STORIE DI STUPRI — Quando la crudeltà umana entra nelle case e nella mente

Negli ultimi mesi, l’Italia è tornata dolorosamente al centro dell’attenzione per una serie di casi di violenza sessuale brutale, storie che non sono “eccezioni”, ma segnali inquietanti di un problema strutturale che fatica a essere affrontato in profondità. Tre episodi recenti — a Pavia, Sondrio e Rieti — riemergono come specchi degli abissi che molte donne – e ragazze – devono attraversare ogni giorno. Ma dietro ogni cronaca c’è un vissuto: dolore, paura, silenzio e tentativi di ricostruzione. In questo articolo, attraverso le storie, le statistiche, le radici culturali e le resistenze sociali, cerchiamo di dipanare la trama di un fenomeno che ci riguarda tutti.
I fatti recenti: cronaca angosciante
Pavia: il vicino di casa e il “latte”
Una studentessa di 19 anni, in provincia di Pavia, ha denunciato di essere stata violentata da un vicino di casa, che sarebbe riuscito a farsi aprire la porta con la scusa del “latte”. L’uomo, secondo la ricostruzione, avrebbe approfittato del rapporto di vicinato e di una fiducia implicita per intrufolarsi e compiere la violenza. Una storia che ribalta la rassicurazione che “i pericoli vengono da lontano”, mostrando come l’aggressione possa compiersi nel contesto più vicino e quotidiano.
Sondrio: l’orrore dell’“orecchio staccato”
Un racconto ancora più inquietante è quello proveniente da Sondrio: una donna violentata tanto brutalmente da riportare lesioni gravissime, una di quelle che le cronache distinguono con parole crudeli: “orecchio staccato”. Un’aggressione così feroce che la violenza non è solo sessuale, ma mutilante, lascia cicatrici ben più profonde del corpo. L’impatto sulla vittima è – immaginiamo – senza ritorno: corpo, identità, dignità completamente travolti.
Rieti: la violenza nel bosco
Nel reatino, una ragazza è stata aggredita mentre era in un bosco, un luogo che avrebbe dovuto essere di quiete, tra alberi e silenzio. Un uomo, che la vittima avrebbe incontrato per motivi non chiari – si parla di “va a comprare droga e viene violentata” – l’ha assalita: è stato arrestato. Un episodio nel quale l’elemento di pericolo è la solitudine, l’isolamento, il nascondimento di chi compie il gesto.
Queste tre storie non sono isolate, né le più atroci. Sono segni lampanti di un’emergenza che pulsa nel quotidiano. E quando si accumulano, quando i casi diventano “notizie del giorno”, è urgente chiedersi: cosa dicono, e cosa non dicono, le nostre istituzioni, il nostro sistema giudiziario, la nostra cultura?
Il sommerso, la distanza fra legge e realtà
Secondo i dati del Ministero dell’Interno, nei primi sei mesi del 2024 sono state denunciate in media 16 violenze sessuali al giorno, il 91 % delle vittime donne.
Nel 2024, i casi complessivi di violenza sessuale denunciati sono stati 6.587, con un aumento del 6 % rispetto al 2023.
Il fenomeno degli “reati spia” (atti persecutori, maltrattamenti, violenze sessuali) mostra tendenze contrastanti: mentre le violenze sessuali denunciate sono leggermente calate (-2 %) in un arco recente, l’impegno investigativo e le segnalazioni a carico di autori noti aumentano, segno che emergere e denunciare è forse più credibile, benché la strada resti in salita.
Nel quadro più ampio, si stima che, a livello nazionale, circa il 31,5 % delle donne tra i 16 e i 70 anni (quasi 7 milioni) abbia subìto nel corso della vita qualche tipo di violenza fisica o sessuale.
Secondo Istat, il 13,6 % delle donne dichiara di aver subito violenze fisiche o sessuali da parte di partner o ex partner, pari a circa 2,8 milioni.
Il 24,7 % delle donne ha subìto almeno una violenza fisica o sessuale da parte di uomini non partner (estranei o conoscenti).
Silenzi e ostacoli alla denuncia
Le denunce rappresentano solo la punta dell’iceberg. Molte vittime non parlano mai, per ragioni che vanno oltre la paura: vergogna, senso di colpa, sfiducia verso la giustizia, timore di ripercussioni, reticenza da parte di chi ascolta.
Secondo alcune stime, le violenze subite e non denunciate possono essere anche quattro volte superiori a quelle ufficiali. Il fenomeno del “non detto” ha radici profonde: nella minimizzazione culturale, nei pregiudizi che ancora resistono, nella lentezza dei processi e nella dolorosa esposizione che una denuncia comporta per chi la presenta.
Le vittime denunciano, talvolta, anche per sostenere con prove legali le proprie battaglie interiori. Ma in molte realtà locali, la pressione sociale e il rischio di essere “etichettate” rimane un deterrente potente.
La legge italiana è chiara: la violenza sessuale è un reato contro la persona (artt. 609-bis e seguenti), con pene che vanno da 6 a 12 anni di reclusione (e maggiorazioni in presenza di aggravanti).
Negli anni sono intervenute modifiche, come il Codice Rosso (legge n. 69/2019), che ha velocizzato l’iter di alcune segnalazioni e introdotto tutele più marcate, ma l’effettiva applicazione varia molto da territorio a territorio.
La differenza fra ciò che la legge prevede e quello che avviene “sul campo” rimane spesso abissale: ritardi nell’avvio delle indagini, difficoltà nel reperire prove, lunghezza dei processi, revittimizzazione delle donne, ostacoli istituzionali. Non è raro che chi denuncia si ritrovi esposta a interrogatori invasivi, a dubbi impliciti, a domande che trasformano la vittima in imputata del proprio stesso destino.
Dietro ogni aggressione sessuale c’è una cultura — spesso inconsapevole — che ne permette l’esistenza.
Normalizzazione e banalizzazione del desiderio
Quando intenzioni, avances, desideri sessuali vengono narrati nella cultura pop e nei media come diritti impliciti, il confine fra corteggiamento e imposizione si assottiglia. Il “no” viene reso ambiguo, l’insistenza romanticizzata, il corpo femminile messo a disposizione dell’altro come se fosse “terra senza confini”.
Stereotipi, vittima e carnefice
Nella cultura dominante persiste lo stereotipo della “vittima sedotta”, della “provocazione”, della “zona grigia”. Si chiede alla donna come si vestiva, dove andava, se aveva bevuto, invece di concentrare l’attenzione su chi compie il reato. La colpa torna sempre, in qualche modo, sulla vittima.
Isolamento e silenzio sistemico
Molti aggressori operano in contesti di fiducia — vicini, familiari, conoscenti, colleghi — che rendono difficile la denuncia. Il silenzio complice di chi sa, di chi sospetta ma non agisce, di chi teme la verità è un atto che alimenta la violenza.
Le polizie, le procure, i centri antiviolenza, le strutture sanitarie non sempre funzionano in rete. La risposta può essere disomogenea: dove c’è sensibilità, la vittima è accolta; dove manca, è respinta. Le disparità territoriali, le risorse scarse e la formazione non uniforme aggravano l’isolamento.
La distanza fra corpo e psiche
Spesso si parla di “trauma”, ma anche di identità infranta, di fiducia perduta, di relazioni che non si rimarginano. Una ferita del corpo è visibile, ma la ferita dell’anima resiste, si nasconde, resiste. Le terapie di supporto, i percorsi di reintegrazione sono spesso sottofinanziati.
L’azione dello Stato e le sue lacune
- Il Codice Rosso (2019) è una delle riforme più significative degli ultimi decenni: consente l’apertura immediata del fascicolo d’indagine e una maggiore protezione della vittima.
- Le aggravanti (quando l’abuso avviene in presenza di minori, uso di armi, mutilazioni) aumentano la pena prevista.
- In alcune regioni sono stati potenziati i Centri Antiviolenza, le case rifugio e le unità operative multidisciplinari in ambito sanitario.
Le storie di Pavia, Sondrio e Rieti sono ferite che la cronaca ha acceso per un momento: per comprendere che la violenza sessuale non è una deroga, ma un segno che qualcosa non funziona. Il nostro Paese – come molti altri – ha una legge decente, ma la distanza fra la norma e l’esperienza vissuta resta spesso drammaticamente ampia.
Questa è una lotta culturale, sociale e politica. Non basta “più polizia”, né più pene se non cambia il modo con cui si ascolta, si accoglie, si accompagna. Ogni storia denunciata è un monito: non ci si può rassegnare al male. Una società che tollera l’aggressione al corpo e all’anima delle persone più fragili è una società che perde la propria umanità.
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