8:15 am, 9 Ottobre 25 calendario

16 miliardi su cui costruire il consenso

Di: Redazione Metrotoday
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La base su cui il governo muove i primi passi è una dotazione di circa 16 miliardi di euro (o poco più) da impiegare in tagli all’Irpef per il ceto medio, estensione della pace fiscale e misure per sostegno alle famiglie e al mondo delle imprese. Il confronto è in corso: i dossier fiscali e quelli delle coperture finanziarie saranno al centro del vertice con la maggioranza, e nei giorni prossimi seguiranno incontri con sindacati e imprese prima di portare il testo al Consiglio dei ministri.

In conferenza stampa nelle scorse ore, il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha rilanciato che gli spazi esistono e che “per il ceto medio e per la pace fiscale ci sono margini”. Allo stesso tempo, ha evocato un contributo straordinario da parte delle banche, sostenendo che chi ha realizzato “utili robusti” nei periodi recenti dovrebbe partecipare allo sforzo collettivo.

Non è una novità nella retorica della maggioranza: lo scorso anno fu discussa una tassa sugli extraprofitti bancari, poi rientrata nelle scelte parlamentari. Ora torna l’idea di un contributo straordinario — non come vessazione, ma come “responsabilità condivisa”.

Ma la partita non è semplice: all’interno della coalizione convivono sensibilità diverse su quanto e come intervenire. Forza Italia spinge per sgravi fino ai redditi da 60 mila euro; la Lega insiste su una rottamazione fiscale estesa su più anni. È su questi temi che oggi si giocherà la compattezza del centrodestra.

I paletti istituzionali e le scadenze ravvicinate

Il timing è serrato. Il governo ha convocato per i prossimi giorni una serie di incontri: mercoledì il vertice con i leader di maggioranza, venerdì l’audizione con i sindacati, lunedì con le imprese — giusto qualche ora prima che il testo entri in Consiglio dei ministri. Obiettivo dichiarato: chiudere il dibattito interno in fretta e portare la manovra in aula senza ulteriori rinvii.

Parallelamente, l’Istat ha proiettato dei dati cauti: la manovra da 16 miliardi non avrà un effetto significativo sul PIL nel 2026, e nei due anni successivi l’impatto espansivo stimato è “minimo”. In sostanza, è considerata una manovra che vuole più segnali che sostanza.

Sul fronte dei conti pubblici, la Legge di bilancio 2025 è già legge: approvata verso fine dicembre, con un deficit inizialmente fissato al 3,3 % del PIL, e con misure di taglio fiscale, sostegni sociali e un contributo previsto dalle banche per circa 3,5 miliardi. Ma quel bilancio deve ora convivere con una nuova fase: quella della “manovra correttiva” o “aggiustamento 2026”, che è il nome dietro cui si cela la politica fiscale del governo nei prossimi mesi.

Tensioni nella maggioranza: come si muovono i partiti

Non c’è compattezza assoluta nella coalizione. Da un lato, Fratelli d’Italia e la Lega sono vincolati all’impegno di dare risposte al ceto medio, dopo che molte misure negli ultimi anni hanno privilegiato redditi bassi e politiche assistenziali. Dall’altro, Forza Italia è spinta su un’articolazione più ampia degli sgravi, fino a 60 mila euro di reddito, e sulla rottamazione con scadenze lunghe — ma chiede che il governo non sottovaluti i costi finanziari.

Il bilanciamento tra promessa e realtà è il tema politico fondamentale: quanta spesa si può permettere, quali risorse reperire, come evitare di far saltare i conti. Serve che la linea Giorgetti sia sostenuta anche dal rally dei ministri “politici”, che dovranno mediare pressioni territoriali e richieste di consenso.

Il ceto medio: chi sono e cosa chiede

Il “ceto medio” è un’espressione che nasconde molte fasce: liberi professionisti, piccoli imprenditori, impiegati con redditi attorno ai 30-50 mila euro lordi annui. È una fascia che, in decenni di crisi, è stata compressa da tassazione, inflazione, crescita stentata e precarizzazione.

Per loro, una riduzione dell’Irpef, anche moderata, può fare la differenza nella capacità di spesa e nella fiducia. Ma è una soglia pericolosa: se gli sgravi sono troppo modesti, saranno percepiti come elettoralismo; se troppo generosi, rischiano di compromettere la credibilità dei conti pubblici e “aprire la via” a rallentamenti sui fondamentali macroeconomici.

L’altra misura centrale è la pace fiscale: cancellazione o dilazionamento delle cartelle esattoriali. È un tema sensibile, perché coinvolge l’apparato dei diritti erariali e la morale pubblica. Dare respiro a milioni di contribuenti indebitati può essere un segnale forte, specie se collegato a un incentivo a rientrare nel circuito fiscale ufficiale.

Le sfide strutturali

L’Italia si trova in un contesto estremo: debito alto, crescita fiacca, vincoli europei stringenti. Il piano di finanza pubblica prevede che il deficit venga ridotto sotto il 3 % del PIL nel 2025, un anno prima rispetto alle stime iniziali, grazie a maggiori entrate fiscali e riduzione dei costi del servizio del debito.

Per il 2025 il governo stima una crescita dell’economia dell’ordine dello 0,5 %, rivista al ribasso rispetto alle previsioni precedenti. I numeri suggeriscono che la “resistenza” del sistema sarà cruciale: gli sgravi fiscali non devono disinnescare le necessarie politiche di rigore.

Sul fronte del fardello fiscale, l’Italia ha un livello di taxation complessiva (tasse e contributi) intorno al 42-43 % del PIL, ben al di sopra della media europea. I critici affermano che la sua distribuzione è iniqua: i redditi medi e bassi sopportano un peso proporzionalmente più alto rispetto a patrimoni o rendite.

Inoltre, il peso degli interessi sul debito è ancora forte: anche con tassi in leggera discesa, il debito pubblico italiano rimane tra i più alti dell’area euro; un’impennata nei tassi globali, o uno shock esterno, potrebbe far saltare le carte.

Riforme strutturali al centro

Le misure fiscali vengono accompagnate da interventi sulla pubblica amministrazione, tagli agli sprechi, razionalizzazione dei bonus e revisione delle agevolazioni. In questa prospettiva la manovra serve anche per aprire un percorso di modernizzazione.

Quando si guarda alle elezioni politiche del 2027, l’orizzonte della manovra 2026 assume una dimensione strategica. Se riuscisse a dare ossigeno al ceto medio e ricompattare la base elettorale del centrodestra, diventerebbe un punto di forza. Se però fosse percepita come timida, o – peggio – come strumento di propaganda con scarsi effetti reali, rischierebbe di erodere consenso.

In più, le tensioni interne alla maggioranza sono una spada di Damocle. Le tensioni sui costi, le risorse, le coperture e le richieste locali — soprattutto da parte di territori con pressioni fiscali forti — potrebbero trasformarsi in battaglie parlamentari.

Infine, il vincolo europeo è sempre presente: la Commissione giudica il rispetto degli obiettivi sul deficit, la sostenibilità del debito e la credibilità della strategia finanziaria. Un’errata valutazione del rigore può causare procedure d’infrazione o l’imposizione di restrizioni sulle politiche nazionali.

Promesse e conti reali

Un rito rituale: è il momento in cui la maggioranza, che guida il Paese, prova a trasformare promesse politiche in un disegno finanziario. La “manovra del ceto medio e pace fiscale” è un messaggio al Paese: l’intento è alleggerire il peso tributario più percepito e dare fiato alle classi messe in tensione.

Ma nella grammatica dei conti pubblici, un segnale non è tutto. Il rischio è che resti realmente un segno simbolico se dietro non ci sarà rigorosa finanza, coperture credibili e rigore nell’implementazione. Il governo dovrà dimostrare che è capace non solo di promettere, ma di realizzare. E che può farlo restando nella “trincea” europea senza cedere a populismi intempestivi.

9 Ottobre 2025
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