Putin nell’occhio del ciclone: -35 % nelle entrate energetiche, Pechino detta legge

La vigilia del nuovo anno politico di Vladimir Putin porta con sé una tempesta economica mai vista. Nel cuore di un’economia ancora fortemente dipendente da gas e petrolio, la Russia registra un crollo storico: le entrate derivanti dalle esportazioni energetiche precipitano del 35 % rispetto a un anno fa. Un macigno sulle spalle del Cremlino che ricadrà inevitabilmente sul bilancio pubblico e sull’assetto geopolitico di Mosca.
Il tracollo delle entrate: dati che fanno tremare il potere
L’economia russa, da sempre sorretta dal settore energetico, paga oggi un prezzo durissimo. Se soltanto lo scorso maggio le entrate totali da petrolio e gas ammontavano a circa 512 miliardi di rubli – un calo del 35 % rispetto all’anno precedente – a marzo la cifra era già crollata del 17 % su base annua, attestandosi a circa 1,1 trilioni di rubli. Una tendenza confermata da previsioni di deficit triplicati per il 2025, a causa di ricavi energetici rivisti al ribasso (-24 %) e spese in aumento, fino all’1,7 % del PIL. Nel consuntivo del primo semestre, il budget si trova già in buco rispetto all’intera previsione annuale. Anche l’outlook sugli introiti totali da petrolio e gas è passato da circa 11 trilioni di rubli (5,1 % del PIL) a poco più di 8,3 trilioni (3,7 % del PIL)—un segnale chiaro del baratro economico che la governance di Mosca si trova ad affrontare.
Sanzioni, sconti e limiti: la morsa dell’Occidente
Le strette sanzionatorie internazionali hanno seriamente colpito il motore finanziario russo. Misure come il tetto al prezzo del petrolio (all’inizio fissato a 60 $ al barile, poi ancorato al mercato con scontistiche fino al 15 % sotto la media globale) hanno eroso significativamente i margini di incasso su ogni venduto. Solo l’applicazione completa del tetto avrebbe ridotto i ricavi di decine di miliardi di euro fin dall’inizio del regime sanzionatorio.
Nel frattempo, le entrate da combustibili liquidi e gas via pipeline – un tempo pilastro della finanza russa – crollano mese dopo mese. Giugno e luglio testimoniano riduzioni nelle esportazioni di LNG e prodotti derivati, mentre i costi delle controversie sui shadow fleet, i servizi finanziari alternativi e le reti di trasporto non autorizzate hanno aumentato le difficoltà operative ed economiche.
Il nuovo cuore pulsante: Pechino detta i tempi
In una mossa strategica, il Presidente Putin ha puntato tutto sul rilancio dei rapporti energetici con la Cina. Durante la sua recente visita a Pechino, sono stati firmati accordi estremamente simbolici sul gas, tra cui la definitiva realizzazione del nuovo gasdotto “Power of Siberia 2”, destinato a trasportare fino a oltre 100 miliardi di metri cubi di gas all’anno verso l’Oriente.
La dinamica è chiara: Mosca ha urgente bisogno del mercato cinese per compensare il collasso della domanda europea, ma la necessità rende la Russia vulnerabile agli “ultimatum” di Beijing. Nonostante tutto, i numeri parlano: già oggi oltre il 40–47 % delle esportazioni di petrolio russo vanno in Cina, mentre la dipendenza energetica nell’altro senso appare destinata a crescere ulteriormente.
Crisi economica interna: rublo forte, inflazione
La crisi energetica ha effetti che si riflettono nell’intero tessuto socio-economico russo. Il rublo non riesce a stabilizzarsi, l’inflazione resta alta (intorno al 9 %) e la crescita economica è prevista al solo 1,4 % per il 2025. I mercati interni soffrono tra logistica interrotta, tensioni bancarie e strozzature nel credito.
Per ammortizzare la crisi, il Cremlino valuta tagli anche impopolari: da sussidi al calcio fino a investimenti civili, passando per un innalzamento del debito pubblico interno. Parallelamente, l’industria del carbone – già in forte recessione – e quella elettrica stanno riducendo drasticamente le esportazioni, in particolare verso la Cina, segnalando una contrazione multi-settoriale.
Da Europa a Asia – la traiettoria del declino
Non è la prima volta che il gas europeo scompare dai flussi russi. Dal 2022, tra guerra e sanzioni, il mercato è stato quasi interamente ricontratto. Ma fino al 2023, i buoni prezzi avevano nascosto l’emorragia. Oggi, con i volumi europei ormai azzerati e le controparti asiatiche sempre più selettive e in posizione dominante nella negoziazione, il quadro è irrimediabilmente cambiato.
Dalla parentesi dei profitti record post-invasione, passando per i write-off milionari degli asset europei da parte di Gazprom, la traiettoria porta a un saldo drammatico: la guerra economica si è trasferita nell’arena politica interna, dove la sostenibilità futura del regime diplomatico dipende da queste risorse in via di estinzione.
Una strategia nazionalista sotto assedio
L’economia russa è in corsa contro il tempo. Il calo del 35 % nelle risorse energetiche è un colpo frontale al cuore del regime Putin. La via stretta verso Pechino sembra l’unica ancora, ma è una salvaguardia fragile, condizionata e costosa.
Resta la domanda cruciale: fino a quando potrà reggere questo fragile equilibrio tra austerità interna e dipendenza estera? E quanto potrà resistere l’economia di guerra in un contesto dove anche l’industria energetica vacilla?
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