La lattuga nello spazio allontana il sogno marziano

Quando crescere, gustare e analizzare una foglia diventa una sfida interplanetaria
Nel maggio 2025, immagini provenienti dal Kennedy Space Center hanno mostrato un gesto apparentemente semplice: un tecnico raccoglie un cespo di Outredgeous, varietà di lattuga romana, coltivato nel modulo Advanced Plant Habitat a supporto dell’esperimento Plant Habitat‑07, destinato alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
Questa immagine — un uomo che maneggia un’insalata — racchiude in sé decenni di ambizioni umane: nutrire gli astronauti durante viaggi prolungati, costruire sistemi di vita autosufficienti, e, più ancora, provare che poter vivere su altri mondi non è solo fantascienza.
Ma i risultati più recenti, attesi con speranza, suggeriscono che la via verso la colonizzazione di Marte sarà più ardua — e ricca di ostacoli fisiologici, tecnici e biologici — di quanto si fosse finora immaginato.
Il sogno della lattuga spaziale
La coltivazione di piante in ambiente microgravità non è un esperimento recente. Dal programma Veggie (Vegetable Production System), che è entrato in funzione sulla ISS dal 2014, gli scienziati hanno testato ripetutamente la possibilità di crescere verdure fresche (insalate, brassicacee, anche peperoni) in condizioni spaziali.
L’intento è duplice: da un lato migliorare la qualità nutrizionale dell’alimentazione degli astronauti (che altrimenti si baserebbero su razioni liofilizzate e conservate); dall’altro, studiare come i sistemi viventi si adattino a microgravità, radiazioni, ambienti chiusi e risorse limitate.
Già in una serie di esperimenti condotti tra il 2014 e il 2016, la lattuga rossa romana coltivata nello spazio è risultata sicura da consumare e paragonabile come composizione nutrizionale alle controparte terrestri, con valori simili o persino leggermente superiori in elementi come potassio, zinco, fosforo. Ciò ha consolidato la fiducia che colture simili possano essere componenti reali di missioni di lunga durata.
Nei primi assaggi ufficiali, gli astronauti hanno detto che la lattuga “non è male”, persino “fresca”. Un gesto simbolico, ma carico di significato nel contesto di un viaggio in orbita.
Tuttavia, ogni pianta porta con sé interrogativi: le radici che cercano acqua in assenza di gravità, la distribuzione dei nutrienti, la difesa dalle muffe, il controllo microbiologico dell’ambiente, la fotosintesi in condizioni non naturali. E, soprattutto, la sfida titanica di riprodurre questi successi su un pianeta ostile come Marte.
Dall’ISS al suolo marziano simulato
L’esperimento Plant Habitat‑07 è una continuazione di questa riga di ricerca, finalizzato a studiare come condizioni di umidità ottimali o meno influiscano sulla crescita, sul contenuto nutritivo e sul microbioma delle piante in microgravità.
Il modulo Advanced Plant Habitat consente controlli più sofisticati su luce, temperatura, ventilazione e parametri idrici. Ogni modifica nel regime di irrigazione — un po’ più secca o più umida — può manifestare effetti a cascata su crescita, stress, difese immunitarie vegetali.
Ma già i risultati preliminari — che cominciano a emergere — suggeriscono che alcune condizioni, che sulla Terra sembrano banali, nello spazio diventano punti critici. Quando l’umidità è al limite, o il flusso d’aria è minore, le piante appaiono più vulnerabili a muffe o funghi. In un caso noto, nel sistema Veggie, radici umide e scarsa ventilazione permisero lo sviluppo di un fungo su zinnie, che alcuni astronauti dovettero rimuovere manualmente per salvare le piante superstiti.
Oltre al fattore “stress fisico”, vi è il capitolo ancora più complesso del suolo marziano simulato. Se su ISS si lavora con substrati idroponici, in ambienti chiusi, Marte presenta un regolite tossico, povero di materia organica, contaminato da sali di cloro (perclorati) che rendono il suolo potenzialmente letale per molte specie vegetali.
Studi recenti su Arabidopsis thaliana, pianta modello, coltivata su simulanti di suolo lunare o marziano, hanno evidenziato riduzioni significative di crescita radicale, biomassa, contenuto di clorofilla, e attivazioni massicce di geni di stress. Le piante mostrano alterazioni ormonali, squilibri nella regolazione dell’auxina, accumulo di antociani (pigmenti di difesa).
In sostanza, è come se il suolo marziano facesse “sentire male” le piante, pur non uccidendole immediatamente.
Questi dati aggiornati ribadiscono che è ingenuo immaginare di “seminare e raccogliere” su Marte come sulla Terra: serve un salto tecnologico nel modo in cui pensiamo il suolo, i nutrienti, le simbiosi microbiche, e la protezione dall’ambiente esterno.
Lattuga e colonizzazione del pianeta rosso
Per cominciare — la lattuga come simbolo: una pianta forte, veloce nella crescita, non troppo esigente in nutrimenti, e dal ciclo breve. È un banco di prova ideale. Se anche la lattuga incontra difficoltà, piante “più impegnative” come pomodori, patate o piante da frutto avranno ostacoli più grandi.
Ogni centimetro quadrato di terreno marziano dovrà essere ingegnerizzato: substrati sterilizzati, mezzi idroponici, filtri anti-ossidanti, schermature dalle radiazioni, pressurizzazione, atmosfera controllata. Il volume e la massa di strutture che servono per sostenere anche una piccola coltura non sono trascurabili.
Poi viene l’energia: le luci (LED) consumano corrente, la gestione termica richiede riscaldamento e raffreddamento, i sistemi di ventilazione e idrici richiedono pompe e sensori. Ogni watt dev’essere giustificato.
Il suolo stesso, anche se “ripulito” dai componenti tossici, resta privo di microbi utili, materia organica e reti simbiotiche. Le piante terrestri sono spesso dipendenti da microrganismi per assorbire nutrienti o per resistenza agli stress — replicare queste relazioni su Marte è parte del puzzle più grande.
Infine, le radiazioni: Marte, privo di un campo magnetico forte come la Terra, espone i viventi a più radiazioni cosmiche e ultraviolette. Le piante, sebbene più resistenti in alcuni casi, possono accumulare mutazioni, stress ossidativo o alterazioni nel loro DNA se esposte a lungo termine.
Tutti questi vincoli fanno sì che la coltivazione spaziale non sia solo una questione agricola, ma un progetto integrato di ingegneria, biologia, chimica e simulazione ambientale.
Limiti e fallimenti utili
Negli esperimenti di coltivazione spaziale e simulazione marziana, ci sono casi che fanno da monito tanto quanto quelli di successo.
Zinnie contaminate: in Veggie una condizione di umidità e scarsa ventilazione ha permesso lo sviluppo micotico. È un esempio reale di come l’ambiente chiuso e la microgravità possano influenzare la sanità delle piante.
Radici “fluttuanti”: in microgravità, le radici non hanno “su” e “giù”: l’orientamento, la distribuzione dell’acqua e l’adesione ai substrati sono compiti complessi da gestire. Le gocce d’acqua tendono a formare sfere, la diffusione non è regolare.
Assorbimento di nutrienti alterato: alcuni studi indicano che piante cresciute in microgravità mostrino variazioni nel trasporto ionico nelle cellule, nel potassio, nel calcio e nel magnesio — elementi fondamentali per lo sviluppo.
Substrati tossici simulati: esperimenti su suolo lunare o marziano (nei laboratori terrestri) hanno evidenziato che, anche se le piante germinano, la crescita rallenta, la biomassa è ridotta, i sistemi di difesa si attivano fortemente, e l’efficienza fotosintetica cala.
Esperimenti con piante più robuste: alcuni gruppi di ricerca hanno provato a coltivare pomodori, piselli, peperoni su simulanti lunari/marziani integrati con materia organica, compost o sterili, con risultati incoraggianti ma lontani dalla produzione significativa. In un caso, la presenza di metalli pesanti rilevati nei frutti ha sollevato dubbi sulla salubrità del prodotto.
Tali casi non rappresentano fallimenti totali, ma indicano la fragilità del percorso: ogni componente — dal modulo di coltivazione al filamento LED, dal sensore idrico al microambiente — deve funzionare in sinergia.
Oltre la lattuga
La scienza dello spazio avanza non solo coltivando foglie, ma ripensando le relazioni vita-ambiente.
Piante resistenti e selezione genetica
Non tutte le piante sono uguali: specie che tollerano stress, basse risorse, radiazioni e suoli poveri sono candidate più promettenti. Il lavoro sugli estremofili terrestri, su muschi desertici, su piante alofile, su specie che vivono già in ambienti estremi può suggerire geni utili da trasferire o emulare.
Un recente studio ha mostrato che il muschio Syntrichia caninervis, proveniente da deserti e ambienti polari, resiste a condizioni simulate marziane (radiazioni, freddo, pressione ridotta). Sebbene non propriamente coltivabile come alimento umano, il muschio apre una finestra: forse alcune forme di vegetazione “di supporto” potrebbero adattarsi prima delle colture tradizionali.
Microbiomi ingegnerizzati e simbiosi microbica
Le piante terrestri spesso dipendono da microbi per mobilitare nutrienti, degradare sostanze tossiche e proteggersi dai patogeni. Se riuscissimo a creare microbiomi ingegnerizzati che tollerino condizioni marziane e “convivano bene” con le piante, potremmo migliorare la resa anche in suoli difficili.
Studi recenti in biologia sintetica propongono simbiosi ingegnerizzate: mix di batteri e funghi in grado di trasformare il regolite, fitorimediate contaminanti (es. perclorati), fissare azoto, potenziare difese. Una sorta di “mini-ecosistema coltivabile” su Marte.
Coltivazione idroponica/aeroponica dentro serre pressurizzate
Il modello più pragmatico — almeno inizialmente — per coltivare su Marte resta la coltivazione senza suolo, in ambienti chiusi: idroponica (nutrienti in soluzione), aeroponica (spruzzatura di nutrienti), colture verticali. Le serre marziane pressurizzate, schermate e illuminate artificialmente, simulerebbero condizioni “terrestri” per le piante.
Il vantaggio è che non è necessario trattare direttamente il regolite, si evitano tossicità. Il contra stto è che l’intero sistema (serra, pompe, tubi, controlli) deve essere trasportato, costruito localmente e alimentato con energia.
Agenti biologici per “preparare il terreno”
Un’idea ambiziosa è quella di usare microrganismi per trasformare gradualmente il suolo locale, creando condizioni migliori per la successiva introduzione di colture tradizionali. Batteri, alghe, licheni e funghi potrebbero “ricostruire” la fertilità, degradare sali tossici, accumulare materia organica.
Recenti proposte includono l’impiego di sistemi tipo lichen in grado di “cementare” il regolite con biopolimeri per costruire elementi strutturali, o usare cianobatteri che producono ossigeno e materia organica come parte di una rete biologica preliminare.
È importante non indulgere né nell’ottimismo ingenuo né nello scetticismo totale. Il percorso verso una colonia agricola marziana è pieno di sfide, ma non è impossibile.
Trasportare serbatoi d’acqua, pompe, generatori, sostanze nutritive e strutture pesanti significa investire in capacità di carico e costi. Il margine di errore è ridotto: ogni fallimento costa fatica e tempo, condizioni scarseggianti e manutenzione complessa.
Ogni watt in una colonia su Marte va ottimizzato. Le luci, riscaldamento, raffreddamento, ventilazione, pompe idriche, sensori: il bilancio energetico deve essere favorevole a lungo termine. Solarità ridotta, tempeste di polvere e inefficienze sono fattori da considerare.
Radiazioni e mutazioni
Le piante potrebbero reagire male a esposizioni prolungate, sviluppando mutazioni, perdita di funzioni, ridotta vitalità nel tempo. Occorre protezione, schermature, monitoraggi continui.
Introdurre organismi terrestri su Marte pone questioni di contaminazione planetaria. C’è il rischio di distruggere ecologie potenziali autoctone (se esistenti) o permettere che microrganismi terrestri proliferino incontrollati. Le politiche internazionali e i trattati spaziali impongono regole severe di “protezione planetaria”. Anche nei migliori scenari, le colture iniziali serviranno per integrazione alimentare, non per sostituire interamente le scorte. Per nutrire comunità vaste su Marte servirebbero decenni di scaling e automazione.
Verso Marte
In definitiva, la lattuga coltivata nello spazio non è ancora garanzia che potremo “fare giardinaggio” su Marte, ma rimane uno dei segnali più tangibili che stiamo davvero cercando di farlo. Ogni foglia, ogni germe di spunta, ogni dato trasmesso a Terra è un mattone nella costruzione di un sogno.
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