2:33 pm, 19 Ottobre 25 calendario

«Dammi Donetsk e si chiude»: la mossa di Putin riapre il tavolo

Di: Redazione Metrotoday
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La telefonata che ha riacceso i riflettori diplomatici sulla guerra in Ucraina non è stata un semplice scambio di cortesie fra capi di Stato. Secondo ricostruzioni di funzionari a conoscenza del colloquio, Vladimir Putin ha offerto una «via d’uscita» condizionata: la pace — o meglio la fine del conflitto su una base negoziata — in cambio della cessione a favore della Russia del pieno controllo della regione di Donetsk. È una proposta che, se accolta, cambierebbe la mappa politica e strategica dell’Ucraina e ridefinirebbe la natura stessa dell’accordo di pace che molti stati cercano da anni di mediare.

L’annuncio di una richiesta così netta — consegnata, sempre secondo le fonti, al presidente degli Stati Uniti in una conversazione telefonica — ha innescato immediati contraccolpi politici. Da una parte accende la speranza di un cessate il fuoco negoziato; dall’altra solleva interrogativi essenziali: quale prezzo è disposto a pagare Kyiv per mettere fine alle ostilità? E quale prezzo morale e strategico è disposto ad accettare l’Occidente, chiamato a garantire la sicurezza futura dell’Ucraina? La dinamica è resa ancora più complessa dalla posizione ambigua e oscillante degli Stati Uniti, il cui presidente ha dichiarato in passato disponibilità a negoziare, ma senza specificare come bilanciare deterrenza e compromesso.

 Donetsk al centro del tavolo

La richiesta — così come è stata descritta — non riguarda solo porzioni simboliche del fronte: si parla del controllo completo della regione amministrativa di Donetsk. In cambio, sempre secondo le stesse fonti, la Russia sarebbe disposta a rinunciare a rivendicazioni su altre province occupate come parti di Zaporizhzhia e Kherson, configurando dunque un baratto territoriale mirato e selettivo. Se confermata, la mossa rappresenterebbe un’evoluzione tattica: la scelta di accentrarsi su un obiettivo simbolicamente e strategicamente rilevante, lasciando aperti margini di negoziazione sul resto del fronte.

Dietro la proposta c’è una logica politica e militare precisa. Donetsk, con la sua lunga storia di scontri e di occupazioni parziali dal 2014 in poi, rappresenta sia una pietra angolare della strategia russa nel Donbass, sia un terreno dal forte valore simbolico: conquistarlo definitivamente significherebbe consolidare su carta geografica un pezzo importante del progetto di ricostruzione dell’influenza russa nell’area. Dal punto di vista di Mosca, ottenere Donetsk con la garanzia di pace — e magari qualche concessione simbolica ulteriore — avrebbe un valore strategico e propagandistico enorme.

Kiev, Washington e gli alleati europei

La reazione ucraina, com’era prevedibile, è stata di rigetto. Per Kyiv la resa di parti significative del territorio equivale a rinunciare a porzioni dell’identità nazionale e a lasciare ampie fasce di popolazione alla giurisdizione di Mosca. A livello politico, il governo ucraino sarebbe in difficoltà a vendere un accordo che comporti la perdita di Donetsk al proprio elettorato e ai partner internazionali che ne sostengono la resistenza. Numerosi analisti ucraini lo definiscono un «non-starter» — ossia un punto di partenza inaccettabile per qualunque trattativa.

Gli Stati Uniti, per il tramite della Casa Bianca e di interlocutori diplomatici, oscillano tra l’appello alla soluzione negoziata e la necessità di preservare l’integrità territoriale ucraina come principio. Nell’ultimo mese la Casa Bianca ha mostrato segnali di pressione su Kyiv per considerare compromessi tattici — ma la posizione ufficiale resta quella del sostegno alla sovranità ucraina. L’interlocuzione diretta fra la presidenza statunitense e il Cremlino, con tentativi di mediazione e incontri di faccia a faccia ventilati, aggiunge un ulteriore livello di complessità politico-diplomatica.

In Europa la risposta è più compatta nel rifiutare soluzioni che implichino revisione forzata dei confini a favore della Russia; tuttavia, gli Stati membri sono divisi sulla strategia migliore per portare la Russia a negoziare senza che ciò equivalga a una resa strategica. I timori principali riguardano il precedente geopolitico: cedere Donetsk sotto pressione esternalizzerebbe la decisione sul futuro dell’Ucraina a negoziati a due, lasciando la certezza di ulteriori pretese territoriali in futuro.

Per capire la portata dell’offerta messa sul tavolo, bisogna contestualizzarla nella traiettoria del conflitto. Dal 2014 in poi, la questione del Donbass è stata al centro di negoziati e scontri intermittenti. Nel tempo Mosca ha alternato pressioni militari e aperture negoziali, cercando spesso di trasformare obiettivi tattici in concessioni diplomatiche. L’offerta di cedere in parte Zaporizhzhia e Kherson, ma di insistere su Donetsk, rispecchia questa strategia: consolidare una vittoria percettibile, pur mantenendo margini di negoziazione.

Sul piano tattico, la situazione del 2025 vede un conflitto ancora aperto ma con linee del fronte stabilizzate in molte aree. Gli ultimi cicli di combattimento hanno prodotto un logoramento reciproco: la Russia controlla ampie porzioni del territorio, ma non è riuscita a ottenere una capitolazione ucraina né una rottura definitiva della resistenza; l’Ucraina, dal canto suo, ha mantenuto punti nodali e continua a ricevere sostegno internazionale. In questo contesto, la proposta di Putin può essere letta come un tentativo di trasformare vantaggi acquisiti sul terreno in risultati negoziali permanenti.

Legalità, morale e praticità

Accettare la cessione di territori conquistati con la forza solleva questioni di principio: può una pace legittima fondarsi su annessioni de facto? Quale messaggio invierebbe alla comunità internazionale se uno Stato potesse modificare i confini di un altro con la sola pressione militare? Dal punto di vista pratico, anche nel caso di un accordo che riconosca a Mosca una porzione del territorio, rimangono in piedi problemi di governance, diritti della popolazione locale, ritorno dei profughi e ricostruzione. Nessuno di questi problemi è secondario: né per Kyiv, né per l’Occidente, né per Mosca.

L’impatto sulle popolazioni

Donetsk non è una linea astratta: è una regione con città, comunità e infrastrutture segnate da anni di conflitto. Qualunque cambio di sovranità solleverà questioni immediate: il destino delle minoranze, la tutela dei diritti civili, l’eventuale imposizione di legislazione diversa, e il rimpatrio o il ritorno di sfollati. La memoria collettiva degli ultimi anni rende queste scelte ancora più delicate: convenire su un futuro condiviso richiederà non solo accordi politici, ma misure concrete di protezione, ricostruzione e riconciliazione.

Il ruolo degli Stati Uniti e la dialettica Trump-Putin

L’intermediazione statunitense assume in questa fase un ruolo cruciale — e delicato. Se è vero che funzioni diplomatiche hanno riportato conversazioni fra Washington e Mosca, è altrettanto evidente che la posizione del presidente USA può oscillare sotto l’influenza diretta dei colloqui con il Cremlino. La scelta americana fra fare da mediatore imparziale o spingere per garanzie in favore di Kyiv determinerà largamente l’esito delle trattative. Inoltre, il comportamento statunitense sarà osservato da altri attori globali: alleati europei, stati vicini e potenze regionali che misureranno la consistenza della politica americana.

Nei prossimi giorni è probabile un’intensificazione di diplomazia e retorica: dichiarazioni ufficiali, verifiche sui contenuti del colloquio, contatti fra responsabili della difesa e analisi di intelligence per valutare l’autenticità e la portata della proposta russa. Per osservatori e cittadini, sarà essenziale distinguere fra parole di negoziato e movimenti concreti sul terreno: spesso, infatti, Mosca ha usato aperture diplomatiche come leva per ottenere tempo e vantaggi operativi.

La domanda che torna — semplice e spietata — è questa: quale pace vogliamo sostenere? Una pace che ricostituisca l’integrità territoriale dell’Ucraina, o una pace che conceda a chi ha mosso le armi ciò che ha preso con le armi? Le risposte non sono soltanto giuridiche o strategiche, ma etiche. E nella scelta pesano volontà politica, calcoli strategici, il coraggio di proteggere le comunità e la pazienza di costruire istituzioni che tengano nel tempo.

La proposta di mettere Donetsk al centro di un accordo non è un semplice atto negoziale: è un banco di prova per l’ordine internazionale. Se la comunità internazionale permetterà che il confine sia rimodellato in questo modo, cambierà il precedente e la deterrenza che fino a oggi ha reggendo certi equilibri territoriali. Se invece l’offerta verrà respinta, l’alternativa potrebbe essere una guerra prolungata — con costi difficili da immaginare. In entrambi i casi, la posta in gioco resta alta: per l’Ucraina, per la Russia e per l’intero sistema di alleanze che ha cercato, negli ultimi anni, di contenere l’aggressività territoriale con sanzioni, aiuti militari e pressioni diplomatiche.

19 Ottobre 2025
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