Una marea che difende l’umanità

Perugia-Assisi 2025: decine di migliaia in cammino tra storia, politica e speranza
Il consueto itinerario tra Perugia e Assisi si è trasformato in qualcosa che assomiglia a una verifica del sentimento pubblico: non una manifestazione qualsiasi, ma un fiume umano che ha attraversato le colline umbre con bandiere, striscioni, carrozze di cartone, cori e silenzi. La Marcia PerugiAssisi — battezzata quest’anno con lo slogan internazionale Imagine all the people — ha riunito decine di migliaia di persone: associazioni, studenti, amministrazioni locali, sindacati, comunità religiose, comitati per i diritti umani, singoli cittadini venuti anche da lontano. In molti l’hanno definita «una marea che difende l’umanità»: un’immagine forte per raccontare una giornata che somma evocazioni storiche e urgenze contemporanee.
Questo pezzo ricostruisce i fatti della giornata, approfondisce il senso politico e culturale della marcia, ricorda le radici storiche dell’evento e registra alcune delle discussioni che la marcia suscita nella politica italiana e nella società. Nessun elenco di fonti nel corpo dell’articolo — la narrazione resta fluida e originale — ma in chiusura troverai le letture e i materiali di riferimento usati per costruire il racconto.
Numeri, momenti, volti
Già alle prime ore del mattino le strade attorno ai Giardini del Frontone, a Perugia, si sono riempite: oltre 500 organizzazioni avevano dato adesione ufficiale, decine di scuole e università avevano organizzato pullman e delegazioni, e gruppi di cittadini hanno trasformato i 24 chilometri del percorso in un corteo di incontri. Il percorso classico — da Perugia fino alla Rocca di Assisi — è stato scandito da tappe in cui associazioni e amministrazioni locali si sono fermate per brevi interventi: reading, canti, testimonianze dirette da zone di conflitto, momenti di preghiera ecumenica.
Ai piedi della basilica di San Francesco la marcia si è chiusa con le parole di alcuni rappresentanti dell’organizzazione e con gli interventi di leader civici e politici. L’atmosfera è stata, in prevalenza, di speranza e determinazione: non solo una richiesta di cessate il fuoco in senso generale, ma una chiamata a tradurre gli ideali della fraternità in politiche pratiche — dall’accoglienza ai corridoi umanitari, dal contrasto alle armi da esportazione fino alla tutela dei diritti umani fondamentali.
Non sono mancati momenti di tensione: gruppi più radicali hanno stretto posizioni critiche verso alcune scelte istituzionali, e vi sono stati accesi scambi di opinione sui palchi ufficiali. Eppure, osservatori presenti hanno notato una prevalenza di messaggi inclusivi: dai bambini che reggevano una grande bandiera arcobaleno, ai parroci che hanno impartito una benedizione, fino ai sindaci che hanno ricordato la necessità di politiche locali per la pace.
Un evento pluralista
Se è vero che la marcia porta con sé il patrimonio ideale di Aldo Capitini — il fondatore storico della Perugia-Assisi nel 1961 — la composizione odierna del corteo è estremamente più pluralistica: associazioni laiche e confessionali, ONG, reti universitarie (molte università italiane hanno autorizzato il viaggio agli studenti), sindacati e gruppi civici. C’erano testimonial della società civile, rappresentanti di comunità di immigrati, cooperative sociali e reti giovanili che hanno scelto la marcia come spazio per affermare posizioni su pace, diritti, ambiente e sviluppo sostenibile.
Le richieste concrete sono state varie ma coerenti con il tema della fraternità: cessate il fuoco immediato nei contesti più caldi, riconoscimento e protezione dei diritti dei civili, apertura di corridoi umanitari, politiche di riduzione degli armamenti, investimenti in cultura della nonviolenza e programmi di inclusione sociale. Sul piano istituzionale, diversi interventi hanno chiesto impegni più netti da parte del governo centrale su diplomazia e aiuti esterni, con la proposizione di percorsi di pace che non si limitino alla tregua ma vogliano avviare trattative politiche serie.
Nei momenti di sosta lungo la strada abbiamo ascoltato storie che restituiscono il senso di una giornata collettiva. C’è la giovane studentessa di Scienze Politiche, in prima fila, che ha dichiarato di essere lì «perché la pace non è un tema astratto, è vita quotidiana»; c’è il gruppo di insegnanti che porta lo striscione «educare alla pace», con materiale didattico per le scuole; ci sono poi i familiari di vittime di guerre o di violenza che, con voce ferma, hanno chiesto attenzione per il dolore che resta invisibile nei bollettini.
Sui palchi ufficiali i toni sono stati più istituzionali: amministratori locali hanno ricordato che la fraternità non è sentimento passeggero ma politica quotidiana; attivisti hanno messo in fila richieste precise su politiche migratorie e di cooperazione; rappresentanti del terzo settore hanno chiesto risorse per la ricostruzione civile nei territori devastati dai conflitti.
Le radici della Marcia
La Perugia-Assisi nasce nel 1961 come atto di nonviolenza creativa, un’esperienza collettiva che univa cattolici, laici, pacifisti e intellettuali per promuovere un’idea alternativa alla logica della guerra fredda e dell’armamento. Nel corso dei decenni la marcia è cambiata: ha conosciuto alti di partecipazione, momenti di riflessione sull’identità del movimento pacifista e anche tensioni interne su cosa significhi oggi “marchiare per la pace”.
Due aspetti sono rimasti costanti: l’idea della marcia come attraversamento — fisico e simbolico — della società, e l’uso della strada come luogo di incontro tra culture diverse. Nel tempo l’iniziativa ha raccolto temi nuovi — diritti umani, ambiente, immigrazione — entrando in relazione con movimenti sociali che hanno riformulato la domanda di pace in direzioni più ampie, che comprendono giustizia sociale e sostenibilità ambientale.
La Perugia-Assisi, dunque, non è solo un rito civico: è una cartina al tornasole che misura la sensibilità pubblica su questioni geopolitiche e nazionali. Le edizioni recenti, comprese quelle straordinarie indette in occasione di crisi internazionali, mostrano come la marcia sia diventata anche luogo di pressione politica, oltre che occasione di cittadinanza attiva.
Ogni grande evento civico porta con sé ombre e domande. Nel mondo del pacifismo esistono posizioni critiche che contestano l’«istituzionalizzazione» della marcia o la generica formulazione di alcuni appelli. Alcuni gruppi storici lamentano che la marcia, troppo spesso, finisca per edulcorare contenuti e perdere radicalità politica; altri ritengono invece che l’allargamento delle adesioni e l’apertura a temi nuovi sia la via per tenere l’iniziativa viva e attuale.
A livello politico, l’evento è servito da cartina di tornasole: partiti e leader che hanno partecipato hanno cercato di ricollocare nella marcia un consenso civico, mentre altri hanno preferito un approccio più critico rispetto al linguaggio usato dall’organizzazione. Questa dialettica — tra apertura e critica — è in qualche modo fisiologica: la marcia, per sua natura, è un’assemblea che riflette la pluralità del paese.
La dimensione globale della richiesta di pace
La Perugia-Assisi dialoga da sempre con contesti internazionali: la frattura tra popoli, la proliferazione di guerre locali in un mondo interconnesso, le crisi umanitarie che si sommano. Quest’anno la marcia si è presentata anche come segnale internazionale: molti interventi hanno riguardato conflitti in corso, appelli per la tutela dei civili, e richieste di una politica estera italiana e europea più incisiva nella promozione di processi negoziali.
Le reti universitarie e le ONG internazionali presenti hanno ricordato come la pace sia legata anche a temi globali quali cambiamento climatico, disuguaglianze economiche e accesso alle risorse. In questa prospettiva, la marcia è stata letta anche come un invito a ripensare la sicurezza non più solo in termini militari, ma come sicurezza umana: salute, nutrizione, abitazione e diritti.
Fraternità come sfida pratica
Una delle sfide che emerge con forza è la traduzione degli slogan in politiche concrete. La fraternità — parola scelta per accomunare le adesioni — è un concetto eticamente potente ma che richiede traduzioni pratiche: economie locali meno predatorie, investimenti in istruzione, politiche migratorie rispettose, accordi internazionali per limitare la circolazione delle armi.
Molti interventi della giornata hanno insistito su due piste operative: la prima è la costruzione di reti territoriali di pace, capaci di mettere in rete associazioni, scuole e istituzioni per azioni congiunte; la seconda è l’impegno a livello istituzionale per un piano nazionale di prevenzione dei conflitti che parta dalle cause socio-economiche, più che dalle emergenze belliche.
I giovani e la marcia: eredità e futuro
Uno degli aspetti più visibili è stata la grande presenza di giovani. Per molti di loro la marcia non è un atto nostalgico ma un’esperienza politica concreta: si parte, si cammina insieme, si discutono temi, si apprendono pratiche di cittadinanza. Le università che hanno mobilitato delegazioni e il vasto coinvolgimento scolastico suggeriscono che la marcia conserva un valore formativo importante.
Molti giovani hanno portato istanze specifiche: dalla richiesta di spazi di confronto nelle scuole al tema della pace nel programma educativo, fino a rivendicazioni su cambiamenti climatici e diritti civili. È chiaro che il futuro della marcia passerà anche dalla capacità di dare voce ai nuovi linguaggi politici.
La fine del corteo non coincide con la fine dell’impegno. Tra i nodi pratici emersi: la necessità di un piano di lavoro che affronti le proposte emerse, la creazione di tavoli permanenti che monitorino gli impegni pubblici, e un calendario di iniziative territoriali per trasformare la mobilitazione in azione quotidiana.
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