Quando un nido d’avvoltoio custodisce un sandalo

Il mistero di un passato rimasto al buio
Nel sottile confine tra natura e storia, un’inaspettata scoperta riaccende l’interesse per il modo in cui gli ecosistemi e l’attività umana si intrecciano nel tempo. In una grotta montana dell’Andalusia meridionale, in Spagna, un antico nido di avvoltoi barbuti (gipeti) ha restituito un sandalo di sparto ben conservato, databile a circa 650 anni fa, insieme a decine di altri reperti umani e biologici accumulati lungo secoli di occupazioni successive.
L’originalità del ritrovamento non risiede soltanto nella semplice presenza di un manufatto così longevo, ma nella circostanza unica in cui è sopravvissuto: in un nido, tra ossa, stoffe, fibre vegetali e strati accumulati da generazioni di rapaci. Quel nido è diventato, per gli archeologi ed ecologi, un museo naturale — una finestra sul mondo medievale e sulle attività umane nelle montagne iberiche.
Un sandalo nel nido del gipeto
Tra il 2008 e il 2014, un gruppo di studiosi diretti da Antoni Margalida dell’Istituto Pirenaico di Ecologia ha ispezionato una dozzina di nidi storici di gipeto (Gypaetus barbatus) situati su pareti rocciose nella Spagna meridionale. Pur essendo estinta oggi in queste zone, la specie nei secoli passati era presente e utilizzava i suoi nidi in siti rocciosi protetti, spesso in grotte o ripari di scogliera.
I ricercatori hanno effettuato scavi stratigrafici all’interno di questi nidi, sezionandoli in strati come un sito archeologico, e hanno recuperato complessivamente 2.483 reperti. Di questi, la grande maggioranza (2.117) erano resti ossei, riconducibili all’alimentazione dei rapaci (scheletri e frammenti di animali). Altri includono gusci d’uovo (43 frammenti), e più sorprendentemente 226 reperti antropici, ossia oggetti di origine umana: frammenti di tessuto, spago, fibre vegetali intrecciate, pelle dipinta, e in particolare il celebre sandalo di sparto (detto “agobía”) che risalirebbe alla fine del XIII secolo.
La datazione al radiocarbonio di alcuni dei reperti ha permesso di collocare il sandalo in un’epoca compresa tra 650 e 750 anni fa. Allo stesso modo, altri elementi hanno restituito età diverse, con reperti risalenti fino al XVIII secolo — segno che quel nido è stato “usato, riempito, ristrutturato” per secoli.
Particolarmente suggestivo è il paragone con i depositi archeologici — perché un oggetto in materiale deperibile come uno sparto vegetale, in condizioni normali, si deteriorerebbe rapidamente. Ma le condizioni interne dei nidi — microclima stabile, protezione dalle intemperie e dall’azione diretta — hanno creato un ambiente preservativo che ha “congelato” quel materiale fragile nella memoria del tempo.
Il gipeto, “ladro volante” con i nidi come archivi
Per comprendere perché e come una scarpa medievale possa trovarsi in un nido di avvoltoio, bisogna guardare alla biologia del gipeto e al suo comportamento “accumulatore”.
Il rapace consumatore di ossa
Il gipeto è un avvoltoio particolare: si nutre quasi esclusivamente di ossa. Una volta raggiunta la carcassa, può frantumarne parti più grandi lanciandole su rocce. Per nutrire i piccoli, trasporta frammenti ossei al nido, dove vengono consumati. Questo suo modo di alimentarsi comporta l’accumulo di molte ossa nel nido, che nel tempo possono formare strati compatti.
Riutilizzo dei nidi
Un’altra caratteristica del gipeto (e di altri rapaci territoriali) è la lunga rioccupazione del medesimo luogo di nidificazione. I nidi si fondano in pareti rocciose protette, dove la stabilità ambientale (temperatura, umidità) aiuta la conservazione del materiale depositato. In pratica, un nido può essere usato, ampliato, modificato per decenni o secoli, diventando un deposito stratificato di resti animali, vegetali e occasionalmente antropici.
Raccolta di materiale “estraneo”
Per costruire e mantenere il nido, i rapaci possono integrare rametti, fibre vegetali e altri frammenti trovati nell’ambiente circostante. Ed è qui che entra in gioco la materia antropica: si ipotizza che alcuni elementi, come il sandalo, possano essere stati raccolti involontariamente nei pressi del nido — magari assieme a rami, spago, frammenti di tessuto presenti nell’ambiente umano vicino — o siano stati trasportati indirettamente (ad esempio, inseriti tra carcasse, legumi, rifiuti organici) e integrati nel nido. In altri casi, i gipeti potrebbero aver “rubato” materiale utile presente intorno ai siti umani: spago, pelle o filamenti vegetali usati come “cuscino” o materiale vegetale per isolare il nido.
In sintesi, i nidi dei gipeti non sono solo luoghi di allevamento, ma veri depositi naturali, che registrano nel tempo un mosaico di elementi dell’ecosistema, compresi quelli antropici che cadono nel “raggio d’azione” del rapace o delle sue prede.
Cosa ci racconta la scarpa
Il sandalo di sparto rinvenuto nel nido non è semplicemente un oggetto curioso: è una testimonianza materiale di pratiche artigianali medievali, materiali vegetali e relazioni spazio-uomo nell’ambiente montano iberico.
Agobía: la scarpa vegetale medievale
Il tipo di calzatura individuato è noto come agobía — sandali leggeri, intrecciati con fibre vegetali (tipicamente sparto, una pianta mediterranea erbacea usata tradizionalmente per vimini, cesti e corde). Queste scarpe avevano una durata limitata: si usuravano e venivano riparate o sostituite con frequenza. Il fatto che una di esse sia arrivata fino al XXI secolo in un nido selvatico è straordinario.
La presenza di altri materiali antropici — pelle dipinta, tessuti, spago — fornisce il contesto per immaginare che quegli oggetti provenissero dall’ambiente umano vicino: comunità pastorali, villaggi di montagna o rotte transumanti. Quei materiali, persi, gettati o usati come modesti “rifiuti”, sono stati inglobati nel tessuto ecologico, depositati e conservati nel nido.
Attraverso l’obiettivo stratigrafico (analisi degli strati via sezione), gli scienziati hanno ricostruito il “tempo del nido”: gli strati più profondi risalgono a epoche medievali (XIII secolo), altri livelli mostrano materiali dei secoli più recenti (XVIII, XIX). Ciò suggerisce che il nido è rimasto attivo o continuamente rinnovato nel corso di molti secoli.
La presenza di reperti antichi nei livelli più profondi, e reperti più recenti nei livelli superficiali, rende chiaro che il nido ha avuto una vita lunga, fungendo da archivio naturale progressivo.
I nidi come musei naturali
Perché proprio quel sandalo? Non possiamo sapere con certezza se il sandalo sia stato “raccolto” attivamente dal gipeto o se sia stato incorporato indirettamente (ad esempio, come parte di rifiuti organici o tra carcasse). Un solo sandalo non descrive tutta l’attività umana di quel territorio: è un frammento, che va contestualizzato con altri dati archeologici locali.
– Condizioni di preservazione eccezionali: non tutti i nidi mostrano simili capacità conservatrici; le specifiche condizioni del sito — umidità, ventilazione, protezione — sono essenziali per che il materiale sopravviva.
– Distinguere il naturale dall’antropico: spesso oggetti naturali (rami, fibre vegetali) e oggetti antropici si mescolano. La classificazione e interpretazione accurata dei reperti richiede attenzione, comparazioni e analisi specialistiche.
Un ponte tra natura e memoria
La scarpa medievale trovata nel nido del gipeto è molto più di un reperto curioso: è un simbolo di come la natura possa diventare custode del ricordo umano. Quel nido, sospeso tra roccia e cielo, ha preservato frammenti della vita materiale medievale, tra ossa, fibra vegetale e pelle dipinta. È una testimonianza silenziosa del fatto che la terra e gli animali interagiscono con la storia, non come semplice sfondo, ma come partecipanti attivi nella conservazione del passato.
In uno scenario in cui la moderna archeologia tende a scavare siti umani, qui è stato un rapace — il gipeto — che, inconsapevolmente, ha costruito, strato su strato, un archivio.
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