Il conflitto Israele-Hamas entra in una nuova, drammatica fase

Il conflitto tra Israele e Hamas ha raggiunto oggi il tragico traguardo dei 701 giorni, un lasso di tempo segnato da devastazione, speranze infrante e richieste disperate. Mentre i bombardamenti infuriano nella Città di Gaza, emergono immagini sempre più crude e famiglie israeliane reclamano il ritorno dei propri cari, dispersi o ancora nei territori nemici. Ma qual è lo stato della guerra? E quali sono le prospettive future?
Situazione sul campo
Le forze israeliane annunciano di aver conquistato circa il 40% di Gaza City, con avanzamenti in quartieri chiave come Zeitoun e Sheikh Radwan. Tuttavia, il successo bellico ha un costo altissimo: migliaia di palestinesi sfollati e oltre 63 000 vittime, tra cui centinaia decedute per fame e malnutrizione.
Nel corso delle ultime 24 ore è stato distrutto l’Al-Mushtaha Tower, un grattacielo utilizzato, secondo l’IDF, da Hamas per infrastrutture operative sia sopra che sotto terra. Non è chiaro il numero delle vittime civili, ma le immagini della sua demolizione hanno scosso l’opinione pubblica internazionale.
Un’altra notizia di grande impatto riguarda la morte di Abu Obayda, portavoce militare e figura simbolica di Hamas, ucciso in un bombardamento mirato. Si tratta di un duro colpo per la leadership del movimento, ma che difficilmente basterà a smantellarne l’organizzazione capillare.
Le voci degli ostaggi: un video che scuote
Nelle stesse ore Hamas ha diffuso un video inquietante con due prigionieri israeliani, tra cui Guy Gilboa-Dalal. Appaiono visibilmente provati, implorando la fine della guerra e dichiarando di trovarsi a Gaza City. Il filmato, probabilmente registrato il 28 agosto, mostra uno di loro guidare tra le macerie prima di incontrare l’altro ostaggio.
Il governo israeliano ha definito il materiale “propaganda crudele”, ribadendo che le operazioni continueranno fino a quando Hamas non cederà. Le organizzazioni per i diritti umani hanno invece condannato la diffusione del filmato, ritenendolo una violazione della dignità dei prigionieri.
La protesta che scuote Israele
Mentre la guerra miete vittime, in molte città israeliane si sono tenute manifestazioni commemorative per i 700 giorni trascorsi dal massacro del 7 ottobre 2023. Le famiglie degli ostaggi chiedono la riapertura dei negoziati e una tregua immediata. Uno striscione a Haifa recitava: “Prima, tutti gli ostaggi!”
Le piazze diventano così un contraltare alla linea dura del governo, evidenziando un crescente scollamento tra la leadership politica e le sofferenze di chi attende notizie dei propri cari.
Il quadro geopolitico: negoziati e dinamiche globali
Dagli Stati Uniti giungono segnali contrastanti. Donald Trump, tornato a esercitare un ruolo centrale nella politica estera, ha annunciato che Washington è impegnata in negoziati profondi con Hamas, esortando il rilascio immediato degli ostaggi e avvertendo che, in caso contrario, la risposta americana potrebbe essere dura.
Sul fronte diplomatico, resta sul tavolo una proposta articolata di armistizio elaborata nei mesi scorsi: prevedeva il rilascio graduale degli ostaggi in cambio del ritiro israeliano e dell’avvio di un piano internazionale di ricostruzione della Striscia. L’accordo, pur discusso a lungo, non si è mai concretizzato.
Sul piano giudiziario, la Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto nei confronti di leader israeliani e di Hamas per presunti crimini di guerra e contro l’umanità. Le accuse includono bombardamenti indiscriminati, uso di scudi umani e blocchi umanitari, pratiche che per molti osservatori configurano un genocidio.
Cronologia delle tensioni – Antefatti
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7 ottobre 2023 – Hamas lancia l’Operazione Diluvio al-Aqṣā, causando la morte di circa 1 200 persone tra civili e militari israeliani e il rapimento di circa 250 ostaggi, tra cui donne e bambini.
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Israele risponde con un assedio totale, interrompendo elettricità, carburante e alimenti nella Striscia, con dichiarazioni che hanno acceso accuse di disumanizzazione.
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Da allora, una lunga fase di raid, tregue fragili, scambi di prigionieri e nuove offensive. L’unico cessate il fuoco significativo si è registrato tra gennaio e marzo 2025, ma non ha portato a una pace duratura.
L’impatto umanitario: oltre i numeri
Oltre alle cifre, la tragedia si riflette negli occhi dei sopravvissuti, nelle strade distrutte, nei bambini affamati e nelle famiglie israeliane che chiedono verità e risposte. Le crisi sanitarie, la distruzione di ospedali e infrastrutture critiche e la mancanza cronica di acqua ed elettricità aggravano un quadro già drammatico.
Gli operatori umanitari parlano di una “catastrofe senza precedenti” nella quale intere generazioni rischiano di crescere segnate da traumi irreversibili. A Gaza la vita quotidiana è ridotta alla sopravvivenza: pane, acqua e medicine diventano beni più preziosi dell’oro.
Verso quale futuro?
Il giorno 701 è un monito indelebile: il conflitto non è solo un confronto militare, ma una spirale di dolore, rivendicazioni, accuse internazionali e disperazione umana.
Da un lato Israele spinge per un annientamento totale di Hamas, dall’altro le famiglie degli ostaggi e la comunità internazionale chiedono una tregua e un accordo politico. Ma il prezzo in termini umani e morali è altissimo, e il tempo, come gli ostaggi, sembra scorrere inesorabile.
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