Garlasco, nuove verità tra pedofilia e riti esoterici

La piccola cittadina pavese di Garlasco torna al centro dell’attenzione nazionale: a diciotto anni dal delitto della 26enne Chiara Poggi, uccisa la sera del 13 agosto 2007 nella villetta di famiglia in via Pascoli, nuovi elementi soprendono e agitano una vicenda che sembrava ormai archiviata. L’imputato già condannato in via definitiva, Alberto Stasi — che sconta 16 anni per l’omicidio — oggi vede profilarsi un nuovo fronte: l’amico del fratello della vittima, Andrea Sempio, è indagato per omicidio in concorso con ignoti; al tempo stesso emergono documenti, tracce genetiche, file sul pc della vittima, e persino un collegamento – al momento solo ipotetico – con presunti scandali di pedofilia e riti esoterici legati al vicino Santuario della Madonna delle Bozzole. Una trama che apre più domande che risposte e riscrive, parzialmente, la cronaca giudiziaria italiana su uno dei casi più controversi degli ultimi due decenni.
Il delitto e la prima fase dell’indagine
Era il 13 agosto 2007 quando Chiara Poggi — studentessa universitaria, figlia di una famiglia nota a Garlasco — fu trovata morta con numerosi colpi al capo e al volto nella villetta di famiglia in via Pascoli. La scena del crimine suscitò immediatamente clamore: il sangue, la scala interna, l’orecchino strappato, l’ambiente apparentemente tranquillo della provincia che d’un tratto diventava teatro di un assassinio cruente.
Le indagini puntarono inizialmente su Alberto Stasi, all’epoca suo fidanzato. Dopo diversi gradi di giudizio, la Corte di Cassazione nel 2015 confermò la condanna a 16 anni per omicidio volontario.
Tuttavia, fin dall’inizio la vicenda si caratterizzò per zone d’ombra: reperti non analizzati, tracce di Dna non attribuite con chiarezza, alibi non sempre solidi, e l’impressione che l’inchiesta avesse lasciato dei margini non esplorati. Tra gli elementi più citati: l’orecchino insanguinato, mai sottoposto ad analisi complete secondo alcune ricostruzioni.
Anche i legami di amicizia della vittima, la frequentazione di ambienti vicini al santuario, le telefonate sospette nei giorni precedenti al delitto—tutti dettagli che da anni alimentano dibattiti e libri.
La riapertura dell’indagine: Sempio nel mirino
Nel marzo 2025 la svolta: per la prima volta la procura di Pavia iscrive nel registro degli indagati Andrea Sempio, allora 19enne amico del fratello della vittima, come indiziato per omicidio in concorso con ignoti. Le motivazioni: una nuova consulenza genetica, in grado di trattare reperti biologici con tecniche avanzate, ha permesso di riaccendere l’attenzione su tracce che potrebbero essere di Sempio.
Secondo gli atti, l’indagine del 2023‑24 riprende anche un fascicolo precedente, già aperto a carico di ignoti, poi riunito al nuovo procedimento. Sempio è convocato per i prelievi salivari e tampone Dna alla scientifica di Milano: un atto formale che segna l’impegno della procura ma non – almeno per ora – una accusa definitiva.
Questo passo non significa che la condanna di Stasi venga automaticamente ribaltata, ma di fatto la versione unica della vicenda — fidanzato geloso che uccide — perde la sua esclusività.
I file troppi “strani” di Chiara: pedofilia, abusi e la pendrive misteriosa
In parallelo alla riapertura, la cronaca ha messo in luce un altro elemento inquietante: la chiavetta USB che Chiara custodiva nel suo computer contiene documenti molto specifici — tra cui un file intitolato “abusati550.doc”, compilato due mesi prima dell’omicidio e dedicato a casi di pedofilia nel clero.
Secondo fonti giornalistiche, la ragazza aveva catalogato ricerche su abusi, sessualità violata, vittime di adulti, alcuni articoli riguardanti sacerdoti, “pedofili 1 2 3”, “anoressia 1 2 3 4 5”.
Tali dati alimentano l’idea che Chiara avesse visibilità o accesso a informazioni potenzialmente scomode. In particolare, la legale difensiva di Sempio, avvocato Massimo Lovati, ha avanzato l’ipotesi che la giovane potesse essere stata eliminata da un “sicario” perché “diventata scomoda” dopo aver scoperto qualcosa riguardante il vicino Santuario della Madonna delle Bozzole.
Il santuario (che dista poche centinaia di metri dalla casa della famiglia Poggi) diventa quindi un teatro possibile di fatti che andrebbero ben oltre il semplice omicidio di una studentessa.
Gli abusi, gli esorcismi: una pista che irrompe
Il collegamento che appare oggi nelle cronache è il seguente: il Santuario di Bozzole, luogo religioso con attività estese — oratorio, preghiere, in alcuni anni persino “esorcismi” secondo quanto riportato — sarebbe stato teatro di episodi gravi. Nel 2012 due cittadini rumeni furono arrestati per estorsione nei confronti del parroco, ricattato per immagini compromettenti.
L’avvocato Lovati sostiene che Chiara frequentasse l’ambiente oppure comunque ne fosse venuta in contatto; che avesse salvato documenti; e che fosse stata, appunto, una testimone non voluta. Al momento le prove non ci sono — e la Procura non ha ufficializzato alcun collegamento sancito — ma la pista è stata pubblicamente evocata e pesa sull’indagine.
Un testimone “agricoltore” ha inoltre riferito di aver udito una lite tra Chiara e un uomo nella zona nei pressi della villetta, poco prima del delitto.
Inoltre, secondo un approfondimento, l’impronta sulla scala interna coincide con il numero di scarpa che Sempio avrebbe avuto; le telefonate brevissime tra Sempio e Chiara nei giorni 4, 7 e 8 agosto 2007, le cellule telefoniche che lo collocano in zona, tutto contribuisce a un nuovo scenario.
Tutto questo porta a considerare che la vicenda non sia più solo una storia di gelosia e omicidio passionale, ma possa contenere al suo interno elementi di predazione sessuale, violenza su minori, coperture istituzionali e silenzio sociale.
Gli errori di indagine
Negli anni, l’inchiesta ha mostrato vulnerabilità: reperti lasciati inutilizzati, tracce genetiche non indagate o abbandonate, alibi e consulenze contrastanti. È stato lamentato da più parti che la pressione mediatica ne abbia condizionato l’esito.
Tra gli esempi: l’orecchino insanguinato — reperto 13 — mai analizzato secondo alcune perizie, un cucchiaino “ricco di Dna”, frammenti del tappetino del bagno, confezioni di alimenti, sacchetti, impronte non valutate.
La sentenza del 2015 era stata accolta come traguardo di verità, ma già allora gli osservatori più attenti avevano segnalato che molte domande restavano aperte. Con la riapertura del caso, i magistrati hanno avviato nuovi accertamenti, tra cui un “maxi incidente probatorio” per risolvere il nodo genetico e confrontare tracce sotto le unghie della vittima con Sempio.
Il fascicolo del 2023 – poi riunito – dimostra come la Procura abbia ritenuto opportuno dare una svolta rispetto alle archiviazioni precedenti. In un piccolo centro come Garlasco, la vicenda ha sempre avuto due facce: da un lato la comunità ferita, dall’altro le chiacchiere, le congetture, la paura che qualcuno sapesse troppo. Un testimone ha parlato di “lite” udita una mattina, un agricoltore che ha continuato a sentire “rumori insoliti”.
I legali degli indagati lamentano pressioni, intrusioni mediatiche, e la costante esigenza di dimostrare qualcosa di molto più complesso rispetto alla versione ufficiale. Nel giugno 2025, ad esempio, è emerso che un investigatore privato aveva pedinato Sempio, che ne avrebbe riferito agli avvocati difensori. La procura di Pavia non ha sinora manifestato apertura verso la pista “pedofilia/esorcismi”, piuttosto procede con cautela sulla traccia genetica. Ma il solo fatto che l’ipotesi venga pubblicamente evocata scuote la comunità e ridisegna il contorno della vicenda.
La famiglia Poggi ha finora mantenuto un atteggiamento di riserbo, pur esprimendo “riluttanza” rispetto a nuove riaperture che possano riaprire ferite. I legali di Sempio e Stasi invocano la “presunzione d’innocenza”, richiamando l’attenzione sul fatto che nessuna prova definitiva è ancora emersa.
L’avvocato di Sempio, Massimo Lovati, ha parlato apertamente di “una giovane che aveva scoperto qualcosa di grosso”, di “sicari”, di “movente occulto”. Molti inquirenti restano cauti, ma la direzione è cambiata.
E nella comunità — nei bar, tra agricoltori, nei campi attorno a Garlasco — si parla ormai di “quel file”, di “quell’orecchino”, di “quel santuario” come se fossero parte di un puzzle che nessuno aveva ancora messo insieme.
Il caso Garlasco si colloca in una zona intermedia tra cronaca, processo, verità, mito. Per anni è stato studiato come esempio di come la scienza forense — Dna, impronte, consulenze — potessero fare chiarezza. Poi però si è reso evidente che anche la scienza non basta se il contesto indiziario, sociale, investigativo ha elementi oscuri.
Il tempo gioca a doppio filo: da un lato nuovi strumenti tecnologici permettono di rianalizzare reperti ormai vecchi di quasi due decenni; dall’altro, la memoria sociale si affievolisce, i testimoni svaniscono, i reperti possono deteriorarsi o sparire.
Quello che si sta dipingendo ora è qualcosa di più ampio. Il timore che una giovane abbia scoperto un segreto troppo grosso, che sia stata zittita non solo per una lite d’amore ma per un silenzio obbligato. Il sospetto che negli anni non siano stati solo i pochi a tradire la fiducia, ma che le istituzioni — locali, religiose, investigativa — abbiano il proprio ruolo.
La vicenda di Chiara Poggi porta con sé un monito: dietro ogni delitto irrisolto, dietro ogni condanna che lascia inquietudini, c’è un tessuto umano e sociale che chiede ancora risposte. E a Garlasco, per chi ha occhi per vedere e raccontare, la verità sembra ancora lontana.
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