4:49 pm, 23 Agosto 25 calendario

Sequestro dei “Labubu” in Libia: scontro tra simbolismo pop e rigore morale

Di: Redazione Metrotoday
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La Libia è finita al centro di una vicenda che, al primo sguardo, potrebbe sembrare marginale o addirittura grottesca, ma che in realtà racconta molto del rapporto tra cultura pop globale e controllo sociale nei Paesi attraversati da forti tensioni religiose e politiche. A Sabha, città del sud del Paese, le autorità locali hanno infatti ordinato il sequestro massiccio delle bambole “Labubu”, figure collezionabili ideate dal designer di Hong Kong Kasing Lung e diffuse in tutto il mondo in modalità “blind box”, cioè scatole a sorpresa che rendono ogni acquisto un gioco di fortuna e collezionismo.

I piccoli pupazzi, dallo stile volutamente stravagante e a tratti grottesco, sono stati dichiarati contrari alla “morale sociale e islamica”. Di conseguenza, la polizia ha intimato ai commercianti di ritirarli dal mercato e ha minacciato azioni legali nei confronti di chi non rispetterà il divieto. Un provvedimento che ha immediatamente suscitato dibattito e che solleva interrogativi più ampi sul rapporto tra libertà culturale, globalizzazione e controllo religioso.

Il fenomeno Labubu: dalla nicchia al culto globale

Per comprendere la portata della vicenda, occorre considerare cosa rappresenti il fenomeno Labubu nel panorama culturale contemporaneo. Creati in Cina e lanciati attraverso l’azienda Pop Mart, i Labubu appartengono alla serie “The Monsters” e sono diventati rapidamente oggetti di culto per collezionisti di ogni età. Parte del loro successo è legato alla moda delle “blind box”: non sapere quale personaggio si troverà nella confezione aumenta il desiderio di acquisto e stimola la costruzione di comunità online che scambiano o rivendono le figure più rare.

A decretarne l’esplosione internazionale ha contribuito anche il mondo della musica pop asiatica: star del K-Pop e influencer globali hanno mostrato le bambole sui social, trasformandole da oggetto di nicchia a fenomeno mainstream. In breve tempo, le “creature” di Kasing Lung sono diventate status symbol per giovani e collezionisti, spingendo il mercato secondario a cifre considerevoli.

Perché il divieto in Libia?

Il sequestro deciso a Sabha appare, per molti osservatori, come un tentativo di riaffermare un controllo culturale in una fase in cui la società libica si muove tra modernizzazione e tradizione. Le autorità hanno motivato la misura parlando di un’influenza negativa, sostenendo che i Labubu incarnerebbero simboli inappropriati per una società musulmana conservatrice. L’accusa è quella di promuovere valori “estranei” e di rappresentare figure che disturberebbero il senso estetico e morale della comunità.

Va sottolineato che non si tratta di un bando nazionale: al momento la decisione riguarda la sola area di Sabha. Tuttavia, la scelta potrebbe fare da precedente per ulteriori limitazioni in altre città o regioni del Paese, in un contesto politico e sociale già attraversato da forti pressioni religiose e da una continua dialettica tra apertura al mondo e difesa dell’identità culturale.

Precedenti: tra Barbie e simboli “occidentali”

Il caso Labubu non è isolato. Nel mondo arabo e in diverse società musulmane episodi simili si sono ripetuti più volte nel corso degli anni. Le bambole Barbie, accusate di diffondere modelli femminili occidentali e poco conformi alla tradizione, sono state bandite in passato da vari Paesi. Anche gadget, accessori o persino bevande raffiguranti calici o simboli religiosi hanno spesso attirato censure e divieti.

Questi episodi riflettono una tensione profonda: da un lato, l’irresistibile forza della globalizzazione culturale, capace di penetrare anche nei contesti più isolati; dall’altro, la volontà delle istituzioni locali di proteggere i valori tradizionali e di mantenere un controllo sul consumo culturale delle nuove generazioni.

Ripercussioni sul commercio e sui collezionisti

Sul piano economico, la decisione rischia di avere impatti significativi. In un’epoca in cui il mercato parallelo, alimentato da piattaforme digitali e social network, rappresenta una fetta importante della distribuzione, i commercianti si trovano ora davanti a un ostacolo difficile da aggirare. Chi aveva investito nell’importazione delle blind box, magari contando sulla popolarità dei Labubu tra i giovani libici, si ritrova con magazzini pieni e la prospettiva di sanzioni.

I collezionisti, dal canto loro, vivono la vicenda come una doppia perdita: non solo non potranno acquistare liberamente i loro pupazzi preferiti, ma vedono anche il rischio che l’oggetto diventi clandestino, relegato a un mercato nero meno accessibile e più costoso.

Un segnale politico e culturale più ampio

Il sequestro dei Labubu non riguarda soltanto un gruppo di pupazzi eccentrici. È un episodio che mette in luce la fragilità della libertà culturale in Libia e, più in generale, nei contesti dove la religione continua a esercitare un’influenza diretta sulla vita quotidiana e sulle scelte amministrative.

La vicenda si presta a una duplice lettura. Da un lato, è la dimostrazione di come anche i simboli apparentemente più innocui possano diventare terreno di scontro ideologico. Dall’altro, rappresenta l’ennesimo capitolo di una lunga storia fatta di tensioni tra globalizzazione e tradizione.

In un Paese attraversato da divisioni politiche, da un fragile equilibrio tra milizie locali e poteri centrali, episodi come questo diventano anche strumenti di affermazione del controllo: vietare un giocattolo non è solo un atto di censura culturale, ma anche un segnale di forza e di capacità decisionale da parte delle autorità locali.

Un futuro incerto per i “mostriciattoli”

Il caso Labubu a Sabha non si esaurirà probabilmente con un semplice sequestro. Potrebbe infatti rappresentare il preludio a nuove restrizioni culturali o a ulteriori campagne contro oggetti considerati “estranei”. Ma al tempo stesso rischia di trasformarsi in un boomerang: il divieto potrebbe alimentare ancora di più il desiderio di possedere le bambole, spingendo i giovani libici a cercarle sui canali paralleli, con un effetto paradossalmente opposto a quello desiderato dalle autorità.

La domanda resta aperta: fino a che punto è possibile fermare la globalizzazione culturale in un mondo iperconnesso? Il sequestro dei Labubu dimostra che l’imposizione di un rigore morale è ancora praticata con decisione in alcune aree del mondo, ma mostra anche i limiti di un approccio che cerca di bloccare, con i divieti, fenomeni che viaggiano alla velocità di internet.

In definitiva, quello che sembra un episodio marginale assume i contorni di una metafora: il piccolo pupazzo dai tratti grotteschi diventa il simbolo di un conflitto molto più ampio, quello tra la forza travolgente della cultura pop globale e la volontà delle istituzioni locali di resistere al cambiamento.

23 Agosto 2025 ( modificato il 18 Agosto 2025 | 16:57 )
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