Trump rilancia un video: “Meloni sfida l’Ue sui dazi”. Palazzo Chigi smentisce: “Notizia infondata”

È bastato un video rilanciato da Donald Trump sul suo social network per accendere un nuovo caso diplomatico tra Italia, Unione Europea e Stati Uniti. L’ex presidente americano, tornato ormai a pieno ritmo nella scena politica internazionale in vista delle elezioni del 2025, ha condiviso un filmato che ritrae la premier italiana Giorgia Meloni accompagnato da una frase destinata a far discutere: “Meloni sfida l’Unione Europea sui dazi. Finalmente un leader che difende la propria nazione!”.
In poche ore, il post ha raccolto milioni di visualizzazioni e una valanga di commenti, alimentando l’idea che Roma stia preparando uno scontro commerciale con Bruxelles sulla linea protezionista cara al tycoon americano. Ma da Palazzo Chigi la smentita è arrivata immediata: “Nessuna sfida all’Ue, nessuna dichiarazione sui dazi. Si tratta di una manipolazione che attribuisce alla presidente del Consiglio frasi mai pronunciate”.
Il video e la scintilla mediatica
Il video condiviso da Trump, montato in stile propagandistico con immagini di Meloni durante i vertici europei, conteneva sottotitoli in inglese che facevano apparire la premier come una sostenitrice delle politiche protezionistiche statunitensi. Il messaggio — “Meloni stands up to EU bureaucrats on tariffs” — lasciava intendere un’alleanza ideale tra la leader italiana e la linea “America First” che Trump ha promesso di ripristinare in caso di ritorno alla Casa Bianca.
In realtà, il filmato è un collage di dichiarazioni reali e frasi fuori contesto, montate insieme da un account filo-trumpiano già noto per la diffusione di contenuti polarizzanti. Le parole attribuite a Meloni non risultano in alcuna registrazione ufficiale né in documenti di governo.
La reazione di Palazzo Chigi: “Totale falsità”
La risposta italiana non si è fatta attendere. Fonti di governo hanno bollato il video come “una manipolazione mediatica priva di ogni fondamento”. In una nota ufficiale, Palazzo Chigi ha chiarito che “l’Italia non ha assunto, né intende assumere, posizioni unilaterali in materia di dazi o politiche commerciali”, ribadendo che “ogni decisione in tal senso è di competenza dell’Unione Europea, nel quadro delle regole comuni”.
La smentita è stata rilanciata anche dal ministro degli Esteri e dai principali quotidiani, che hanno ricordato come l’Italia, pur mantenendo una linea di dialogo con Washington, non abbia mai messo in discussione il principio di coesione economica europea.
Meloni e Trump, un rapporto tra simboli e retorica
Nonostante la distanza politica e istituzionale, tra Giorgia Meloni e Donald Trump esiste una sorta di affinità narrativa. Entrambi hanno costruito parte della loro popolarità su un linguaggio diretto, nazionalista e anti-burocratico. In passato, Trump aveva già espresso apprezzamento per la premier italiana, definendola “una donna forte che difende il popolo e la famiglia”.
Dal canto suo, Meloni ha mantenuto un profilo prudente, limitandosi a riconoscere il peso politico dell’ex presidente americano senza mai sbilanciarsi. Tuttavia, ogni accostamento tra i due leader suscita inevitabilmente reazioni contrastanti in Europa, dove le politiche trumpiane sui dazi e sull’isolazionismo economico restano un tema sensibile.
Il rilancio del video, quindi, non appare casuale: è un gesto che rafforza la narrativa trumpiana di un fronte internazionale di leader “sovranisti” pronti a sfidare Bruxelles e la globalizzazione economica.
L’ombra dei dazi torna a preoccupare l’Ue
Il caso scoppia in un momento delicato per i rapporti transatlantici. La Commissione Europea sta monitorando con attenzione le mosse della nuova amministrazione americana, preoccupata per il possibile ritorno delle tariffe su acciaio, automobili e prodotti agricoli europei, minacciate più volte da Trump durante la sua precedente presidenza.
Nel frattempo, anche in Europa cresce la pressione politica interna per proteggere le industrie locali da concorrenza estera, in particolare dalla Cina. Tuttavia, la linea ufficiale dell’Italia — ribadita più volte anche dal ministro delle Imprese e del Made in Italy — resta quella del dialogo multilaterale e del rispetto delle regole comunitarie.
Per questo, l’idea di una “sfida italiana all’Ue sui dazi” appare non solo infondata, ma anche incoerente con la posizione economica del governo Meloni, che finora ha cercato di muoversi nel solco dell’equilibrio tra Bruxelles e Washington.
Una strategia mediatica mirata
Analisti politici e osservatori internazionali vedono nel gesto di Trump una mossa di comunicazione mirata più al pubblico americano che a quello europeo. L’ex presidente, che punta a rafforzare la sua immagine di leader globale in vista delle elezioni, utilizza figure straniere come Meloni o Orban per costruire il racconto di un fronte conservatore mondiale “amico degli Stati Uniti”.
In questo quadro, il video rilanciato su Truth Social (la piattaforma creata da Trump dopo il bando da Twitter) ha funzionato come un’operazione di marketing politico: evocare alleati ideologici senza preoccuparsi della veridicità dei contenuti.
Le reazioni in Europa
A Bruxelles, il caso è stato seguito con una certa preoccupazione. Fonti comunitarie hanno espresso solidarietà a Roma, sottolineando “l’importanza di non alimentare disinformazione su temi economici sensibili”.
Nel Parlamento europeo, alcuni eurodeputati italiani hanno chiesto che la Commissione intervenga per difendere l’immagine dell’Italia e chiarire la competenza esclusiva dell’Ue in materia di dazi. Altri, invece, hanno accusato il governo Meloni di non aver mai preso abbastanza le distanze da Trump e dalla sua retorica anti-europea.
Il caso ricorda episodi simili avvenuti negli ultimi anni, quando contenuti manipolati hanno scatenato controversie internazionali. Già nel 2020, durante la campagna per le presidenziali americane, un video artefatto che mostrava Emmanuel Macron mentre “elogia Trump” aveva circolato per giorni prima di essere smentito.
Oggi, la disinformazione viaggia ancora più velocemente grazie agli algoritmi dei social network e all’uso dell’intelligenza artificiale generativa. Un singolo post può bastare per orientare la percezione pubblica e creare tensioni diplomatiche, anche se smentito poche ore dopo.
L’episodio mette in luce anche la difficoltà per i leader europei di gestire la propria immagine internazionale in un contesto in cui ogni messaggio può essere reinterpretato. Meloni, negli ultimi mesi, ha cercato di consolidare il suo profilo di leader affidabile e dialogante con l’Europa e con gli Stati Uniti, evitando contrapposizioni frontali.
La narrazione di un’Italia “sovranista” e anti-Ue, rilanciata da Trump e da alcuni ambienti mediatici americani, rischia però di minare quella credibilità costruita con fatica, proprio mentre il governo cerca di presentarsi come partner chiave nei negoziati europei su bilancio, energia e difesa comune.
Una nuova diplomazia digitale
L’episodio ha riaperto il dibattito sulla responsabilità dei leader politici nell’uso dei social network. Sempre più spesso, dichiarazioni o rilanci di contenuti non verificati finiscono per avere effetti concreti sui mercati o sulle relazioni internazionali.
Diversi osservatori chiedono che l’Unione Europea introduca regole più stringenti per la trasparenza e la verifica delle comunicazioni pubbliche digitali, anche quando provengono da figure politiche di spicco.
Nel frattempo, a Roma si studia una risposta diplomatica misurata, evitando di alimentare lo scontro ma ribadendo la necessità di difendere la verità dei fatti.
La fragilità dell’immagine e la forza dei simboli
Il “caso del video” è l’ennesima dimostrazione di quanto sia fragile il confine tra realtà e percezione nella politica globale. Un singolo tweet o un post manipolato possono bastare per scatenare tensioni internazionali e mettere in discussione relazioni costruite in anni di diplomazia.
Giorgia Meloni, per ora, sceglie la via della cautela: nessuna polemica diretta, solo una smentita ferma e istituzionale. Ma il messaggio che arriva da oltreoceano è chiaro: la politica del XXI secolo non si gioca solo nei palazzi o nei vertici, ma anche — e forse soprattutto — sugli schermi di smartphone e piattaforme social.
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