1:40 pm, 9 Ottobre 25 calendario

Il Nobel per la Letteratura 2025 premia l’apocalisse poetica di László Krasznahorkai

Di: Redazione Metrotoday
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La Swedish Academy ha annunciato che il Premio Nobel per la Letteratura va allo scrittore ungherese László Krasznahorkai, definito dal comitato come autore il cui «imponente e visionario percorso, in mezzo al terrore apocalittico, riafferma il potere dell’arte». È un riconoscimento che cade come una folgore nel panorama letterario mondiale, premiando uno stile letterario difficile, ossessivo, audace, che ha tracciato una traiettoria fuori dalle mode e dagli schemi dominanti.

Questo articolo è il tentativo di raccontare chi è Krasznahorkai, perché il mondo letterario lo celebra oggi e che cosa significa che il Nobel 2025 abbia scelto una voce così radicale, distonica, inquieta — un premio che, in qualche misura, è una scommessa culturale oltre che letteraria.

Il conferimento del premio e la motivazione ufficiale

La notizia è rimbalzata rapidamente: László Krasznahorkai è il vincitore del Nobel per la Letteratura 2025. Il comitato ha sottolineato che la sua opera «riafferma il potere dell’arte» anche «in mezzo al terrore apocalittico», riconoscendo la costruzione di un immaginario che coniuga visione e resistenza. La decisione lo colloca come una delle voci più alte dell’Europa centrale contemporanea, in filigrana con tradizioni culturali che si perdono in Kafka, Thomas Bernhard e gli eredi del modernismo mitteleuropeo.

Il premio arriva a poco tempo di distanza da altri riconoscimenti che hanno già diffuso la fama di Krasznahorkai sul mercato internazionale: tra questi, il Man Booker International Prize (ottenuto nel 2015) e vari premi per le traduzioni. Il Nobel non è dunque un’esplosione imprevista, quanto la consacrazione definitiva di un autore al confine del visibile e del grottesco.

La scelta suscita curiosità su due fronti: da un lato, quella di riconoscere opere di difficile consumo e di forte spessore intellettuale — letteratura che richiede al lettore una scommessa; dall’altro, quella di premiare la dimensione filosofica e apocalittica — non consolatoria — in un’epoca che appare segnata da crisi multiple (ambientali, politiche, tecnologiche). Non si può non leggere un che di elettroshock: è un Nobel che chiede al mondo culturale di non rifugiarsi nella rassicurazione narrativa.

Le origini, la formazione, il destino

László Krasznahorkai nasce il 5 gennaio 1954 a Gyula, nella parte orientale dell’Ungheria. Il contesto sociale e politico del suo paese ha fatto da sfondo inquieto alla sua formazione: figlio di un avvocato (di origini ebraiche) e di una madre impiegata della previdenza sociale, scopre in età adolescenziale la sua eredità ebraica—una parte che suo padre aveva in gran parte taciuto fino a quel momento.

In gioventù studia legge presso l’Università József Attila (oggi Università di Szeged), prima, e all’Università Eötvös Loránd di Budapest, poi. Pur avviandosi inizialmente verso studi giuridici, il suo scambio con la scrittura emerge presto come destino centrale. Negli anni Ottanta, quando la Cortina di Ferro ancora stringe l’Ungheria nella morsa del controllo ideologico, Krasznahorkai inizia a scrivere: la prima grande opera, Sátántangó (1985), segna l’inizio del suo percorso letterario.

Sin da allora, la sua prodigiosa ambizione tecnica e la sua inclinazione al respiro estremo emergono con forza: la sua prosa prende direzioni che esulano dai canoni — frasi lunghissime, maestria nel ritmo, ossessione per la collisione tra narrazione, filosofia e visione. È un autore che nasce nel socialismo reale, ma che guarda, fin dall’inizio, ai territori della spoliazione, dell’inquietudine, del collasso morale.

Viaggi, oriente, radici e slancio cosmopolita

L’influenza dell’Oriente sul catalogo mentale di Krasznahorkai è spesso sottolineata dai critici: viaggi in Cina e Giappone, residenze in Mongolia, stagioni trascorse a Kyoto sono tappe decisive. Questi spostamenti non sono solo momenti biografici, ma coordinate sensibili che influenzano la sua estetica: l’attenzione allo spazio, al silenzio, alla geometria del respiro narrativo, alle dislocazioni della presenza.

La sua scrittura si nutre delle contraddizioni dell’Europa centrale ma si spalanca nell’Asia come se cercasse altrove un orizzonte di resistenza — un guardare oltre, anche in opposizione, al mondo che lo ha generato. Ciò rende il suo linguaggio non confinato ma sospeso, «migrazione interna» di senso.

Collaborazioni estetiche e cinematografiche

Un capitolo fondamentale della vicenda artistica di Krasznahorkai è la collaborazione con il regista ungherese Béla Tarr. Tarr ha adattato alcune sue opere – in particolare Sátántangó e Werckmeister Harmonies – portando sullo schermo la tensione ossessiva, la dilatazione tempo-narrativa, l’attrazione per il crepuscolo. I film spesso si sviluppano come monoliti visivi dilatati, dove la scrittura originaria dialoga con l’immagine, ma senza riduzione: la traduzione in pellicola diventa un nuovo spazio d’eco.

Krasznahorkai stesso ha dialogato con arti visive e musicali: ha collaborato con l’artista Max Neumann per opere illustrate, e con musicisti per la dimensione sonora del testo. La sua è dunque una scrittura ibrida, che sfida frontiere disciplinari, costruendo uno spazio letterario che è anche poetico, cinematografico e filosofico.

Visione apocalittica e angoscia del collasso

Una delle parole chiave per comprendere Krasznahorkai è apocalisse: non nel senso escatologico tradizionale, ma come percezione della frattura, della dissoluzione della trama sociale, del disorientamento morale. I suoi personaggi sembrano camminare sul crinale di un abisso, immersi in rovine e in attese croniche.

Questa visione non è pura disperazione, bensì tensione estetica: l’apocalisse è il luogo da attraversare, non da evitare. Il mondo non è riconciliazione, ma il testo cerca la lucida resistenza, una testimonianza che resiste. C’è in Krasznahorkai una fede nell’arte — non redenzione, ma possibilità di vedere, nominare, abitare il vuoto. È un’esistenza letteraria che rifiuta consolazioni e rispetta l’imperfezione.

Le forme: frase lunga, dilatazione e vertigine

Lo stile krasznahorkiano è famoso per le sue frasi lunghissime, che si sviluppano in un fluire quasi ininterrotto, attraversando scene, pensieri, memorie, attese — una sorta di “fiume nero” narrativo che spesso sfida la punteggiatura. I periodi si innestano gli uni negli altri come ramificazioni, talvolta esplodendo in digressioni filosofiche o meditazioni sul tempo. Questa “vertigine linguistica” non è esercizio retorico, ma corrisponde alla visione che propone: l’esperienza non può essere scomposta, è campo unico.

Critici e traduttori hanno molto discusso su come tradurre queste frasi in altre lingue — ogni versione è una mediazione difficile, una resa che deve mantenere l’effetto di straniamento e densità. Alcuni traduttori si sono visti quasi “operatori chirurgici del periodo”, costretti a riorganizzare snodi sintattici con fedeltà e inventiva.

Il tempo distrutto e la memoria labile

Nei romanzi di Krasznahorkai il tempo non scorre in modo lineare. Presente e passato si intersecano, spesso collassano. Le memorie insorgono come fenomeni su cui il personaggio non ha controllo, la storia personale diviene oggetto mobile, fragile. I romanzi sono paesaggi mentali instabili più che cronache di eventi: la narrazione si fa inchiesta di ciò che rimane, di ciò che vacilla.

Questo rapporto fratturato con il tempo è una cifra comune all’autore: la memoria è un campo scosso, la percezione instabile; e tuttavia, il racconto insiste, si aggrappa alla parola, come un ultimo baluardo.

Le opere chiave

Sátántangó (1985)

Opera che ha segnato l’esordio, Sátántangó è ambientato in una comunità rurale di confine — un microcosmo di collasso morale, relazioni fallite, ripetizioni ossessive. La struttura narrativa è circolare, dilatata, spinge il lettore a percepire la ripetizione come destino. Il romanzo ha ricevuto vaste attenzioni internazionali e ha costituito la base per il film omonimo di Béla Tarr (durata: oltre sette ore), che ne accentua la lentezza e l’ossessività visiva.

The Melancholy of Resistance / La malinconia della resistenza (1989)

In questo romanzo, ambientato in una città di provincia afflitta da un misterioso circo itinerante che porta caos e trascendenza, si intrecciano voci e visioni. Il libro ha ricevuto riconoscimenti in Germania e l’attenzione critica per la sua capacità di sintetizzare dimensione politica, allegoria e visione esistenziale.

Baron Wenckheim’s Homecoming (2016)

Considerato da molti un capolavoro tardo, Baron Wenckheim’s Homecoming — un vortice narrativo che attraversa una città morente, aspettative disilluse, personaggi in fuga o in rovina — è stato interpretato come una summa dello stile e della visione krasznahorkiana: un cantiere di dissoluzione mitica e resti umani, che si chiude su se stesso in un finale ambivalente. Il libro mette in luce il desiderio di ritorno e la constatazione dell’impossibilità del ritorno legittimo.

Herscht 07769 (2025, in linea con Nobel)

Tra le opere più recenti, Herscht 07769 (una sorta di “romanzo del virus”) è costruito come un’unica grande frase, immerso nel contesto drammatico della pandemia e dei “cospirazionismi”. Il protagonista Florian, ingenuo e vulnerabile, è manipolato da forze oscure che si insinuano nei margini sociali. Il libro incarna la dimensione più urgente dell’orizzonte apocalittico: l’attualità che implode. È una conferma del fatto che, in Krasznahorkai, la forma non si limiti alla ricerca, ma sia un’arma narrativa per il presente.

Altri titoli

Seiobo There Below, War and War, Spadework for a Palace, Chasing Homer sono testi che esplorano zone minime, poetiche, dialogando anche con l’arte, la mitologia, la visione. Animalinside è un esperimento visuale/testuale. Tutte queste opere rappresentano vari volti del progetto estetico — ora concentrato, ora espanso, sempre teso verso un “altrove” capace di inquietare.

Il riconoscimento del Nobel è stato accolto con entusiasmo da ambienti culturali, editoriali e accademici. In Ungheria, il premier Viktor Orbán ha espresso le sue congratulazioni, definendo Krasznahorkai «un orgoglio nazionale». Ma la celebrazione incontra anche riflessioni critiche: ci si domanda come tradurre il “mostro lirico” in altre lingue, e se l’Europa centrale — spesso periferia culturale nel dibattito globale — trovi finalmente una voce che reclama uno spazio pieno.

I traduttori, da decenni, hanno lavorato su versioni inglesi, tedesche, italiane, francesi. Ogni traduzione è una mediazione azzardata: rendere le frasi labirintiche, mantenere l’effetto di vertigine, e al tempo stesso far sì che il testo non si smaterializzi nel suo passaggio. Alcuni traduttori parlano di “reincarnazione linguistica” del libro originale.

Implicazioni per la letteratura contemporanea

Assegnare il Nobel a un autore così radicale è un gesto di sfida: suggerisce che la letteratura non deve rassicurare, che può essere soglia, attrito, esperienza. È un riconoscimento che conferisce luce a voci “difficili” e che, nel panorama contemporaneo, possono offrire alternative alle narrazioni dominanti — alla serialità, al consumo, all’intrattenimento. Potrebbe stimolare nuovi lettori a confrontarsi con sfide maggiori, a uscire dalla comfort zone narrativa.

Inoltre, in termini geopolitici culturali, è un segno della centralità dell’Europa orientale nel mosaico letterario mondiale. Autori ungheresi, polacchi, rumeni — territori che convivevano con disagi di riconoscimento internazionale — vedono confermarsi una capacità letteraria che non dipende da mediazioni “occidentali”.

Il simbolismo del premio

Molti vedranno in questa scelta un “Nobel controcorrente”: non una celebrazione morbida, ma una provocazione culturale. Il premio ridefinisce cosa significa “letteratura Nobel” oggi — non solo equilibrio, ma anche urto, difficoltà, resistenza.

È anche un invito alla riflessione sul ruolo dell’arte nei tempi tribolati: il riconoscimento dice che chi scrive non è solo testimone ma figura di resistenza, esploratore di margini, testimone del collasso anziché predicatore di consolazioni. In un’epoca in cui le crisi sembrano moltiplicarsi, scegliere un autore che parla di apocalisse è dichiarazione: l’arte è rilevante proprio quando tutto vacilla.

Il Premio Nobel 2025 a László Krasznahorkai è qualcosa di più di un onore: è una messa in scena culturale che pone domande al mondo della letteratura, ai lettori, al ruolo dell’arte nei tempi bui. È affermazione che la parola può reggere la vertigine, che l’arte può testimoniare la dissoluzione anziché cancellarla, che la densità è possibile.

9 Ottobre 2025
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