1:51 pm, 18 Settembre 25 calendario

Silenzio in scena: la paralisi che rischia di spegnere il cinema italiano

Di: Redazione Metrotoday
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 I riflettori sono accesi, ma il palcoscenico è vuoto. Nel 2024, quasi il 90% dei professionisti dell’audiovisivo non ha avuto lavoro. È un dato che suona come un allarme, non solo per chi vive nel grembo del settore, ma per la cultura, l’economia e l’identità nazionale. Ma cosa sta davvero succedendo? Chi sono i protagonisti della crisi? E come si è arrivati a questo punto?

Cifre che fanno tremare

Nel 2023, il numero di tecnici e maestranze cinematografiche e audiovisive contrattualizzate era di decine di migliaia; nel 2024, il numero è precipitato a poche migliaia. Il calo è così drastico da configurarsi come una vera e propria moria occupazionale. Molti sono fermi, in attesa che la macchina riparta. Ma la macchina sembra inceppata. Parallelamente, altre rilevazioni mostrano che il 70% delle maestranze, degli autori, degli attori sono senza occupazione. Alcuni da più di un anno. Famiglie che dipendono da compensi saltati o progetti che non decollano. Produzioni indipendenti ferme, bandi rimandati, tax credit incerti o non aggiornati. C’è chi ha smesso di pensare ai costi di un film perché non sa se i soldi arriveranno.

Tax credit, finanziamenti, normativa mancante

La crisi non è scoppiata dal nulla. È il risultato di una serie di fattori concatenati, alcuni cronici, altri aggravatisi negli ultimi anni:

Incertezza normativa: le regole per accedere ai finanziamenti sono cambiate diverse volte, con decreti, modifiche, ritardi. Questo ha generato una paralisi progettuale: i produttori non sanno su cosa contare per pianificare.

Tax credit traballante: lo strumento che dovrebbe incentivare la produzione si è trasformato in un ostacolo per molti. Le misure introdotte non sempre sono accessibili alle produzioni piccole o medie. Le procedure burocratiche, i tetti massimi, le modifiche frequenti rendono difficile stimare costi, rischi, sostenibilità.

Ritardi nei bandi e negli stanziamenti: alcuni fondi previsionali non sono stati erogati nei tempi annunciati; in molti casi, i bandi non sono stati pubblicati o sono stati sospesi; tutto ciò ha congelato attività.

Diseguaglianza nel beneficio degli incentivi: chi ha accesso alle strutture, alle risorse, ai contatti, spesso riesce a navigare meglio. Le produzioni meno note, indipendenti o periferiche sono rimaste spesso fuori o tagliate fuori.

Un mercato che “cresce”, ma non per tutti

Curiosamente, alcune analisi mostrano che il comparto audiovisivo ha registrato nel 2023-2024 ricavi in crescita, soprattutto se si considerano televisione e piattaforme digitali. Ci sono più ore di contenuti, più domande di tax credit nei registri ufficiali rispetto agli anni precedenti, e un interesse internazionale che continua ad attrarre produzioni straniere in Italia.

Ma la crescita dei numeri non coincide con la crescita della partecipazione degli operatori: il valore medio delle produzioni è in calo, le margini diminuiti, e la redditività per molte imprese è compromessa. Oltre a ciò, vi è un crescente divario tra produzioni “di punta” (film con budget elevato, serie con investitori consolidati) e produzioni indipendenti, che faticano a trovare spazio, visibilità e risorse.

L’impatto sociale: non è solo cultura, è vita

Dietro i numeri ci sono persone. Tecnici, macchinisti, truccatori, costumisti, autori, attori, montatori: figure che per molti anni hanno dato contributi indispensabili alla produzione culturale, all’orgoglio nazionale, all’immagine del Paese.

Sicurezza economica vacillante: chi vive a stipendio variabile, chi dipende da un progetto dopo l’altro, è in condizioni estremamente precarie.

Periferia produttiva abbandonata: moltissime zone d’Italia si stanno spopolando anche sul fronte culturale perché le opportunità si concentrano nelle grandi città o regioni ben collegate.

Crisi culturale: il cinema indipendente, i documentari, il cinema d’arte – quelli che non puntano sui grandi numeri ma sull’innovazione, sulla sperimentazione, sul racconto alternativo – rischiano di scomparire.

Decenni di luci e ombre

Per capire il presente, occorre guardare il passato recente:

Negli anni post-pandemia, il settore aveva mostrato segnali di ripresa: produzioni rimandate erano ricominciate, le piattaforme streaming avevano aperto nuove vie, il tax credit sembrava uno strumento valido per rilanciare. Tuttavia, le fragilità erano già evidenti: complessità burocratiche, competitività internazionale, costi di produzione crescenti, dipendenza dagli incentivi statali. Quando i governi cambiano, cambia anche la visione, e con essa le regole. Anche prima del 2024, alcune manifestazioni di protesta avevano segnalato che la maggioranza delle maestranze non lavorava: non a tempo pieno, non costantemente, inesorabilmente in attesa di contratti che non arrivano. Incidenti legislativi, sentenze del TAR che sospendono criteri, ritardi nella definizione dei requisiti del tax credit, cambi di scelte politiche: tutto ciò ha contribuito a generare un clima di sfiducia.

Le proposte

Nel corso dell’anno ci sono state manifestazioni, raccolte firme, lettere aperte, richieste ai ministeri competenti. Le associazioni del settore – autori, registi, tecnici – sono unite nel chiedere:

  • stabilità normativa, regole chiare, criteri certi per il tax credit e i finanziamenti selettivi;
  • interventi urgenti per le piccole e medie produzioni, affinché non spariscano nel mare di quelle più grandi;
  • una modernizzazione burocratica: tempi certi per i bandi, semplificazione delle procedure, maggiore trasparenza;
  • sostegno economico diretto per le categorie più fragili – chi lavora dietro le quinte, spesso invisibile ma fondamentale;
  • politiche territoriali che valorizzino set e imprese nelle regioni meno centrali, riducendo diseguaglianze.

Alcune delle proposte legislative sono già allo studio; sono state presentate mozioni, proposte di legge, tavoli di confronto con il Ministero della Cultura.

Numeri sembrano essere in contraddizione

Ma perché, nonostante questi allarmi, alcuni report mostrano cifre “positive”?

In diversi studi si legge che il mercato audiovisivo italiano nel suo complesso ha superato i dodici miliardi di euro di ricavi: la televisione, le piattaforme digitali, il contenuto multimediale contribuiscono enormemente.

Anche l’occupazione, misurata su determinate categorie, sembra in crescita secondo certi rapporti: aumento delle imprese registrate, più ore di contenuto prodotto, richiesta maggiore di credito d’imposta per nuove opere.

Tuttavia, questi numeri “macro” non colgono la frammentazione del settore, le differenze tra chi può accedere ai fondi e chi no, i vuoti nei flussi produttivi, le attese infinite per la realizzazione concreta dei progetti.

Così, mentre nel grande specchio dei numeri emerge un’immagine di industria che “sopravvive” o “cresce”, dietro le quinte molti non lavorano, molti rischiano di abbandonare la professione, molti sono già fermi.

Lo scenario internazionale

L’Italia non è l’unico paese a trovarsi in difficoltà. In molte nazioni europee il settore cinematografico ha sofferto dopo la pandemia, con costi crescenti delle produzioni, incertezze politiche, regolamentazioni fiscali che oscillano, pressioni delle piattaforme. Anche i mercati anglosassoni patiscono la “stagflazione” dei costi e la concorrenza crescente da produzioni non tradizionali (streaming, serie, contenuti brevi).

Ma ciò che rende la situazione italiana particolarmente grave è la dipendenza dalle misure statali; la dimensione relativamente piccola delle produzioni indipendenti; la burocrazia storicamente complessa; e la concentrazione geografica delle strutture di produzione.

Crisi senza fine o ripartenza?

Ecco alcuni scenari che sembrano ormai plausibili:

  • Peggioramento ulteriore: se non si interviene con rapidità, molti professionisti perderanno l’anima del mestiere. Le competenze andranno disperse, la diaspora di chi lascia il settore crescerà, il cinema indipendente e d’arte sarà ridotto quasi al silenzio.
  • Ripartenza “top-heavy”: le grandi produzioni torneranno, gli investimenti internazionali cresceranno, ma il settore rimarrà polarizzato. Chi è già dentro riparte, chi è ai margini resta fuori.
  • Riforma equilibrata: con regole certe, interventi mirati per chi è fragile, sostegno territoriale, semplificazione burocratica, il settore può rigenerarsi, anche con nuove generazioni e nuove forme.
  • Innovazione e diversificazione: con la tecnologia, con i formati digitali, con i contenuti per piattaforme, con festival, cinema diffuso, con la formazione, si può creare un’alternativa che non dipenda solo dai modelli tradizionali.

Fino all’ultimo ciak

La “crisi del cinema” del 2024 non è un titolo sensazionalista: è una verità che molti operatori sentono ogni mattina quando controllano la propria posta e non trovano contratti, quando guardano un set vuoto o un progetto che non decolla. Il cinema è fatto di nomi spesso invisibili, di mani che costruiscono, di idee e sogni.

Se il  governo,  le istituzioni,  il mondo produttivo non reagiscono con quella concretezza e quella lungimiranza che il settore merita, il rischio è di risvegliarsi un giorno in un paese senza film, o con pochi film, pochi talenti, poca cultura viva.

L’Italia, per vocazione e storia, ha bisogno del suo cinema. Perché la pellicola non è solo uno spettacolo: è memoria, identità, racconto di sé. Il silenzio in scena oggi è un urlo. 

18 Settembre 2025
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