11:37 am, 9 Settembre 25 calendario

Putin nell’occhio del ciclone: -35 % nelle entrate energetiche, Pechino detta legge

Di: Redazione Metrotoday
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La vigilia del nuovo anno politico di Vladimir Putin porta con sé una tempesta economica mai vista. Nel cuore di un’economia ancora fortemente dipendente da gas e petrolio, la Russia registra un crollo storico: le entrate derivanti dalle esportazioni energetiche precipitano del 35 % rispetto a un anno fa. Un macigno sulle spalle del Cremlino che ricadrà inevitabilmente sul bilancio pubblico e sull’assetto geopolitico di Mosca.

Il tracollo delle entrate: dati che fanno tremare il potere

L’economia russa, da sempre sorretta dal settore energetico, paga oggi un prezzo durissimo. Se soltanto lo scorso maggio le entrate totali da petrolio e gas ammontavano a circa 512 miliardi di rubli – un calo del 35 % rispetto all’anno precedente – a marzo la cifra era già crollata del 17 % su base annua, attestandosi a circa 1,1 trilioni di rubli. Una tendenza confermata da previsioni di deficit triplicati per il 2025, a causa di ricavi energetici rivisti al ribasso (-24 %) e spese in aumento, fino all’1,7 % del PIL. Nel consuntivo del primo semestre, il budget si trova già in buco rispetto all’intera previsione annuale. Anche l’outlook sugli introiti totali da petrolio e gas è passato da circa 11 trilioni di rubli (5,1 % del PIL) a poco più di 8,3 trilioni (3,7 % del PIL)—un segnale chiaro del baratro economico che la governance di Mosca si trova ad affrontare.

Sanzioni, sconti e limiti: la morsa dell’Occidente

Le strette sanzionatorie internazionali hanno seriamente colpito il motore finanziario russo. Misure come il tetto al prezzo del petrolio (all’inizio fissato a 60 $ al barile, poi ancorato al mercato con scontistiche fino al 15 % sotto la media globale) hanno eroso significativamente i margini di incasso su ogni venduto. Solo l’applicazione completa del tetto avrebbe ridotto i ricavi di decine di miliardi di euro fin dall’inizio del regime sanzionatorio.

Nel frattempo, le entrate da combustibili liquidi e gas via pipeline – un tempo pilastro della finanza russa – crollano mese dopo mese. Giugno e luglio testimoniano riduzioni nelle esportazioni di LNG e prodotti derivati, mentre i costi delle controversie sui shadow fleet, i servizi finanziari alternativi e le reti di trasporto non autorizzate hanno aumentato le difficoltà operative ed economiche.

Il nuovo cuore pulsante: Pechino detta i tempi

In una mossa strategica, il Presidente Putin ha puntato tutto sul rilancio dei rapporti energetici con la Cina. Durante la sua recente visita a Pechino, sono stati firmati accordi estremamente simbolici sul gas, tra cui la definitiva realizzazione del nuovo gasdotto “Power of Siberia 2”, destinato a trasportare fino a oltre 100 miliardi di metri cubi di gas all’anno verso l’Oriente.

La dinamica è chiara: Mosca ha urgente bisogno del mercato cinese per compensare il collasso della domanda europea, ma la necessità rende la Russia vulnerabile agli “ultimatum” di Beijing. Nonostante tutto, i numeri parlano: già oggi oltre il 40–47 % delle esportazioni di petrolio russo vanno in Cina, mentre la dipendenza energetica nell’altro senso appare destinata a crescere ulteriormente.

Crisi economica interna: rublo forte, inflazione

La crisi energetica ha effetti che si riflettono nell’intero tessuto socio-economico russo. Il rublo non riesce a stabilizzarsi, l’inflazione resta alta (intorno al 9 %) e la crescita economica è prevista al solo 1,4 % per il 2025. I mercati interni soffrono tra logistica interrotta, tensioni bancarie e strozzature nel credito.

Per ammortizzare la crisi, il Cremlino valuta tagli anche impopolari: da sussidi al calcio fino a investimenti civili, passando per un innalzamento del debito pubblico interno. Parallelamente, l’industria del carbone – già in forte recessione – e quella elettrica stanno riducendo drasticamente le esportazioni, in particolare verso la Cina, segnalando una contrazione multi-settoriale.

Da Europa a Asia – la traiettoria del declino

Non è la prima volta che il gas europeo scompare dai flussi russi. Dal 2022, tra guerra e sanzioni, il mercato è stato quasi interamente ricontratto. Ma fino al 2023, i buoni prezzi avevano nascosto l’emorragia. Oggi, con i volumi europei ormai azzerati e le controparti asiatiche sempre più selettive e in posizione dominante nella negoziazione, il quadro è irrimediabilmente cambiato.

Dalla parentesi dei profitti record post-invasione, passando per i write-off milionari degli asset europei da parte di Gazprom, la traiettoria porta a un saldo drammatico: la guerra economica si è trasferita nell’arena politica interna, dove la sostenibilità futura del regime diplomatico dipende da queste risorse in via di estinzione.

Una strategia nazionalista sotto assedio

L’economia russa è in corsa contro il tempo. Il calo del 35 % nelle risorse energetiche è un colpo frontale al cuore del regime Putin. La via stretta verso Pechino sembra l’unica ancora, ma è una salvaguardia fragile, condizionata e costosa.

Resta la domanda cruciale: fino a quando potrà reggere questo fragile equilibrio tra austerità interna e dipendenza estera? E quanto potrà resistere l’economia di guerra in un contesto dove anche l’industria energetica vacilla?

9 Settembre 2025
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