Scoppia la pace: Trump annuncia l’intesa Gaza-ostaggi

L’annuncio è arrivato con un post su Truth Social: “Sono molto orgoglioso di annunciare che Israele e Hamas hanno firmato la prima fase del nostro Piano di Pace. Tutti gli ostaggi saranno liberati molto presto e Israele ritirerà le sue truppe su una linea concordata”. Così Donald Trump, nella notte dell’8 ottobre 2025, ha reso pubblica la notizia che tutti aspettavano da mesi: un’intesa fra le parti in conflitto nella guerra di Gaza che, se attuata, potrebbe segnare una svolta storica.
L’accordo annunciato è la prima fase di un piano articolato in venti punti, presentato da Trump il 29 settembre 2025, che prevede una tregua immediata, il rilascio degli ostaggi e un ridispiegamento militare israeliano — oltre a misure per la ricostruzione di Gaza e una governance transitoria sotto supervisione internazionale.
Cosa prevede la prima fase: ostaggi, ritiro e scambi
Secondo i termini resi noti, la prima fase includerebbe:
- Il rilascio di tutti gli ostaggi viventi, entro 72 ore dall’entrata in vigore dell’accordo.
- Il ritiro delle forze militari israeliane entro una linea prestabilita dentro la Striscia di Gaza.
- Una controparte palestinese che consegni in cambio circa 1.700 prigionieri, inclusi 250 con ergastolo.
- L’inclusione della restituzione dei resti dei caduti — Hamas avrebbe già consegnato una lista ufficiale dei nomi.
Secondo fonti vicine alle trattative, Israele completerebbe il primo ritiro entro 24 ore dall’entrata in vigore dell’accordo, mentre i rilasci degli ostaggi inizerebbero già nei giorni immediatamente successivi.
Tuttavia, il documento non chiarisce del tutto alcune questioni scottanti: chi controllerà Gaza dopo il ritiro, se Hamas manterrà armi, la dimensione del disarmo, e la struttura di governo futura. Questi nodi dovranno essere affrontati nelle fasi successive del piano.
Reazioni politiche e diplomatiche
La risposta internazionale all’annuncio è stata rapida e articolata. Il segretario generale dell’ONU António Guterres ha accolto favorevolmente l’intesa, sollecitando piena adesione e rispetto dei termini da entrambe le parti.
Da Israele, il premier Benjamin Netanyahu ha definito la notizia “una vittoria morale e diplomatica”, promettendo di portare il testo all’approvazione del governo nel giorno seguente.
A Ramallah e Gaza, le reazioni oscillano tra fiducia prudente e scetticismo residuo, dopo che in passato altri accordi sono naufragati sul filo della reciproca sfiducia. Alcuni leader palestinesi esigono garanzie precise, mentre altri temono che il piano rimanga “una tregua fragile”.
I mediatori regionali — Qatar, Egitto e Turchia — si dichiarano pronti a facilitare l’attuazione e l’organizzazione pratica del piano. Le cancellerie europee e altri attori globali, conosciuti per la loro cautela, parlano di “step importante, ma da verificare nei fatti”.
Qualsiasi annuncio in Medio Oriente deve fare i conti con la lunga scia di accordi già firmati e poi disattesi.
Nel novembre 2023, un primo tentativo di tregua mediato da Egitto e Qatar portò alla liberazione di 24 ostaggi da parte di Hamas al primo giorno, in cambio di prigionieri palestinesi. Ma la tregua non durò e fu segnata da riprese degli attacchi.
Nel marzo 2025, un cessate il fuoco iniziale prevedeva il rilascio progressivo di ostaggi e il ritiro israeliano, ma la fase successiva saltò per mancanza di accordo sui termini di disarmo e controllo del territorio.
Le risoluzioni dell’ONU nel corso del conflitto hanno spesso invitato (o imposto) tregue e scambi ostaggi, ma con poca forza esecutiva. La Risoluzione 2735 del 10 giugno 2024 è un esempio significativo: chiedeva l’accettazione da parte di Hamas di un accordo, con tre fasi, che includesse liberazione ostaggi, tregua permanente e ricostruzione.
Questi precedenti insegnano che l’annuncio è solo l’inizio di una partita complessa. Le difficoltà operative e l’inerzia politica hanno spesso fatto naufragare accordi simili.
Uno dei fronti più critici è chi guiderà Gaza dopo il ritiro militare. Hamas manterrà potere politico? Sarà nominato un governo tecnico palestinese? Quale ruolo per l’Autorità palestinese e per gli organismi internazionali?
Disarmo e sicurezza residuale
Disinnescare le forze armate di Hamas è nodo vietato. Israele chiederà che siano smantellate capacità militari; Hamas resisterà a perdere leve strategiche interne.
Finanziamento della ricostruzione
Gaza ha bisogno di una ricostruzione massiccia. Dovranno emergere risorse internazionali, fondi controllati, piani urbanistici, infrastrutture essenziali. L’accordo non specifica del tutto come saranno distribuite le risorse e come garantire trasparenza.
Volatilità politica attuale e futura
Il governo israeliano, le forze parlamentari interne, i gruppi radicali palestinesi e iniziative esterne (forze jihadiste, Hezbollah, Iran) possono fare da spoiler qualora percepiscano che l’accordo vada “contro i propri interessi”.
Dietro le parole politiche restano le storie reali: i volti degli ostaggi, le famiglie che pregano, i quartieri distrutti, il dolore ricorrente. A Hostage Square a Tel Aviv, i parenti si sono radunati in attesa dell’annuncio, con manifesti e speranze. Se i patti reggeranno, potranno riabbracciare i propri cari.
In Gaza, tra gli ospedali ancora funzionanti, medici e paramedici vivono una tregua agognata ma scettica. Alcuni, sconvolti da mesi di bombardamenti, dicono “non ci credo finché non lo vedo”
Le vittime palestinesi, quelle rimaste sotto le macerie, i quartieri cancellati: un’intesa non cancella la devastazione accumulata in 734 giorni di guerra.
Un passo che può decidere un destino
L’annuncio di Trump non è una fine, ma l’avvio di un percorso delicato e pieno di ostacoli. La prima fase è un test di buona fede. Se i protagonisti resisteranno alle tentazioni dell’irrilevanza, se i mediatori manterranno fermezza e indipendenza, se le vittime troveranno giustizia, allora questo giorno potrà essere ricordato come il momento in cui la guerra ha iniziato a piegarsi verso la speranza.
© RIPRODUZIONE RISERVATA