1:16 pm, 18 Febbraio 25 calendario

STANCHEZZA DA NOTIZIE: IL PREZZO DELL’IPERINFORMAZIONE

Di: Redazione Metrotoday
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Un mondo saturo di notizie

C’è stato un tempo in cui le notizie erano attese con ansia. L’arrivo del giornale al mattino, il notiziario serale, la radio accesa per carpire gli aggiornamenti: momenti sacri in cui l’informazione era un bene raro. Oggi, invece, siamo sommersi. Le notizie ci seguono, ci inseguono, ci travolgono. E, alla fine, ci stancano.

Il fenomeno ha un nome preciso: “news fatigue”, o stanchezza da notizie. Colpisce tutti, sia chi le legge che chi le scrive. Il sovraccarico informativo e l’iperconnessione digitale ci hanno resi consumatori compulsivi di informazioni, ma a quale prezzo?

Il peso dell’iperinformazione

Viviamo in un’epoca in cui l’accesso alle notizie non è più un problema. Lo è, invece, il loro eccesso. Ogni giorno, tra social media, TV, siti web e newsletter, siamo esposti a migliaia di titoli, immagini, video e opinioni. E non basta: l’algoritmo ci tiene incollati, rimbalziamo da una tragedia all’altra, da un allarme a un pericolo imminente. La quantità di informazioni non solo supera la nostra capacità di elaborarle, ma spesso si trasforma in una spirale ansiogena.

Le cause sono molteplici:

Sovraccarico informativo: Non è più l’informazione a essere preziosa, ma la nostra capacità di selezionarla.

Negatività e allarmismo: Le cattive notizie attirano più clic, quindi i media le enfatizzano. Crisi, guerre, pandemie, scandali. Uno stillicidio continuo.

Ripetizione ossessiva: Le stesse storie vengono rilanciate con nuove angolazioni, nuovi dettagli, nuovi commenti, fino a diventare una tortura mentale.

Mancanza di soluzioni: Troppo spesso le notizie si fermano alla denuncia, senza offrire possibili vie d’uscita.

Quando l’informazione logora

Il risultato? Disaffezione, disimpegno, ansia. Le persone, esauste, iniziano a spegnere tutto: ignorano le notizie, disattivano le notifiche, si disconnettono. Una scelta comprensibile, ma pericolosa. Se l’informazione è il cuore della democrazia, il suo rifiuto ne mina le basi.

Le conseguenze sono tangibili:

Disimpegno civico: Meno interesse per la politica, meno partecipazione alle elezioni, meno attivismo sociale.

Diffusione della disinformazione: Quando si evitano i media tradizionali, si finisce per affidarsi a fonti meno affidabili, a volte costruite su fake news.

Impatto sulla salute mentale: Il flusso incessante di notizie negative può contribuire a stress, ansia e persino depressione.

Un giornalismo migliore è possibile?

C’è una via d’uscita? Forse sì. Ma richiede uno sforzo collettivo.

I giornalisti non sono solo cronisti, ma anche narratori della realtà. Dovrebbero prendersi il tempo di scavare più a fondo, raccontare storie che non siano solo un susseguirsi di emergenze e crisi. Perché l’informazione non è solo denuncia, ma anche comprensione, possibilità, futuro. Il lettore, invece, deve imparare a rallentare, a selezionare con cura cosa leggere, quando e come.

Bisogna tornare a un giornalismo che informi senza sovraccaricare, che offra contesto e soluzioni senza trasformare ogni evento in una catastrofe imminente. Serve un giornalismo che faccia respirare, che dia strumenti per capire e non solo per reagire.

Smettiamo di rincorrere titoli urlati e news lampo, e torniamo a cercare il senso delle cose. Solo così potremo recuperare la voglia di informarci senza esserne schiacciati.

L’importanza di scegliere

La stanchezza da notizie è un problema reale, ma la soluzione non è fuggire dall’informazione. Piuttosto, dovremmo imparare a selezionarla meglio. Scegliere fonti affidabili, ridurre il tempo trascorso su social e breaking news, cercare articoli di approfondimento invece di titoli lampo.

Perché alla fine, non sono le notizie a essere il problema. È il modo in cui le consumiamo. E forse, il modo in cui ci vengono servite.

di Michele Savaiano

18 Febbraio 2025 ( modificato il 21 Febbraio 2025 | 13:25 )
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