Gaza, una nuova flotilla italiana verso la “zona rossa”

Nelle acque del Mediterraneo si consuma un nuovo, drammatico atto della lunga guerra per Gaza.
Una nuova flottiglia umanitaria è partita dall’Italia, con l’obiettivo dichiarato di rompere il blocco navale imposto da Israele alla Striscia di Gaza. La notizia ha fatto rapidamente il giro del mondo: a bordo ci sono medici, infermieri, giornalisti, attivisti, e anche sei cittadini italiani che, secondo il loro racconto, si trovano ormai a 24 ore dal contatto con la cosiddetta “zona rossa” — ovvero l’area marittima che Israele considera come possibile teatro di intervento militare contro navi sospette.
La nave principale della spedizione è la Conscience, salpata da Otranto, con a bordo un centinaio di persone.
Le altre imbarcazioni — dieci natanti più piccoli — provengono da Otranto e Catania, facenti parte delle coalizioni Freedom Flotilla e Thousand Madleens to Gaza.
Attualmente, queste imbarcazioni si trovano nelle acque antistanti l’Egitto, tra Alessandria e Port Said, in attesa di entrare nella zona di maggior rischio.
Nei prossimi giorni (tra il 7 e l’8 ottobre) potrebbe esserci il passaggio decisivo verso la “zona rossa”.
Una fonte interna alla missione ha riferito che la decisione di posticipare l’avanzata era motivata dalla volontà di evitare che la partenza in una data simbolica — proprio l’8 ottobre — venisse interpretata come una provocazione.
In parte, si teme che Tel Aviv possa considerare la Conscience una provocazione da colpire, soprattutto dopo che quella stessa nave era stata attaccata con droni in una precedente missione.
L’intenzione è chiara: consegnare aiuti, ma — forse ancor più — portare uno strumento di pressione morale e politica sul conflitto israelo-palestinese.
Il parallelo con la Global Sumud
Questo nuovo tentativo di rompere il blocco non è un episodio isolato, bensì si inscrive in una storia recente che si è riaccesa con forza nelle ultime settimane.
All’inizio di ottobre si è conclusa l’operazione della Global Sumud Flotilla (GSF), una grande spedizione internazionale con decine di imbarcazioni e centinaia di attivisti, che ha puntato a raggiungere Gaza con impegni umanitari e simbolici.
Le forze navali israeliane hanno intercettato 41 delle 42 imbarcazioni in acque internazionali, a circa 70 miglia da Gaza.
L’ultima nave arrestata, la Marinette, era battente bandiera polacca e risultò la più vicina al target: 42,5 miglia nautiche dalla costa della Striscia.
I numeri sono impressionanti: si stimano oltre 470 attivisti arrestati, di cui almeno quattro erano parlamentari italiani.
Il governo italiano si è attivato diplomaticamente: il ministero degli Esteri ha chiesto che le procedure di deportazione per gli italiani fossero accelerate, denunciando le condizioni di detenzione come “particolarmente scomode”.
Secondo i resoconti degli attivisti, molti sono stati trattati “come scimmie” e sottoposti a maltrattamenti.
Nella circostanza, l’Italia aveva anche assicurato una scorta navale fino a circa 150 miglia dalla costa di Gaza, ma aveva già previsto di non spingersi oltre per evitare lo scontro diretto.
Dopo l’intervento israeliano, il governo ha richiamato la sua decisione: la scorta navale italiana si è interrotta prima della zona più pericolosa e il premier Meloni ha avvertito che gli attivisti italiani presenti nel convoglio avrebbero potuto essere arrestati.
Sono molte le analogie con il presente: la strategia del blocco navale, l’uso della repressione come strumento dissuasivo, il ruolo dell’Italia, il forte carico simbolico della solidarietà internazionale.
Profili umani
Sul ponte della Conscience, che ormai diventa palcoscenico mediale, si avverte la tensione — ma anche una disciplina quasi militare di relazioni. Riccardo Corradini, chirurgo italiano, è uno dei cinque connazionali presenti, e ha raccontato ai media che la nave potrebbe entrare nella zona rossa entro 24 ore.
Un altro attivista, Francesca Amoruso, ha dichiarato che l’equipaggio ha deciso di rallentare l’avanzata per evitare che l’entrata in quella zona coincidesse con il 7 ottobre.
Tra i passeggeri ci sono medici, infermieri, giornalisti e operatori umanitari: si spera che la natura civile della missione riduca le giustificazioni israeliane per un’azione militare.
Ma la Conscience stessa è già bersaglio: nella scorsa missione era stata attaccata da droni in acque internazionali, e Israele ha minacciato di colpirla nuovamente.
Per gli attivisti, la missione è anche un gesto morale: rompere il silenzio attorno alla crisi umanitaria di Gaza, colpita da bombardamenti, carestia, distruzioni infrastrutturali e isolamento economico.
Per le autorità israeliane, il blocco navale è una misura di sicurezza — un argine contro l’ingresso di armi via mare verso Hamas e altri gruppi armati.
Il contesto strategico e geopolitico
Il conflitto israelo-palestinese ha vissuto in questi due anni una drammatica escalation, esplosa con l’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 e la successiva risposta militare israeliana su Gaza. In quelle settimane sono state distrutte intere aree urbane, i diritti civili fondamentali sono stati erosi e la popolazione è sopravvissuta in condizioni disperate.
L’assedio navale viene considerato da molti osservatori come una forma di “punizione collettiva” che viola i principi del diritto internazionale umanitario. Israele difende il blocco come misura legittima di difesa contro il contrabbando militare.
Le flotte civili che cercano di rompere quel blocco rappresentano uno strumento simbolico: mettono alla prova la determinazione dell’Occidente a non limitarsi all’indignazione verbale. Quando attivisti europei o americani rischiano l’arresto o la deportazione, la pressione pubblica e diplomatica si fa più forte.
Per l’Italia la flotta ha un’importanza politica interna: il governo si trova sotto attacco da parte dei partiti di opposizione, delle organizzazioni sindacali e della base elettorale che chiede una posizione più netta a favore della popolazione palestinese. In Italia è stata indetta una giornata di sciopero generale che ha coinvolto milioni di persone, con manifestazioni di solidarietà verso Gaza.
Ma il governo è stato cauto: da un lato ha sostenuto il diritto all’azione umanitaria, dall’altro ha rimarcato che non si tratterà di una spedizione militare. Per evitare lo scontro armato, Roma ha deciso di interrompere la scorta navale italiana prima di entrare in acque particolarmente sensibili.
Sul piano internazionale, la missione italiana arriva in un momento di forte polarizzazione: le tensioni diplomatiche tra Stati Uniti, paesi arabi e Israele sono altissime. Alcuni paesi europei hanno criticato l’intervento israeliano contro la Global Sumud, richiamando Tel Aviv al rispetto del diritto umanitario internazionale.
Le esperienze precedenti sembrano dimostrare che non basta la determinazione: servono coordinamento internazionale, mezzi tecnici adeguati, protezione diplomatica preventiva, strategie alternative (sbarco ai porti vicini, mediazioni con paesi terzi).
Coloro che sono stati catturati spesso pagano un prezzo alto, sia personale che mediatico. I governi delle nazioni coinvolte talvolta intervengono a sostegno, ma raramente con forza sufficiente per ribaltare il risultato.
Il test morale del Mediterraneo
Questa nuova flottiglia italiana non si muove solo nel mare. Muove le coscienze. Mette in crisi i confini tra diritto internazionale, attivismo civile e geopolitica. Costringe l’opinione pubblica a porsi interrogativi antichi.
Se la Conscience e le altre imbarcazioni raggiungeranno la zona rossa, assisteremo a uno scontro diplomatico senza precedenti — e probabilmente anche militare. Se verranno intercettate prima, l’operazione rimarrà un gesto coraggioso, ma dal risultato limitato.
In ogni caso, per quei sei italiani che navigano verso l’ignoto, è scattato un conto alla rovescia: non solo contro le onde, ma contro il tempo, le sirene della geopolitica, la forza del blocco e la fragilità del simbolo.
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