12:54 am, 18 Ottobre 25 calendario

Ricercatori e R&D: l’Italia cresce ma resta indietro nel dottorato

Di: Camilla Locoratolo
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Un’Italia che investe un po’ di più in ricerca e sviluppo, che mostra segnali di vitalità nel numero di ricercatori nelle imprese, ma che continua a inseguire gli standard europei nel numero di persone con dottorato. È questo il ritratto che emerge dallo studio promosso da MUSA – l’Ecosistema dell’Innovazione finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca nell’ambito del PNRR – in collaborazione con Deloitte e Assolombarda: una fotografia aggiornata del capitale umano della ricerca, dei suoi punti di forza e delle sfide che ancora restano.

Il divario resta

Tra il 2020 e il 2024 il numero di iscritti nei corsi di dottorato in Italia è cresciuto del 48,5%, passando da poco più di 31 mila a quasi 47 mila persone. È un incremento significativo, favorito anche dai finanziamenti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.

Tuttavia, se si guarda alla percentuale di dottorandi rispetto alla popolazione in età lavorativa (25-64 anni), l’Italia resta molto sotto la media europea: lo 0,16% contro una media UE attorno allo 0,35%. Insomma, pur con il progresso, il ritardo rimane.

Sul fronte dei ricercatori e degli addetti R&D con titolo PhD, la tendenza è positiva: negli ultimi dieci anni la loro presenza nelle imprese è cresciuta, sia in termini di numeri che di peso nel sistema produttivo. Ma anche qui i confronti internazionali mostrano margini di miglioramento: paesi come Francia, Germania, Paesi Bassi raggiungono tassi molto più alti di ricercatori in azienda rispetto alla popolazione attiva.

MUSA: incubatore di competenze, ponte tra accademia e imprese

Il progetto MUSA si propone come ecosistema per l’innovazione che cerca di rafforzare il legame tra ricercatori, università e aziende, sviluppando attività che vanno oltre la pura ricerca accademica. Dal suo lancio, ha coinvolto centinaia di ricercatori in discipline diverse – dalle STEM alle scienze umane – offrendo opportunità interdisciplinari e stretta collaborazione con imprese del territorio.

Nel report presentato a Milano durante l’evento “Valorizzare il capitale umano della ricerca: sinergie per il futuro”, si sono messi a confronto le aspettative dei ricercatori (sulla prosecuzione della carriera, sul tipo di inquadramento, sulla possibilità di passaggio verso l’industria) e la domanda delle aziende (che indicano come critiche competenze tecnologiche, digitali, scientifiche applicate, ma anche soft skills, capacità di lavorare in team interdisciplinari, attitudine al trasferimento tecnologico).

I rappresentanti di Deloitte e Assolombarda sottolineano come sia fondamentale costruire una strategia nazionale e territoriale che permetta di trasferire meglio le competenze: dalla formazione al dottorato fino all’inserimento professionale, passando per incentivi, incentivi fiscali, infrastrutture, spazi per la ricerca applicata.

Nonostante la crescita, i numeri italiani restano modesti rispetto a quelli di molti altri paesi europei. La sfida è non solo aumentare ulteriormente gli iscritti ai dottorati, ma garantire che questi non restino confinati solo al mondo accademico, ma entrino concretamente nel tessuto produttivo.

Studi recenti confermano che molti progetti pubblici hanno risultati di valore industriale, ma il trasferimento di brevetti o licenze domestiche rimane basso. Alcuni risultati di ricerca rimangono inutilizzati perché non ci sono imprese in Italia pronte a investirvi o perché manca coordinamento tra università, centri di ricerca e imprese.

Molti ricercatori — inclusi i dottorandi MUSA — auspicano che il percorso dopo il dottorato offra opportunità stabili in aziende o istituzioni, ma spesso le realizzazioni sono parziali: incarichi temporanei, progetti a termine, contratti poco chiari. Spesso manca un modello chiaro di inserimento aziendale per chi ha titolo di ricerca, specie fuori dai grandi poli (Lombardia, Emilia, Lazio).

Le disparità territoriali restano solide. Alcune regioni concentrano gran parte degli investimenti, dei laboratori e delle imprese che fanno R&D; altre restano marginali, con meno opportunità, strutture e risorse.

Quando il talento trova terreno fertile

Start-up tecnologiche nell’area milanese: alcuni ricercatori che hanno partecipato a progetti MUSA hanno avviato spin off che collaborano con imprese consolidate. L’appoggio del territorio, la rete tra università e aziende, e la disponibilità di infrastrutture sono stati elementi vincenti.

RTD nazionale in biotech: un giovane dottorando in biotecnologie collabora con un’impresa farmaceutica locale per sviluppare processi di produzione più sostenibili. Il suo dottorato viene riconosciuto dall’azienda come valore, non solo come titolo, e gli viene offerta una posizione tecnica con responsabilità di sviluppo.

Discipline umanistiche e R&D sociale: non solo STEM. Ci sono casi, soprattutto nell’ambito della cultura digitale, del patrimonio e del sociale, in cui giovani ricercatori hanno trovato ruolo in imprese culturali, startup che operano in ambito creativo, enti locali che finanziano progetti di rigenerazione. Queste storie mostrano che la valorizzazione esiste anche dove la mappatura dei bisogni non è immediata.

Un piano d’azione strategico

Per superare il gap rispetto all’Europa e per trasformare la promessa in risultati concreti, lo studio suggerisce alcune direzioni:

  • Incentivi fiscali e supporti mirati per le aziende che assumono dottori di ricerca e investono in R&D interna;
  • Progetti congiunti università-impresa più strutturati, con finanziamenti stabili, per creare laboratori applicativi che operino nella produzione industriale e non solo nella ricerca teorica;
  • Potenziare i dottorati industriali, aumentando le borse che prevedono una parte dell’attività svolta in azienda, per avvicinare davvero mondo accademico e mondo produttivo;
  • Formazione continua e riconoscimento delle competenze trasversali (digitali, interdisciplinari) che sempre più servono nei contesti aziendali innovativi;
  • Sviluppo delle infrastrutture territoriali, per evitare che la ricerca resti concentrata solo in poche regioni, creando poli secondo logiche di specializzazione regionale.

L’Italia si trova oggi in una fase di svolta: i fondi pubblici (in particolare PNRR), la pressione internazionale, la domanda di innovazione da parte delle imprese, le sfide climatiche e tecnologiche, tutto convergono verso una maggiore importanza della ricerca. Ci sono già segnali di cambiamento: più dottorandi, più collaborazioni, più imprese con reparti R&D, più investimenti.

Ma le strutture, la cultura, il modello organizzativo restano spesso ancorate a paradigmi tradizionali: separazione netta tra accademia e industria, scarsa mobilità, carriere instabili. Per fare davvero il salto serve un ripensamento sistemico: politiche che non solo eroghino fondi, ma generino ecosistemi in cui il sapere e la produzione possano integrarsi, con percorsi chiari per chi sceglie la via della ricerca.

L’Italia ha davanti una grande chance: quella di fare del capitale umano della ricerca una delle sue leve più forti per lo sviluppo.

18 Ottobre 2025
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