Donald Trump in Asia: verso l’accordo finale sui dazi con la Cina
È un tour che mescola diplomazia, commercio e strategia geopolitica quello che vede protagonista Donald Trump in Asia in queste settimane. Il presidente statunitense è sbarcato nella regione con un duplice obiettivo: da un lato rafforzare i legami con gli alleati asiatici e dall’altro chiudere un accordo con la Cina sui dazi che da mesi gravano sulle relazioni commerciali mondiali. Le dichiarazioni parlano di «dettagli finali» sull’intesa, mentre Washington e Pechino trattano sul filo dell’ultimo miglio, con tariffe che avevano già toccato livelli record.

In questo articolo, ripercorriamo il contesto – economico, politico e storico – del braccio di ferro commerciale fra Usa e Cina, esaminiamo il significato della missione asiatica di Trump, approfondiamo le ragioni dei dazi e delle contropartite, e ci chiediamo cosa potrebbe cambiare per l’Europa e per l’Italia.
Tariffe, tensioni e pause strategiche
All’inizio del 2025 la relazione commerciale fra Stati Uniti e Cina si era fatta particolarmente aspro, con Washington che aveva imposto «tariffe reciproche» su larga scala: si era arrivati a minacce – se non applicazioni – di dazi che superavano il 100 % su alcuni beni importati dalla Cina. In risposta, Pechino aveva annunciato contro-tariffe su merci statunitensi e un controllo rafforzato su materie prime strategiche, come i metalli delle terre rare.
A maggio le due parti avevano firmato una tregua: gli Usa abbassarono temporaneamente i dazi a circa il 30 % sugli importati cinesi, e la Cina ridusse i suoi al 10 % per una finestra di circa novanta giorni. Un accordo che servì a evitare una nuova escalation immediata.
Successivamente, gli Usa estesero la sospensione delle misure punitive fino all’autunno, mentre i negoziati proseguivano. La tregua era però fragile: la minaccia che tutto ripartisse verso misure ancora più dure restava reale.
Gli analisti sottolineano che non si trattava solo di commercio: le tariffe erano diventate uno strumento geopolitico, parte di un più ampio conflitto fra superpotenze su tecnologia, catene di approvvigionamento, materie prime e difesa. E anche l’Asia sud-orientale, così come l’Europa, trovava il proprio spazio in questa competizione.
Il tour asiatico: missione multilaterale e bilaterale
Trump ha scelto l’Asia come teatro privilegiato: il suo viaggio include tappe in paesi chiave del sud e dell’est asiatico, summit regionali, incontri con leader locali e, sullo sfondo, la tanto attesa sessione con il segretario di stato cinese o direttamente con il presidente cinese.
Alla base della visita ci sono tre linee d’azione:
Rafforzare gli alleati asiatici: i paesi del sud-est asiatico, così come Giappone e Corea del Sud, sono partner strategici non solo per il commercio ma per l’equilibrio geopolitico in Asia-Pacifico.
Portare avanti i negoziati commerciali con la Cina: gli Stati Uniti vogliono – secondo fonti del Congresso e della Casa Bianca – un accordo che limiti le tariffe, garantisca accesso al mercato e stabilisca condizioni più eguali per le imprese americane in Cina.
Inviare un messaggio geopolitico e commerciale: con l’Asia come palcoscenico, Trump sottolinea che gli Usa non intendono restare spettatori della trasformazione economica globale, e che vogliono esercitare leadership anche nella catena del valore tecnologico e nelle risorse strategiche.
Durante la tappa in Malesia, per esempio, è stato osservato un clima di trattative molto “costruttive” fra delegazioni americane e cinesi. Il focus: materie prime, regolamentazione delle tecnologie, riconoscimento del ruolo degli investimenti americani in Asia e del commercio circolare. Nelle dichiarazioni congiunte si è parlato di «accordo quasi in chiusura» e della necessità di non rimandare ulteriormente.

Più che un singolo punto, la fase finale dell’accordo include una serie di nodi che devono essere sciolti. Fra i principali:
Tariffe e contromisure: Washington pretende che la Cina si impegni a non solo ridurre le tariffe già in essere, ma anche a sospendere o eliminare le misure più punitive in settori strategici (ad esempio le esportazioni di terre rare).
Accesso al mercato cinese per aziende americane: gli Stati Uniti chiedono che le imprese Usa abbiano condizioni più eque, una maggiore trasparenza e meno vincoli nel mercato cinese.
Materie prime strategiche e tecnologia: dati e tecnologia sono al centro del negoziato. La Cina deve dare garanzie sulla sicurezza degli approvvigionamenti americani, ma anche sugli standard e l’accesso.
Tempi e meccanismi di attuazione: non basta un accordo verbale: vanno definiti scadenze, verifiche, e sanzioni in caso di mancato rispetto.
Integrazione regionale e multilateralismo: un accordo Usa-Cina non avviene in un vuoto. Anche i paesi asiatici guardano con attenzione ai possibili spillover e alle implicazioni per le proprie economie di esportazione.
Visibilità politica e simbolica: Trump vuole poter dire che ha chiuso l’accordo in Asia prima di tornare dalla tournée. Il fattore immagine non è secondario.
Secondo fonti più recenti, l’accordo è “ai dettagli finali”. Trump stesso ha dichiarato che «ci siamo quasi» e che «vedremo come sarà firmato». Questo mentre Pechino ha avvertito che «ci vorrà il rispetto della parità, del beneficio reciproco e della dignità».

Lezioni precedenti
Per capire cosa sta accadendo oggi e perché è così delicato, è utile fare un salto indietro:
Nel 2018-20, durante la precedente amministrazione Trump, scatenò una guerra commerciale Usa-Cina che coinvolse tariffe su centinaia di miliardi di beni. I risultati furono misti: alcune produzioni americane erano supportate, altre invece subirono contraccolpi (es. agricoltura).
Anche la Cina aveva risposto con misure di ritorsione e diversificato i suoi mercati, rafforzando i rapporti con altri paesi asiatici.
In Asia sud-orientale, molti Stati hanno subito indirettamente l’impatto delle tariffe statunitensi: i dazi hanno colpito anche merci rimandate o transitate dai paesi dell’ASEAN.
La catena dell’offerta globale, specialmente nei semiconduttori, nelle terre rare e nelle tecnologie avanzate, è diventata un campo di battaglia parallelo al commercio tradizionale.
Le relazioni geopolitiche: la Cina ha fatto dell’Asia un asse centrale della sua “via della seta” e del rafforzamento regionale. Gli Usa, con Trump, cercano di rilanciarsi anche in questo teatro, magari con approcci più bilaterali.
Tutti questi elementi compongono lo sfondo della missione attuale: non è solo un accordo commerciale, ma uno scontro e allo stesso tempo un tentativo di definire un nuovo ordine economico globale.
E l’Europa?
Mentre il duello fra Washington e Pechino prende corpo in Asia, l’Europa osserva ma non può essere semplice spettatrice. Per Bruxelles, l’Italia e gli altri Stati membri la questione non è solo commerciale, ma strategica: se Usa e Cina ridisegnano le regole del gioco, il Vecchio Continente rischia un margine sempre più ridotto di manovra.
Per l’Italia la chiave è duplice: da un lato difendere le esportazioni e le catene produttive che includono la Cina e l’Asia; dall’altro partecipare attivamente ai nuovi assetti: tecnologia, infrastrutture, catene di approvvigionamento alternative. Una passività rischia di tradursi in ritardo strategico.
In questo contesto, un accordo Usa-Cina che stabilizzi i dazi può essere un’occasione: minore instabilità globale, maggiore prevedibilità per le imprese europee, potenziale rilancio del commercio multilaterale. Ma soltanto se l’Europa saprà imprimere la propria visione e non subirla.

Una vittoria diplomatica e commerciale rappresenterebbe per Trump un colpo significativo prima delle elezioni, un ritorno al successo in politica estera. Per la Cina, un accordo potrebbe dare spazio per la riforma e l’apertura che molti mercati internazionali chiedono. Per i paesi asiatici, la speranza è che non vengano esclusi: servono accordi che implicano anche loro, non solo un duello fra superpotenze.
La tournée asiatica di Donald Trump si inserisce in un momento cruciale delle relazioni internazionali: la guerra dei dazi fra Stati Uniti e Cina rischia di ridefinire il commercio globale, le catene di approvvigionamento e gli equilibri geopolitici nel Pacifico. L’intesa che sembra vicina, «ai dettagli finali», è carica di implicazioni.
Se l’accordo sarà veramente sottoscritto, potrà segnare un via libera per la stabilizzazione del commercio mondiale. Ma se le clausole resteranno vaghe e i controlli deboli, potremmo trovarci di nuovo l’anno prossimo a contare tariffe, ritorsioni e incertezza.
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