10:33 am, 14 Ottobre 25 calendario

Miriam Adelson: chi è la miliardaria dietro l’accordo su Gaza

Di: Redazione Metrotoday
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Le reti di potere, le ragioni di un’influenza che ha ridefinito un negoziato

Miriam Adelson è oggi uno dei nomi più citati nei corridoi della diplomazia internazionale, al centro delle cronache dopo aver rivendicato — o comunque sostenuto di avere favorito — un ruolo dietro le quinte nell’accordo che ha portato alla tregua e ai rilasci di ostaggi nella crisi di Gaza. Per capire cosa significhi, però, occorre guardare alla sua biografia, al lascito di un matrimonio pubblico e strategico, alle relazioni con il potere negli Stati Uniti e in Israele, e alla capacità di trasformare ricchezza e media ownership in leva politica. Questo ritratto non pretende giudizi sommari: cerca piuttosto di ricomporre la filigrana di potere che collega una donna, le sue istituzioni e un momento geopolitico cruciale.

Dal medico filantropo alla piazza del potere

Nata a Tel Aviv nel 1945, Miriam Farbstein — divenuta poi Adelson — si forma come medico, specializzandosi nella cura delle dipendenze. È un dato che torna spesso nei profili: la sua formazione scientifica e il lavoro con dipendenze e riabilitazione rimangono tracce importanti di una carriera che, più tardi nella vita, si fonderà con l’attività imprenditoriale del marito Sheldon Adelson. Dal 1991, anno del matrimonio con Sheldon, fino alla morte di lui nel 2021, i due hanno costruito un impero economico e mediatico che travalica il gioco d’azzardo e il real estate: Las Vegas Sands, proprietà di famiglia, testate giornalistiche in Israele e negli Stati Uniti, importanti donazioni politiche. Dopo la scomparsa del marito, Miriam ha assunto il controllo di molti asset e ha consolidato un ruolo che non è più solo quello di erede, ma di protagonista attiva nelle dinamiche politiche globali.

Nel corso degli ultimi anni il nome di Miriam Adelson è diventato sinonimo di “mega-donatrice” della destra americana: finanziamenti imponenti a candidati, fondazioni conservatrici, e contributi diretti a campagne elettorali. È stato questo circuito di denaro e relazioni che le ha consentito un accesso privilegiato ai leader politici statunitensi e israeliani — una leva che, secondo più resoconti giornalistici, è stata utilizzata anche in funzione delle trattative sul conflitto israelo-palestinese.

L’influenza su policy e diplomazia

La ricchezza non spiega tutto: Miriam Adelson ha investito — e continua a farlo — in quello che gli esperti definiscono “ecosistema dell’influenza”: media, think tank, generosità filantropica orientata (istituti di ricerca, cliniche, centri pro-Israele), e l’acquisto o il sostegno a testate in grado di orientare l’opinione pubblica. Possedere o controllare organi di informazione in Israele ha significato, per lei e la sua famiglia, avere un canale diretto di comunicazione con una fetta importante dell’opinione pubblica israeliana: una risorsa politica rilevante quando si trattava di esercitare pressioni o promuovere narrative favorevoli a certe linee governative.

Allo stesso tempo, i contributi finanziari ai circoli repubblicani e a candidati chiave negli Stati Uniti — inclusi fondi destinati a sostenere campagne pro-Trump — hanno creato un circuito di accesso diretto alla Casa Bianca, ai segretari di Stato e ad altri attori decisionali. È in questo spazio che si colloca la narrativa attuale: Miriam Adelson, grazie ai suoi mezzi, avrebbe pressato per una soluzione rapida alla crisi, spingendo per scambi di prigionieri e interventi diplomatici coordinati tra Washington, Gerusalemme e i mediatori regionali. Che questo sia stato fatto con freddezza strategica oppure con genuina preoccupazione umanitaria è materia di interpretazione; resta il fatto che la sua presenza ai tavoli — o la capacità di influenzarli — è oggi un dato di realtà riconosciuto anche da protagonisti della scena internazionale.

Il ruolo nel negoziato su Gaza

Nelle ultime settimane Miriam Adelson è stata ritratta dalla stampa come figura che ha spinto, finanziato e messo in relazione attori diversi per favorire il rilascio degli ostaggi e una sospensione dei fuochi. Testimonianze giornalistiche parlano di telefonate, incontri con diplomatici e di un’attività di lobbying esercitata attraverso canali privati: donatori, mediatori regionali e persino leader di paesi che hanno svolto un ruolo di contatto con Hamas e con Israele. In questo senso il “ruolo Adelson” non è tanto istituzionale quanto privato: una sequenza di scelte e contatti che sfruttano risorse personali e relazioni per ottenere risultati che, nel linguaggio diplomatico, si configurano come “mediations from outside”.

Questa dinamica — privata, personale, ma con effetti pubblici e geopolitici — solleva interrogativi sul confine tra diplomazia ufficiale e iniziative d’influenza privata. Non è una novità che i donatori ricchissimi tentino di modellare politiche estere; ciò che è però nuovo è la scala e la trasparenza di tali interventi: quando una singola personalità riesce a modificare l’agenda di una crisi, la democrazia della decisione pubblica si trova a fare i conti con soggetti non eletti ma straordinariamente potenti.

Geopolitica e filantropia

Per comprendere le motivazioni di Miriam Adelson non si può prescindere dall’analisi delle sue radici e delle sue scelte filantropiche. Di origine israeliana, con un passato famigliare segnato dall’ebraismo europeo del Novecento, Adelson ha sempre percepito l’impegno per lo Stato ebraico come parte essenziale della propria identità pubblica. La filantropia in ambito medico, la fondazione di cliniche per il recupero dalle dipendenze, e la scelta di donare a istituzioni culturali e di ricerca dimostrano una dimensione personale che convive con quella politica. Ma accanto a questo stanno scelte chiare: il sostegno a politiche israeliane dure contro il terrorismo, il finanziamento di una comunicazione che difenda posizioni nazionaliste, e l’impulso a utilizzare il potere economico per ottenere risultati concreti in politica estera.

È questo intreccio di motivazioni (identitarie, strategiche, filantropiche) che ha reso possibile l’accesso di Adelson ai tavoli decisionali per la questione di Gaza. Non si tratta, almeno secondo alcuni osservatori, di mero interesse personale o di ritorno economico, ma di una visione geopolitica coerente con le sue posizioni pro-Israele.

Il ruolo di personaggi come Miriam Adelson non è privo di contestazioni. Critici e analisti denunciano i rischi di una “diplomazia privata” che può aggirare meccanismi istituzionali, la pericolosa concentrazione mediatica in mani private e l’impatto che ciò ha sulla pluralità informativa. I giornali che sotto la sua influenza operano, dicono i detrattori, possono diventare strumenti di pressione politica e di legittimazione di politiche governative controverse. D’altro canto c’è chi sottolinea la delicatezza della situazione: in scenari di guerra dove i canali ufficiali sembrano bloccati, l’apporto di attori non convenzionali, anche privati, può in certe circostanze svolgere un ruolo decisivo per salvare vite.

Un altro versante di critica riguarda il confine tra legittimo esercizio di influenza e “mercificazione” del potere pubblico: quando il sostegno finanziario a partiti e capi di governo si traduce in accessi privilegiati, il pericolo è che la politica diventi opportunità per chi può pagare. È una critica che investe non solo Miriam Adelson ma tutto il sistema dei mega-donatori.

La lunga scia degli Adelson nella politica americana

Per capire l’attuale centralità di Miriam occorre ricordare il percorso iniziato con Sheldon: l’imprenditore aveva trasformato le sue fortune in influenza politica, sostenendo candidati, think tank e iniziative conservative negli Stati Uniti e in Israele. La coppia Adelson ha ridefinito, nel corso degli ultimi due decenni, la relazione tra grande capitale e politica estera pro-Israele negli Stati Uniti. Dopo la morte di Sheldon, Miriam non ha solo ereditato asset ma ha ereditato — o assunto — responsabilità politiche: donazioni colossali alle campagne, presenza in eventi pubblici, relazioni personali con leader e funzionari. In anni recenti è stata una delle principali finanziatrici delle iniziative pro-Trump, e questo ha creato un ponte determinante tra la Casa Bianca e Gerusalemme quando si sono dovute prendere decisioni cruciali per il fronte mediorientale.

L’effetto politico e mediatico dell’accordo su Gaza

Se le notizie sulla sua influenza si confermano, lo scenario politico cambia: la figura della “donatrice” diventa protagonista geopolitica, capace di influenzare la libertà d’azione dei governi. L’accordo su Gaza — che ha visto l’intervento di diversi mediatori internazionali — appare oggi anche come il risultato di una contaminazione tra diplomazia pubblica e pressione privata. Per il mondo politico questo pone una sfida: regolare i confini dell’intervento privato, tutelare la trasparenza, ma non chiudere la porta a canali che, in casi emergenziali, possono fare la differenza.

Miriam Adelson è dunque una figura contraddittoria: filantropa e donatrice, fautrice di politiche aggressive e insieme sostenitrice di cause mediche; potente e al contempo mediatrice informale. Il suo ruolo nel recente accordo su Gaza è un capitolo nuovo di una storia che ha radici profonde: la fusione tra capitale privato, media ownership e politica estera. Su quella linea si giocheranno — nei prossimi mesi — dibattiti sulla regolazione del potere privato, sulla trasparenza delle campagne politiche e sulla legittimità di iniziative diplomatiche condotte “dal basso” ma con effetti dall’alto.

14 Ottobre 2025
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