9:59 am, 14 Ottobre 25 calendario

È ancora il momento dei Labubu?

Di: Camilla Locoratolo
condividi

Il fenomeno dei pupazzi-portachiavi che hanno conquistato il look dei VIP

Piccoli, pelosi, con due orecchie lunghe e un sorriso dentato da furbetto: i Labubu sono passati dall’essere un giocattolo da collezione a un accessorio di moda visibile sulle borse delle celebrity e nelle mani degli influencer. In pochi mesi il personaggio creato dall’illustratore Kasing Lung e popolarizzato dall’azienda POP MART ha cambiato scenario, trasformandosi in icona pop che interseca cultura dei fan, street style e mercato del lusso. Ma la domanda che circola nelle redazioni e nei feed è semplice: è un fenomeno destinato a restare o solamente un fuoco di paglia del guardaroba delle celebrità?

Dalla libreria alle borse delle star: la genesi di un mostriciattolo

Labubu nasce come personaggio illustrato: Kasing Lung, artista di origine asiatica, disegna nel tempo una serie di creature dal tratto naïf ma inquietante, che uniscono elementi fiabeschi a un’espressione smaliziata. La collaborazione con POP MART — gigante dei toy blind-box — porta il personaggio dalla pagina al vinile e al peluche: serie a tema, varianti cromatiche e la fortuna del sistema «a sorpresa» creano l’elemento chiave della domanda: la rarità percepita. Chi acquista un blind box non sa quale versione troverà: questa dinamica unisce la caccia al tesoro alla logica del collezionismo, con un ingrediente di social show (l’apertura in diretta, lo unboxing) che alimenta la viralità.

Per i guru del marketing contemporaneo, è una formula azzeccata: design riconoscibile + edizioni limitate + community online molto attiva = ricorso costante a drop a tiratura controllata e, quindi, linfa per scalpore mediatico e mercato secondario. La transizione verso la moda è avvenuta per sovrapposizione: celebrity fotografate con i Labubu appesi a borse di lusso, brand che li citano in sfilate e campagne, e la trasformazione dell’oggetto in charm da borsa.

Perché le star li portano — e cosa comunica un pupazzo attaccato a una Birkin

Le ragioni sono diverse e vanno oltre il semplice «carino». Primo: segnale di accessibilità e ironia. Appendere un pupazzo da pochi euro (ma non sempre: le varianti rare possono valere molto di più sul mercato secondario) a una borsa di lusso è un atto di rottura giocoso, un modo di «democratizzare» l’aura del lusso attraverso l’ironia. Secondo: narrazione personale. Per molte star, il Labubu diventa un talismano, un oggetto-feticcio che racconta appartenenza a una community globale (fanclub, collezionisti). Terzo: visibilità mediatica. L’immagine di una celebrità con un Labubu genera scatti, repost, engagement: il contenuto visual è perfetto per Instagram e TikTok.

Non è un caso che le prime apparizioni siano arrivate proprio da nomi che sanno giocare con l’immagine: musiciste, modelle e influencer hanno trasformato il giocattolo in statement. L’effetto è stato immediato: follower che imitano, negozi POP MART presi d’assalto, rivendite sul mercato secondario con prezzi che oscillano in base alla rarità.

Il mercato: scorte, file, rivendite e l’influenza del blind box

La logica commerciale dietro i Labubu è il motore che ha accelerato la diffusione. POP MART organizza drop, aperture di store tematici e collaborazioni con boutique e department store: eventi che spesso generano code e un senso di urgenza. La disponibilità limitata, unita alla componente «blind», genera turbolenza nel mercato: alcuni modelli rari raggiungono prezzi di rivendita molto elevati, alimentando speculazione e un mercato secondario attivo su piattaforme d’asta e sneaker-style.

Questo circolo virtuoso per la domanda si scontra però con il rischio di saturazione: quanto può durare una domanda costruita su scorte esigue e hype continuato? Le imprese che gestiscono questi fenomeni cercano di allungare la vita del trend con collaborazioni — capsule con maison, versioni inedite, crossover con altre property culturali — ma la regola resta semplice: quando l’offerta supera l’esclusività o quando il racconto sociale perde intensità, l’interesse cala.

Street style: come si porta un Labubu e le nuove regole dell’abbinamento

Nel guardaroba urbano, i Labubu si portano senza pudore. Le combinazioni più diffuse:

  • appesi alle tracolle di borse di lusso (tendenza che ha generato discussione nella critica di costume);

  • attaccati a zainetti e borselli per un effetto «cute-punk»;

  • come charm ai portachiavi, mixati a nastri e medagliette personalizzate;

  • integrati in collane o accessori customizzati da artigiani del fandom.

Stylist e osservatori della moda segnalano però due regole pratiche: evitare l’eccesso (troppi charm riducono l’impatto), scegliere versioni cromatiche che riprendano il look complessivo e usare il pupazzo come punto di rottura piuttosto che come elemento dominante. In molti scatti di street style, il Labubu è la pennellata di colore che trasforma un outfit neutro in una storia fotografica virale.

Critiche e snobismi: quando il gioco non piace ai puristi

Il fenomeno non è esente da resistenze. Alcuni critici di moda definiscono la tendenza kitsch, accusandola di banalizzare il lusso e di promuovere consumismo rapido. In ambito commentaristico più popolare, si è parlato di «style crime» — cioè di un errore estetico — quando i pupazzi vengono abbinati in modo goffo o lasciati accumulare in modo disordinato. Esiste poi la critica culturale: trasformare oggetti nati per bambini in status symbol per adulti può apparire come appropriazione di dimensioni affettive a fini commerciali.

C’è anche la questione ecologica: produzione massiva di giocattoli-accessori e logistica dei drop sollevano interrogativi sulla sostenibilità. Le community di collezionisti rispondono in parte con pratiche di riuso, swap e customizzazione, ma la domanda rimane: quanto di questa moda è riciclabile e quanto è destinato a entrare in una catena di consumo veloce?

Labubu e luxury collaborations: quando la pelliccia incontra la pelle pregiata

Per prolungare il ciclo di vita di un fenomeno, la strategia più efficace è la collaborazione con il lusso. Capsule collection, apparizioni alle sfilate e partnership con maison hanno già preso forma: versioni speciali, packaging di alta gamma e co-branding con etichette attente alle tendenze pop. Queste mosse rispondono a due obiettivi: elevare la percezione del prodotto e sostenere il desiderio di esclusività.

È una danza delicata: se la collaborazione è ben fatta, crea storytelling; se è vista come mera operazione commerciale, rischia di sgonfiare l’aura autentica del collezionismo. Per ora, molte delle partnership sono state accolte come espressione di cross-pollination culturale tra pop e luxury.

I Labubu sono l’esempio perfetto di come nel XXI secolo un prodotto culturale possa viaggiare dalla nicchia al mainstream in tempi record. La forza di questo fenomeno non risiede solo nel design — riconoscibile e fotografabile — ma nella capacità di costruire micro-comunità, generare narrazioni e trasformare il consumo in performance sociale.

Se la moda è anche racconto, allora i pupazzi appesi alle borse raccontano molto: parlano di ironia, di appropriazione giocosa del lusso, di collezionismo 2.0 e di economie parallele. Se chiediamo ai trend watcher, la risposta è cauta: i Labubu hanno ancora fiato, ma la loro longevità dipenderà dalla capacità degli attori coinvolti di mantenere viva la storia, senza trasformare il successo in mera mercificazione.

 

14 Ottobre 2025 ( modificato il 13 Ottobre 2025 | 20:16 )
© RIPRODUZIONE RISERVATA