Zaia capolista in tutte le province: la mossa che scuote le Regionali venete

Con un annuncio dirompente, Luca Zaia — governatore uscente del Veneto e leader storico della Lega nel Nordest — ha comunicato che si candiderà come “capolista in tutte le province venete” per le elezioni regionali di novembre, a sostegno del candidato alla presidenza del centrodestra, Alberto Stefani. «Se sono un problema, cercherò di diventare un problema reale», ha dichiarato dal palco del PalaGeox di Padova, replicando ai “veti” che avrebbe ricevuto da alleati interni circa la sua presenza nella lista o nel simbolo.
La notizia, di fatto, spacca il quadro politico regionale e nazionale: non solo perché Zaia si conferma protagonista anche nell’uscita dal mandato, ma perché la mossa solleva tensioni dentro la coalizione, genera attese fra gli elettori veneti e rimette in discussione equilibri locali che sembravano consolidati.
Il contesto politico: Zaia, veti e successione
Zaia guida la Regione Veneto da tre mandati consecutivi, con forte consenso territoriale e una presenza quasi identitaria. Ma in questa fase elettorale, la sua candidatura non era stata scontata. Il centrodestra aveva già scelto Alberto Stefani come candidato presidente, e sembrava aver deciso di non inserire Zaia nella scheda elettorale, né di costruire attorno a lui una lista civica autonoma. Zaia, tuttavia, ha dichiarato di aver subito veti interni da componenti della coalizione.
Durante il discorso di apertura, Zaia ha detto: «Non capisco che si mettano veti su una persona che ha sempre governato e che i cittadini hanno sostenuto». E ancora: «Prima ti dicono che non puoi farti rieleggere, poi che non puoi costruire la tua lista civica, infine che non puoi mettere il nome sul simbolo». In risposta, ha deciso di inserirsi “come capolista in tutte le province”, presentandosi su ogni lista territoriale a sostegno del candidato presidente.
Il risultato è una doppia funzione: da un lato, un atto di manifestazione della sua forza politica residua; dall’altro, una garanzia per il partito che intende canalizzare il suo consenso anche in questa fase di transizione.
La decisione di Zaia non è passata sotto silenzio tra le forze alleate. Nel centrodestra veneto, la mossa è interpretata in vario modo: come un atto di forza per condizionare l’agenda, come una necessità tattica per salvaguardare consenso nelle province in cui il candidato presidente è meno noto, oppure come un’affermazione simbolica del radicamento locale che solo Zaia rappresenta.
Alcuni riferimenti dell’UDC e di altri partiti che compongono la coalizione hanno manifestato dubbi sulla strategia, temendo che la presenza capillare del governatore uscente possa “soffocare” la visibilità del candidato presidente. Altri, invece, la interpretano come una scommessa sulla continuità: Zaia resta un riferimento per molti territori, e il suo “peso” elettorale può alleggerire il compito di Stefani in aree meno affidabili.
In più, la dichiarazione che «dopo Zaia, scrivi Zaia» suona come un manifesto politico che lascia intendere che l’uscente resta un pilastro anche nella prossima legislatura, pur senza ambire alla presidenza. È un colpo simbolico fortissimo, che cerca di imporre il suo nome anche quando formalmente non concorrerà per la guida regionale.
Strategie elettorali
Uno dei punti più rilevanti della mossa è implicito: garantire che in ogni provincia il simbolo della Lega / coalizione raccolga il massimo dei voti possibili sfruttando il traino simbolico di Zaia. Ogni capolista rafforza la coesione locale, l’identificazione territoriale e la visibilità del brand politico.
Nei collegi più “deboli” per la coalizione di centrodestra (come in alcune zone di vicinanza con il Triveneto orientale o le aree di minor consenso storico della Lega), Zaia può fungere da calamita per ridurre la dispersione elettorale o rinforzare il “voto utile”.
Parallelamente, per Stefani è una sfida: dovrà riuscire a coesistere con l’ombra ingombrante del predecessore pur rivendicando autonomia politica. E dovrà costruire una campagna territoriale che, insieme al traino da capolista, promuova legittimità e personale visibilità.
Il “modello Zaia”: il passato che parla
Per capire la portata strategica della mossa, bisogna guardare al modello Zaia e al suo successo elettorale. Nelle elezioni regionali del 2020, Zaia ottenne voti record: circa il 76,8% di preferenze, il maggior margine mai registrato in una Regione italiana, trainando la coalizione a un boom di seggi. La Lega, con due liste (una ufficiale e una “Zaia Presidente”), superò il 60% del consenso regionale.
Dal 2010 al 2025, Zaia si è imposto come figura simbolo del Veneto: mix di amministratore pragmatico, volto moderato della Lega, interlocutore delle autonomie e gestore di emergenze ambientali e sanitarie. Il suo modello ha rappresentato la Lega “del fare” nelle regioni del Nordest. La difficoltà centrale oggi è mantenere quel modello anche dopo la sua “uscita di scena” dalla presidenza.
Il “caso Zaia” del 2025 ricorda analoghi passaggi in altre realtà regionali dove il leader uscente ha cercato di imprimere una transizione “guidata”. In molte di queste situazioni, la mossa ha funzionato se accompagnata da un candidato credibile e da un’organizzazione capillare. In altri casi, ha generato conflitti interni, ritardi nella campagna e frammentazioni inattese.
La “sfida con la Lombardia”
Zaia ha spesso paragonato il Veneto a Lombardia come benchmark: «Qui in Veneto la partita è prendere molto più dei lombardi», ha detto nel suo discorso. È una dichiarazione che richiama ambizione e competizione interregionale: non basta vincere, ma bisogna farlo con margine e autorevolezza.
L’elettorato veneto e il valore dell’identità regionale
Il Veneto, regione con forte identità territoriale — lingua, cultura locale, autonomia — ha spesso premiato candidati che incarnano la sovranità locale. Zaia, negli anni, ha saputo incarnare quell’equilibrio fra le istanze locali (autonomia fiscale, differenziazione regionale) e il consenso nazionale (alleanze nel centrodestra).
La sua candidatura capillare vuol continuare a sfruttare quel legame identitario: «il militante è sempre pronto», ha detto, rimandando all’idea che il suo impegno non termina con l’uscita dalla presidenza. L’elettorato che si identifica con il suo stile amministrativo, la gestione del territorio, la risposta alle emergenze sanitarie e ambientali — è un patrimonio che vuol essere preservato anche nella nuova fase.
La mossa di Zaia è già una dichiarazione strategica: non vuole essere sostituito senza condizionare la fase successiva. È una scommessa sul consenso personale, sulla forza dei simboli e sull’eredità politica. Se la coalizione vince, il nuovo presidente dovrà assumersi un ruolo credibile pur operando in ombra di un’ombra ingombrante. Se perde, la presenza capillare di Zaia potrebbe mitigare il danno attribuibile al candidato presidente.
Nel gioco delle alleanze, Zaia può far pendere l’ago. Nel disegno politico veneto, anche la prossima legislatura potrebbe portare “dopo Zaia, scrivi Zaia” come slogan implicito.
© RIPRODUZIONE RISERVATA