12:45 am, 23 Ottobre 25 calendario

Meloni fra due fuochi: «Senza Hamas pronti a riconoscere la Palestina»

Di: Redazione Metrotoday
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Roma precisa: nessun soldato in Ucraina, sì a passaggio parlamentare su Gaza

Con una parola che suona come linea di equilibrio tra Realpolitik e calcolo diplomatico, il Governo italiano ha provato a offrire ieri al Parlamento una sintesi dei nuovi dilemmi internazionali: «Senza Hamas, pronti a riconoscere la Palestina». Ma subito dopo il premier ha tenuto a precisare che l’impegno di Roma si ferma alle azioni politiche e ai contributi non combat­tivi: «L’Italia non invierà soldati in Ucraina». E sull’eventuale contributo italiano a una missione di stabilizzazione a Gaza, la leader ha auspicato un passaggio parlamentare «necessario e trasparente».

La formula scelta dalla premier nasce dalla sovrapposizione di tre emergenze che non smettono di intrecciarsi: la guerra in Ucraina e la posizione dell’Italia all’interno della Nato e dell’Unione europea; l’escalation tra Israele e Hamas che ha riaperto il nodo dello status politico della Palestina; e il peso crescente della politica estera italiana sul piano interno, dove ogni parola viene soppesata in chiave di consenso.

La dichiarazione sulla possibile riconoscibilità dello Stato palestinese — condizionata però all’esclusione di Hamas dalla governance futura e al suo disarmo — non rappresenta una rottura rispetto alle posizioni tenute finora da Palazzo Chigi, ma semmai un tentativo di dare una risposta ufficiale alle pressioni internazionali e al dibattito europeo. È una linea che vuole coniugare due esigenze: da una parte la necessità di non abbandonare la via di un negoziato che porti a una soluzione a due Stati; dall’altra la ferma condanna, su posizioni esplicite, dell’uso della violenza politica da parte di gruppi armati.

Dietro alle parole di circostanza e alle condizioni poste, però, si scorge una strategia. Da più parti, nel centrodestra e oltre, si ritiene che il riconoscimento «a prescindere» rischierebbe di essere solo un gesto simbolico, incapace di produrre quella stabilità di cui la regione ha bisogno. La condizione «Hamas fuori» è stata dunque posta come garanzia di sostenibilità politica: senza un attore armato e disarmato non si potrà costruire un tessuto istituzionale solido e accettabile agli occhi di Israele e dei partner internazionali.

Allo stesso tempo, la scelta di legare la decisione ai tempi del Parlamento — «ci sarà un passaggio parlamentare», ha ribadito il premier — vuole restituire al percorso una dimensione collettiva. Non è solo una mossa tattica per distribuire responsabilità; è anche un appello a trasformare una scelta di politica estera in un voto che fotografi il consenso nazionale, anziché lasciarla ai soli strumenti esecutivi.

Il capitolo Ucraina è stato aperto con un’affermazione netta: l’Italia sosterrà Kiev con mezzi, addestramento, aiuti — ma non con truppe sul terreno. Questa distinzione, ripetuta più volte nei colloqui con alleati europei e con i leader atlantici, è al centro del ragionamento di Roma: mantenere la linea del sostegno politico e materiale senza coinvolgimenti diretti che potrebbero comportare un’escalation o compiti operativi che la politica italiana ritiene non coerenti con la sua strategia. Nel discorso pubblico ciò è stato presentato non come ritrosia, ma come scelta responsabile e coerente con la volontà di sostenere la pace e il negoziato.

La reazione politica in Italia, come spesso accade su temi esteri che toccano corde sensibili, è stata immediata e composita. Le opposizioni di sinistra hanno giudicato la condizionalità sul riconoscimento un limite alla solidarietà verso il popolo palestinese; una parte del centrodestra ha invece accolto favorevolmente la fermezza sulle condizioni poste. Al netto delle divisioni, però, la richiesta di un passaggio parlamentare ha trovato riscontro: la votazione potrà rappresentare il termometro della coesione nazionale su un dossier che ha ampie ricadute internazionali.

Dietro i titoli e le evocazioni, restano i nodi pratici. In primo luogo: chi deciderà quando la condizione di «esclusione di Hamas» sarà considerata soddisfatta? Il disarmo e l’esclusione di un attore come Hamas non sono fatti che si realizzano su un calendario stabilito a Roma: dipendono da negoziati, pressioni regionali e dinamiche sul terreno. Va poi considerata la questione dei prigionieri e degli ostaggi: il rilascio degli stessi è stato spesso segnalato come prerequisito dai Paesi che non vogliono accelerare il riconoscimento.

Sul piano operativo, la disponibilità italiana a partecipare a una forza di stabilizzazione per Gaza — limitata, come ha ricordato il premier, a ruoli quali quello dei carabinieri per la formazione di forze di polizia locali o contributi civili — apre il capitolo delle missioni: non una presenza militare offensiva, ma un impegno a costruire capacità istituzionali. Anche qui, il Parlamento tornerà a essere chiamato a esprimersi, con l’obiettivo di offrire partecipazione e legittimazione democratica.

A livello internazionale, Roma prova a tenere insieme diversi fili: la storica amicizia con Tel Aviv, la posizione critica — ma non ostile — rispetto a condotte che violino il diritto internazionale, e la volontà di non restare esclusi da eventuali iniziative europee o multilaterali. Questo equilibrio non è privo di rischi: paesi alleati che hanno scelto di riconoscere la Palestina «a prescindere» potrebbero interpretare la condizionalità italiana come un freno; d’altra parte, una svolta troppo rapida e scollegata dal contesto sul terreno potrebbe alienare opinioni pubbliche e forze politiche interne.

Il precedente recente è utile per capire la cornice: in varie sedi internazionali, Roma ha già manifestato la sua contrarietà all’escalation delle ostilità e ha sostenuto iniziative umanitarie, sottolineando la necessità di proteggere civili e giornalisti e di garantire l’afflusso di aiuti. Nel contempo, la diplomazia italiana ha usato toni netti per chiedere il rilascio degli ostaggi e per condannare azioni che impediscano una soluzione negoziata; è una posizione che rivela la duplice anima del nostro paese, attento tanto alla sicurezza quanto ai diritti umani.

In vista delle prossime settimane, il calendario politico italiano appare fitto: più di un gruppo parlamentare ha già annunciato la volontà di presentare mozioni o emendamenti che chiederanno chiarimenti su tempi, condizioni e strumenti. Per il Governo sarà un banco di prova: portare a casa un voto che mostri compattezza esterna e dialogo interno, senza annacquare contenuti, non sarà semplice. Nel frattempo, la politica estera italiana resta sotto i riflettori: ogni parola di Roma, nel bene o nel male, pesa nel gioco diplomatico regionale e oltre.

Se da un lato il messaggio italiano cerca di essere prudente e misurato, dall’altro la scena internazionale segue con attenzione la posta in gioco simbolica e pratica di ogni riconoscimento. Di certo, il percorso che Meloni ha delineato — riconoscimento possibile ma condizionato, nessuna truppa in Ucraina, passaggio parlamentare su Gaza e disponibilità a ruoli non combattenti — servirà a restituire al dibattito pubblico una serie di scelte concrete, su cui la politica italiana sarà chiamata a misurarsi con tempismo e responsabilità.

Un riconoscimento condizionato significa che la mappa diplomatica europea potrebbe modificarsi a scatti e non in un’ondata simultanea: alcuni Paesi potrebbero anticipare, altri attendere l’evoluzione sul terreno.

La formula «no soldati in Ucraina» lascia campo libero ad altre forme di supporto — economico, logistico, di addestramento — ma chiude la porta a interventi che potrebbero rivelarsi impopolari o rischiosi per l’opinione pubblica italiana.

Il passaggio parlamentare su Gaza non è solo rito: sarà il momento in cui si misurerà la tenuta degli schieramenti politici e la capacità del Governo di spiegare alle Camere la ratio della sua politica estera.

Equilibri europei e alleanze

Il ruolo dell’Italia, inserito tra gli interessi europei e l’alleanza atlantica, si gioca anche in spazi sovranazionali. Roma è chiamata a dialogare con Bruxelles, con i partner del G7 e con le proposte delle Nazioni Unite. La proposta di collegare il riconoscimento palestinese al disarmo di attori armati ricalca, in parte, le posizioni di quei governi che vedono nel passaggio istituzionale un prerequisito per qualsiasi atto di legittimazione statuale.

L’ultimo miglio politico

Il Parlamento sarà la prossima tappa: lì si confronteranno mozioni, risoluzioni e forse emendamenti volti a definire i contorni del consenso. Per il Governo, riuscire a incanalarvi la discussione significa costruire una maggiore legittimità democratica per decisioni che non riguardano solo la diplomazia ma anche il profilo morale e politico del Paese.

La posizione italiana è a un tempo pragmatica e simbolica: pragmatica nella scelta di non inviare truppe in Ucraina e nel porre condizioni chiare al riconoscimento della Palestina; simbolica nella volontà di non restare neutrali sul piano umano e diplomatico. La partita rimane aperta, con il Parlamento chiamato a giocare un ruolo decisivo.

23 Ottobre 2025
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