ha amplificato i problemi del reparto avanzato. I numeri — tiri sbagliati, partite senza gol, occasioni non sfruttate — dicono che la squadra non ha saputo costruire un meccanismo offensivo affidabile e ripetibile. Senza gol, anche il miglior progetto tattico resta sterile.

La sensazione, per i tifosi e per gli osservatori, è stata quella di una squadra che fatica a trasformare idee in concretezza. Spesso si è vista una Juve bella a tratti, confusa in altri, incapace di fare della costanza un proprio tratto distintivo.

Esonerare l’allenatore è l’azione più visibile e immediata, il segnale che qualcosa sta cambiando. Ma il capro espiatorio ufficiale, l’allenatore, raramente è l’unico responsabile. Dietro la scelta ci sono questioni legate alla costruzione della rosa, alla direzione sportiva, alla preparazione atletica, e a volte a una comunicazione interna che non regge la pressione. È un problema sistemico, e questa è la ragione per cui figure iconiche come Del Piero parlano di DNA: senza una strategia complessiva, il cambio della guida tecnica produce effetti tampone, ma non risolve.

Le scelte degli ultimi mercati — ponderate o affrettate che siano state — si sono sommate e hanno finito per creare una fragilità organizzativa. La sensazione, dentro e fuori lo spogliatoio, è che mancasse una bussola condivisa. Per tornare a essere competitivi servono coerenza, pazienza e, soprattutto, una narrativa chiara che ricostruisca fiducia attorno al progetto Juventus.

Chiarezza strategica — Il club deve definire un progetto a medio termine: stile di gioco, tipologia di giocatori da acquistare, e ruolo del settore giovanile. Non si può vivere di soluzioni tampone. La definizione di una filosofia d’uso è fondamentale.

Tifosi, media e dirigenza

Il mondo della Juventus è fatto di passione e di aspettativa: i tifosi vogliono vittorie e la stampa alimenta il fuoco della narrazione quotidiana. Questo crea un clima poco propenso alla pazienza. Nel calcio moderno, tuttavia, la pazienza è una risorsa rara ma necessaria: i progetti vincenti richiedono tempo. Qui sta la contraddizione principale: un grande club atteso ai massimi livelli da subito, ma incapace di concedere ai propri progetti il tempo per maturare. Del Piero insiste sul concetto di Dna perché sa che la fretta — nello sport come nella vita — porta spesso a errori tattici e strategici.

Ricostruire una Juve credibile

L’esonero di Tudor è un atto che segna un passaggio: non il punto di arrivo, ma la constatazione che qualcosa non ha funzionato. La sfida che attende la Juventus è di restituire senso a una costruzione collettiva che un tempo era marchio di fabbrica. Serve un piano che guardi al domani, ma che sia ancorato alle radici che hanno fatto grande questo club: cultura del lavoro, mentalità vincente, e una chiarezza di progetto che non cambi ad ogni vento.

27 Ottobre 2025
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