11:40 am, 17 Ottobre 25 calendario

Telefonata Trump-Putin: “grandi progressi”.

Di: Redazione Metrotoday
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 È in vista un vertice a Budapest

In un clima internazionale tesissimo, la Casa Bianca ha annunciato che il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il presidente russo, Vladimir Putin, hanno avuto una conversazione telefonica durata circa due ore e mezza, definita “molto produttiva”. Secondo il resoconto ufficiale, nel corso del colloquio i due leader avrebbero compiuto “grandi progressi”, tanto da concordare la convocazione di un vertice a Budapest (Ungheria) nei prossimi giorni, con l’obiettivo di valutare se sia possibile porre fine al conflitto tra Russia e Ucraina.

L’iniziativa diplomatica arriva alla vigilia dell’incontro tra Trump e Volodymyr Zelensky previsto alla Casa Bianca, mentre il conflitto ucraino attraversa oggi una fase di logoramento prolungato. L’annuncio ha suscitato reazioni contrastanti nei circoli diplomatici e accesi interrogativi sulle reali intenzioni dei protagonisti — e su quale “pace” si potrebbe negoziare, a che condizioni, e con quali margini di credibilità internazionale.

Il testo della telefonata: punti salienti
Secondo le dichiarazioni rilasciate successivamente, Trump ha affermato che l’iniziativa di convocare il summit a Budapest sarebbe partita da lui, propostasi come luogo “neutrale” e simbolico nel cuore dell’Europa. Putin avrebbe accolto l’idea con favore. Il colloquio ha toccato questioni fondamentali: l’eventuale fornitura di missili Tomahawk agli ucraini, l’evoluzione militare sul terreno, i rapporti commerciali post-guerra e il percorso diplomatico verso una tregua.

Sul tema dei Tomahawk, il Cremlino — tramite il consigliere Yuri Ushakov — ha ribadito che l’invio di queste armi costituirebbe una seria minaccia alle relazioni bilaterali e alle prospettive di pace, senza peraltro garantire una modifica decisiva dello scenario militare. Dalla parte statunitense, Trump ha replicato che gli USA “ne hanno molti”, ma che non possono esaurirli: “non sappiamo ancora cosa potremo fare” ha detto.

Parallelamente, l’inquilino della Casa Bianca ha riferito che Putin avrebbe iniziato il dialogo congratulandosi con lui e con gli Stati Uniti per il “grande risultato della pace in Medio Oriente”, evocando una strategia diplomatica che colleghi scenari mediorientali con la crisi ucraina. Nel corso della telefonata si sarebbe parlato anche di prospettive commerciali fra Stati Uniti e Russia una volta terminato il conflitto in Ucraina.

Trump ha inoltre annunciato che, prima del vertice dei due capi di Stato, si terranno incontri preparatori fra delegazioni di alto livello: gli Stati Uniti saranno rappresentati dal segretario di Stato Marco Rubio, e la controparte russa dal ministro degli Esteri Sergej Lavrov. Questi incontri preliminari saranno propedeutici alla definizione dell’agenda e dei dossier da portare al tavolo di Budapest.

Budapest
La scelta di Budapest non è casuale.  Viktor Orbán si è detto entusiasta: “Una grande notizia per chi vuole la pace, siamo pronti”, ha scritto sui social riferendosi al summit imminente. Il posizionamento politico dell’Ungheria è noto: da anni Budapest ha tenuto una linea più distensiva verso la Russia rispetto ad altri Paesi dell’Unione Europea, opponendosi all’invio di armi a Kiev e mantenendo forti rapporti commerciali energetici con Mosca.

Inoltre, Budapest è già legata alla storia della sicurezza post-sovietica: è qui che, nel 1994, fu firmato il cosiddetto “Memorandum di Budapest”, in cui Russia, Stati Uniti e Regno Unito offrirono garanzie di sicurezza all’Ucraina in cambio dell’abbandono del suo arsenale nucleare. Quel patto viene oggi spesso evocato come promessa non mantenuta, dopo che la Russia ha annesso la Crimea e ha lanciato l’invasione del 2022. Portare il dialogo in Ungheria assume dunque anche un forte valore simbolico: si punta – almeno nella narrativa diplomatica – a riprendere fili che portano al cuore del sistema di garanzie europeo.

Per Mosca, Budapest rappresenta un terreno europeo “accettabile”, con il vantaggio di non essere territorio ucraino né russo ma vicino a entrambe le sfere d’influenza. La capacità di Orbán di agire come ponte diplomatico — tra est e ovest — potrà rivelarsi fondamentale nella logistica e nell’impostazione di sicurezza per l’incontro.

Il precedente: il vertice di Anchorage
La nuova iniziativa si inscrive nel solco del precedente vertice tra Trump e Putin tenutosi in Alaska lo scorso ferragosto. Quell’incontro, mediaticamente enfatizzato come historic, aveva generato aspettative elevate: un possibile cambio di passo nella mediazione della crisi ucraina. Tuttavia, i risultati concreti furono modesti. In conferenza stampa, Trump e Putin definirono la partecipazione come “costruttiva” e “produttiva”, ma non furono annunciati accordi vincolanti.

Tra i temi toccati ad Anchorage ci furono i confini ucraini, la proposta di “swap territoriali” che avrebbe richiesto la partecipazione attiva di Kiev, e l’ipotesi di una forza di peacekeeping internazionale. Zelensky non partecipò — anzi, era stato criticato da Trump e Putin per la sua esclusione — e ciò prefigurò anche allora la linea di dialogo tripartita che oggi torna in luce. L’incontro, dunque, non sciolse i nodi: la guerra proseguì, le tensioni militari e diplomatiche non fecero che ampliarsi.

L’esperienza di Anchorage abbraccia importanti insegnamenti: un incontro tra capi di Stato può imprimere slancio simbolico e ricreare canali diplomatici, ma non basta da solo a generare una tregua duratura. La fragilità del contesto ucraino e l’eterogeneità dei possibili interlocutori impediscono un decisionismo unilaterale.

Scetticismo internazionale
L’annuncio di un incontro a Budapest alimenta speranze ma anche dubbi. Alcuni analisti sostengono che la convocazione possa rappresentare una mossa tattica più che un passo concreto verso la pace: uno show diplomatico utile a rivendicare iniziative statunitensi, a rimettere in campo Trump sulla scena globale, e a indebolire la posizione ucraina in trattative future.

Da parte ucraina, Zelensky — atteso alla Casa Bianca poco dopo la telefonata — è atteso con una lista di richieste stringenti, in particolare la fornitura di armi a lunga gittata. Molti osservatori ritengono che quel tema diventerà il punto dirimente: se gli USA concederanno o meno i Tomahawk, e in che misura, sarà un segnale forte per la prosecuzione del conflitto.

L’Unione Europea, dal canto suo, si troverà a osservare con attenzione. Budapest ospiterà il vertice, ma il clima comunitario è tutt’altro che unanime: alcuni Stati membri guardano con sospetto al possibile ruolo negoziale di Ungheria in una mediazione che intrinsecamente coinvolge dispute su principi europei di sicurezza, difesa e coesione politica.

Anche la Russia non è un interlocutore monolitico: dietro il Cremlino operano correnti e apparati con ambizioni e visioni divergenti. Putin potrà accettare compromessi parziali, ma senza mettere in pericolo le linee politiche e le strategie militari su cui ha investito molto dal 2022 in avanti.

La posta in gioco è alta: stabilire se gli Stati Uniti — tramite Trump — intendano riassumere un ruolo di mediatore attivo nel conflitto, ma anche se la Russia accetti di negoziare sotto pressione e con supervisione internazionale. Per l’Ucraina, il vertice di Budapest può rappresentare una finestra di possibilità o una trappola diplomatica. Per l’Europa, sarà un banco di prova sulla capacità di condizionare, partecipare e difendere i propri valori in una trattativa che rischia di ridefinire equilibri globali.

La telefonata Trump–Putin  segna un tentativo di rilanciare la diplomazia strategica in una guerra che sembra aver perso progressi decisivi sul campo. L’ipotesi di un incontro a Budapest rappresenta un passo simbolico e tattico allo stesso tempo: potrebbe rimettere in moto canali spenti e riportare l’attenzione mediatica sulle trattative. Ma perché ciò avvenga davvero, servirà che le parole vengano seguite da atti — che le intenzioni si traducano in impegni verificabili e che Kiev non venga marginalizzata nel percorso decisionale.

 

 

17 Ottobre 2025
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