“Né maschile né femminile”: il cervello umano raccontato da una neuroscienziata

Durante la 29ª edizione del Festivaletteratura, si è acceso un dibattito capace di scuotere convinzioni secolari. Una neuroscienziata, con competenza e rigore, ha sfatato un luogo comune fino ad oggi difficile da abbandonare: non esistono due cervelli distinti, uno maschile e uno femminile. Il cervello umano non ha sesso, ha affermato, mostrando come ormoni, stereotipi sociali e narrativi culturali non meritano di essere confusi con evidenze neurologiche reali.
Non c’è un cervello “da uomo” e uno “da donna”
Secondo la neuroscienziata, l’idea di un cervello diviso tra maschile e femminile ha a che fare più con il mito che con la scienza. Tanto quanto l’espressione “uomini da Marte, donne da Venere”, questa dicotomia non regge sotto il peso delle prove neurologiche. Il cervello è un universo complesso, plasmato dall’interazione tra genetica, ambiente e plasticità, senza limiti prefissati dalla biologia binaria.
Il cervello come spettro, non come categoria
Numerosi studi recenti mostrano che, al di là di qualche differenza media — come una lieve maggiore dimensione cerebrale maschile proporzionale al corpo — non emergono marcate discontinuità tra cervelli di uomini e donne. Le differenze strutturali o funzionali risultano minime e spesso spiegabili con variabili fisiche o sociali. In sostanza, il cervello è una miscellanea unica fatta di tratti «maschili», «femminili» e neutri, combinati in modo talmente personale da rendere inesistenti categorie credibili. Questo concetto è noto anche con l’immagine del “cervello mosaico”.
Storia e studi che sfidano il dimorfismo cerebrale
Meta-analisi su grandi campioni di neuroimaging: In studi estesi, le differenze tra cervelli maschili e femminili risultano scarse e con ampia sovrapposizione tra i sessi. La dimensione è l’unico elemento riproducibile, ma con effetti molto contenuti.
Il cervello come mosaico: Esistono cervelli che presentano caratteristiche distribuite in modo variegato, rendendo impossibile etichettarli come unicamente maschili o femminili.
Biologia, ambiente e cultura: La ricerca evidenzia come l’esperienza, l’educazione e le aspettative sociali plasmino profondamente il cervello. Uno stimolo reiterato, un contesto educativo differente: tutto questo può modellare la struttura e il funzionamento cerebrale.
Questa linea di ricerca smonta decenni di pregiudizi, proponendo invece una visione di continua evoluzione e pluralità.
La neuroscienziata da cui tutto è partito
La protagonista del dibattito al Festivaletteratura è una docente e ricercatrice dell’Università di Parma, impegnata da tempo in studi sull’empatia, l’inter-soggettività e le basi neurologiche dell’identità. Con una formazione solida e passata anche per la comunità soprannazionale della ricerca neuroscientifica, ha costruito la sua credibilità sul rigore empirico e sull’attenzione alle implicazioni sociali delle sue scoperte.
Oltre l’essenzialismo: implicazioni sociali e culturali
Contrastare emergenti stereotipi legati al cervello è tutt’altro che neutro: significa anche liberare ambiti fondamentali quali educazione, lavoro e leadership dalle gabbie di genere. Se non esistono cervelli predeterminati, tutte le opportunità devono essere offerte in base alle inclinazioni individuali, non al sesso biologico. Ridurre la complessità umana a binarismi rischia di limitare il potenziale individuale e collettivo.
Che cosa può cambiare adesso?
Scuole e famiglie: Smettere con i messaggi di genere – dal Lego rosa ai giochi elettronici “da maschio” – e promuovere esperienze cognitive senza stereotipi.
Ricerca scientifica: Incentivare studi sul cervello che considerino l’individuo nella sua interezza, piuttosto che accoppiare arti mentali e sesso biologico.
Politiche culturali: Utilizzare questa nuova visione per ridefinire i ruoli di genere nei media, nella politica e nella narrativa pubblica, valorizzando l’unicità e la molteplicità dei cervelli umani.
Il cervello umano è un capolavoro di plasticità, complessità ed esperienza. Liberarlo da schemi dicotomici è un passo fondamentale verso una cultura che riconosce il valore dell’individuo prima del genere. Se il cervello può essere plasmato, allora meritiamo tutti uno spazio libero da pregiudizi per pensare, imparare, creare.
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