2:51 pm, 17 Settembre 25 calendario

Francia sotto pressione e un giovedì a rischio paralisi

Di: Redazione Metrotoday
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È un autunno che si prospetta turbolento per la Quinta Repubblica. Il nuovo governo, guidato da Sébastien Lecornu, ha annunciato una serie di misure che vogliono certificare un «cambiamento di passo» rispetto alla gestione precedente: tra le più rilevanti, la decisione di eliminare i benefici “a vita” riconosciuti agli ex primi ministri e la chiamata alle urne — o meglio alle piazze — di un vasto movimento di protesta che promette di fermare il paese in un giorno già definito a rischio paralisi.

Il provvedimento sui benefici per gli ex capi del governo è stato presentato come un simbolo: non soltanto un risparmio economico, ma una risposta politica al sentimento di ingiustizia percepito dagli elettori. Allo stesso tempo, la mobilitazione sociale di giovedì — che vede l’adesione di sigle sindacali, associazioni e gruppi più radicali come i cosiddetti “black bloc” — spinge la Francia verso una giornata di forte tensione, con servizi pubblici ed economie locali pronte a subire pesanti ripercussioni.

Le ragioni della riforma, le cronicità che l’hanno resa necessaria, le possibili conseguenze politiche ed economiche, la storia delle proteste francesi recenti e la presenza dei gruppi radicali, e infine la strategia dello Stato per prevenire l’escalation.

Un gesto simbolico nella stagione dei risparmi

Il decreto annunciato dal governo entrerà in vigore a partire dal 1° gennaio 2026 e limita a tempo determinato molte delle prerogative che fino ad oggi venivano garantite a chi ha ricoperto la carica di primo ministro. Tra le misure previste figurano la riduzione delle scorte personali e dei servizi di autista, l’accorciamento dei periodi di compenso e alcuni tagli ai profili di protezione e assistenza legale. Il governo quantifica il risparmio in pochi milioni l’anno, ma la portata politica è ben più ampia: nel paese che da mesi discute di tagli alla spesa pubblica e sacrifici «per tutti», il segnale secondo Lecornu è chiaro: «Non possiamo chiedere ai francesi di fare sacrifici se chi è alla guida dello Stato non fa lo stesso».

L’argomentazione ufficiale è la trasparenza e l’equità: una comunità politica non può tollerare privilegi che appaiono perpetui e scollegati dal servizio effettivamente prestato. Ma la questione, nella realtà della Quinta Repubblica, tocca nervi più antichi: la cultura storica del potere francese, la tenuta del sistema delle élite e il rapporto fra istituzioni e cittadini.

Una storia di privilegi: come si è arrivati fin qui

I riconoscimenti materiali e simbolici a favore degli ex titolari di cariche pubbliche non nascono dal nulla: sono il frutto di decenni di prassi amministrative che, a colpi di decreti e accordi, hanno costruito una rete di garanzie per garantire la sicurezza, la continuità e il decoro istituzionale. In molti casi si tratta di misure ritenute necessarie per motivi di sicurezza (scorta, protezione), in altri di indennità legate al fatto che la carriera politica spesso interrompe altre professioni.

Negli ultimi anni, però, due fenomeni hanno incrinato la legittimità di queste prerogative: la crisi fiscale dello Stato e un’opinione pubblica più sensibile alla disuguaglianza. La spesa pubblica sotto la lente, la crisi del debito, e i tentativi falliti (o contestati) di riforma hanno reso ogni privilegio un possibile bersaglio. La riforma annunciata oggi è quindi il risultato di una pressione politica e sociale prolungata: più che una soluzione tecnica, un atto politico.

I numeri (e quello che non dicono)

Il governo ha presentato i dati di risparmio come modesti — qualche milione di euro all’anno. È vero: confrontati con il bilancio totale dello Stato, la cifra appare simbolica. Ma l’obiettivo dichiarato non è soltanto il risparmio immediato: è la narrativa. Il messaggio è che il potere politico intende mostrarsi coerente. E in politica simboli e narrativa hanno un valore che spesso supera i meri conti.

D’altro canto, alcuni osservatori fanno notare che limitare le misure di sicurezza in modo troppo drastico potrebbe avere effetti contrari: ex leader più vulnerabili, oppure costi nascosti derivanti dalla perdita di efficienza delle istituzioni. C’è poi la questione del precedente: una volta ridefinite le tutele per gli ex primi ministri, dove si fermerà la revisione? Ministri, presidenti di assemblee, prefetti?

Il giovedì a rischio paralisi

Non è un caso che la riforma sia stata annunciata nel quadro di una tempesta sociale più ampia. I sindacati hanno indetto uno sciopero nazionale che promette di fermare trasporti, scuole e servizi sanitari; a questo si sommano iniziative locali, blocchi stradali e mobilitazioni studentesche. Il movimento chiamato “Blocchiamo tutto” (o “Block Everything”) ha già dimostrato la sua capacità di paralizzare grandi città e snodi logistici: barricate, blocchi autostradali, fuochi e rallentamenti nella circolazione.

Alla radice della protesta c’è la proposta di tagli al bilancio e riforme considerate inique — dall’aumento sensibilizzato dell’età pensionabile ai tagli ai servizi. In un paese dove la storia delle lotte sociali è lunga e robusta, le piazze non servono soltanto a esprimere dissenso: diventano strumenti di pressione politica.

I black bloc e la sfida dell’ordine pubblico

La partecipazione dei gruppi più radicali – spesso raggruppati sotto la definizione «black bloc» – rappresenta il problema più complicato per le autorità. Non è la prima volta che la Francia si confronta con queste sigle: da Parigi alle grandi città regionali, i black bloc compaiono sistematicamente ai margini delle manifestazioni di massa, dove mettono in atto azioni di guerriglia urbana, vandalismi e confronti con la polizia.

Le ragioni che spingono questi gruppi a intervenire sono complesse: contrarietà al sistema capitalistico, rabbia verso l’appiattimento dei partiti tradizionali, il desiderio di creare rotture simboliche che attirino l’attenzione mediatica. Per lo Stato, il problema è duplice: prevenire la violenza senza criminalizzare l’intero diritto di manifestare, mantenendo al contempo la legittimità democratica.

Le autorità hanno predisposto misure di sicurezza straordinarie: dispiegamento di forze di polizia in numero significativo nelle aree sensibili, chiusure preventive di alcuni punti nevralgici, ordini di divieto di manifestazione in alcune zone critiche. Il governo sottolinea che l’obiettivo non è reprimere il dissenso, ma evitare che la protesta degeneri in scontri capaci di provocare vittime e danni ingenti.

Le proteste recenti e i precedenti che pesano

Per capire lo stato d’animo del paese conviene ricordare i passaggi delle settimane e degli anni precedenti:

2023: la riforma delle pensioni con l’aumento dell’età pensionabile scatenò grandi mobilitazioni e scontri, segnando un punto di rottura con larghi settori dell’opinione pubblica.

2024: crisi politica e caduta di alcuni ministri portarono a una sequenza di governi instabili che alimentò sfiducia.

Settembre 2025: le mobilitazioni del movimento “Block Everything” hanno paralizzato per giorni parti del paese; la risposta poliziesca è stata massiccia e ha portato a centinaia di arresti.

Questi passaggi hanno lasciato una traccia profonda: i cittadini si percepiscono meno protetti dalle istituzioni e più vulnerabili alle scelte imposte dall’alto.

Le reazioni politiche

Il presidente e la sua maggioranza mostrano unità sulla necessità di misure che ridiano credibilità alle istituzioni. Ma anche all’interno del campo governativo emergono tensioni: alcune correnti chiedono prudenza per non alimentare ulteriori rivolte popolari.

L’opposizione, dal canto suo, sfrutta il tema per mettere in difficoltà l’esecutivo: le destre più radicali accusano il governo di ipocrisia, mentre le sinistre criticano i tagli che colpirebbero i più deboli. I moderati, invece, cercano una via di equilibrio, chiedendo misure compensative e garanzie per i servizi pubblici.

Cosa rischia il paese

Una giornata di sciopero e blocchi può avere conseguenze immediate: perdite economiche per il commercio, liti sindacali, disagi per i cittadini, e danni materiali in caso di scontri. Sul piano internazionale, la percezione di instabilità può pesare sul clima d’investimento e sulla fiducia dei mercati.

A questo si aggiunge un elemento più sottile: la coesione sociale. Se la politica appare incapace di aprire canali di dialogo credibili, il conflitto rischia di radicalizzarsi. E la società francese, storicamente abituata a negoziare conflitti duri, potrebbe entrare in una fase di scoramento e polarizzazione persistente.

Strategie di gestione della crisi

Lo Stato gioca su più registri: deterrenza (forze dell’ordine), prevenzione (dialogo con sindacati moderati e rappresentanti), comunicazione (spiegare i dettagli delle riforme) e simboli (misure come la riduzione dei privilegi come segnale di equità). L’obiettivo è duplice: contenere il danno immediato e costruire una narrazione di legittimità.

Allo stesso tempo si avviano tavoli tecnici per valutare l’impatto dei tagli, meccanismi per attenuare le ricadute sui soggetti più fragili e protocolli per la gestione delle proteste. Il rischio è che questi strumenti arrivino in ritardo rispetto alla dinamica delle piazze.

Voci dalla strada

Nelle ore precedenti allo sciopero, abbiamo incontrato insegnanti, conducenti di autobus, operatori sanitari e giovani studenti. Le narrazioni sono variegate ma convergono su due punti: la sensazione che le scelte politiche siano imposte dall’alto e la paura che i sacrifici ricadano sempre sugli stessi. Molti chiedono maggiore partecipazione ai processi decisionali, strumenti di trasparenza e riforme che non siano soltanto tagli contabili.

Tra gli intervistati emergono storie di vita: una infermiera che parla di turni insostenibili, un autista che teme per il proprio posto di lavoro, una studentessa che chiede un futuro meno precario. Queste storie spiegano perché le piazze restano il luogo privilegiato per esprimere il malessere.

 

Se la giornata dovesse tradursi in uno sciopero di massa con ampie zone bloccate e scontri diffusi, il governo si troverebbe nella condizione di dover mediare

17 Settembre 2025
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