12:29 pm, 2 Ottobre 25 calendario

Il lariosauro del Monte San Giorgio una straordinaria scoperta per la paleontologia

Di: Redazione Metrotoday
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Nelle scorse settimane, il mondo della paleontologia è stato scosso da una scoperta che sembra uscita da un romanzo: lungo le pendici del Monte San Giorgio, è emerso un fossile di rettile marino, vecchio di circa 240 milioni di anni, con la pelle ancora conservata e con dettagli anatomici mai osservati prima. Si tratta di un Lariosaurus valceresii, ritrovato sul versante svizzero del monte, in una campagna di scavi del 2023.

La scoperta ha suscitato grande interesse non solo perché aggiunge un tassello nelle conoscenze su questa specie, ma soprattutto perché, per la prima volta al mondo per questo genere e in quel luogo, si possono distinguere con precisione il profilo corporeo, le zampe “palmate” e la raffinata morfologia del tessuto cutaneo. Il ritrovamento, pubblicato sul Swiss Journal of Paleontology, è il frutto del lavoro congiunto del Museo cantonale di storia naturale (MCSN), dell’Università dell’Insubria di Varese e dell’Università di Torino, e conferma ancora una volta il Monte San Giorgio come sito paleontologico di riferimento a livello globale.

Il Monte San Giorgio: l’arca fossile delle Alpi

Prima di immergerci nei dettagli del lariosauro, è utile ricordare quanto il Monte San Giorgio – al confine tra Italia e Svizzera – rappresenti un punto di riferimento inderogabile per la paleontologia del Triassico Medio. Già dai primi scavi ottocenteschi, studiosi notarono che questa montagna custodiva ossa, conchiglie, resti di rettili e pesci sepolti in sedimenti marini con uno stato di conservazione fuori dal comune.

Nel 2003 il versante svizzero fu inserito nella Lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO per “la miglior testimonianza della vita marina del Triassico medio (230‑240 milioni di anni fa)”. Più tardi, nel 2010, anche il versante italiano fu incluso, dando vita a una gestione transnazionale. Oggi, il sito copre 849 ettari e conta migliaia di reperti: circa 30 specie di rettili, 80 di pesci, centinaia di invertebrati.

In questo contesto, ogni nuova scoperta ha un peso simbolico. Non si tratta solo di arricchire collezioni, ma di decifrare la biodiversità, la paleoecologia, le modalità di vita e il funzionamento degli ecosistemi antichi.

Negli ultimi anni, il Monte San Giorgio è stato teatro anche di ritrovamenti entomologici di straordinario valore: ad esempio, tra il 2020 e il 2023 furono rinvenuti 248 insetti fossili risalenti a circa 239 milioni di anni, molti dei quali perfettamente conservati, con dettagli morfologici oggi studiabili. Tali scoperte hanno contribuito a ricostruire la diversità degli insetti del Triassico e le loro relazioni evolutive dopo l’estinzione del Permiano.

Così il Monte San Giorgio rimane un luogo dove il passato emerge e si dispiega, pietra dopo pietra.

Il fossile con pelle: come è stato scoperta

La scoperta risale al 2023, nell’ambito delle campagne di scavo coordinate dal MCSN sul versante svizzero, lungo il torrente Gaggiolo vicino al villaggio di Meride. I paleontologi già impegnati in quel settore hanno individuato uno strato ricco in sedimenti laminati, dove era conservato un frammento fossile che, una volta sottoposto a un’attenta preparazione, ha rivelato straordinari dettagli: non solo ossa, ma tracce di pelle fossilizzata sotto forma di un film carbonioso che ne delineava il profilo complessivo.

L’animale è stato identificato nella specie Lariosaurus valceresii—un rettile marino di dimensioni relativamente modeste, all’interno del gruppo dei sauropterigi, che popola i mari del Triassico Medio. È la prima volta che per questa specie, e per questo sito, si osserva una conservazione cutanea così integrale.

Il fossile conserva, oltre allo scheletro, impronte della sua silhouette e membrature tra le dita (le zampe erano palmose), consentendo di ricostruire le linee del corpo con precisione mai vista fino ad oggi per questo genere.

Dettagli anatomici finora ignoti

La pelle fossilizzata e le muscolature associate hanno svelato elementi che cambiano la percezione sulla locomozione e lo stile di vita del animale:

    – Le membrane interdigitali tra le dita suggeriscono che il Lariosaurus nuotasse efficacemente con le zampe, probabilmente con modalità simili a quelle delle otarie: movimenti “parassiali”, cioè spinta propulsiva generata dalle estremità piuttosto che da ondulazioni del corpo.

    – Le zampe anteriori appaiono particolarmente sviluppate in termini di muscolatura, indicando che gli arti anteriori avessero un ruolo attivo nella locomozione acquatica.

    – La pelle mostra squame sottili e un film carbonioso che definisce esattamente il contorno corporeo, delineando una sagoma compatta e idrodinamica.

In sostanza, il fossile permette di visualizzare non solo l’osseo, ma la “forma vivente” dell’animale: la sua pelle, le proporzioni, la strategia di nuoto.

Importanza del versante svizzero

Fino a ora, le scoperte più spettacolari relative ai fossili con tessuti molli erano state concentrate sul versante italiano del Monte San Giorgio. Questo ritrovamento rappresenta la prima “prima mondiale” per il versante elvetico: primo esemplare con pelle conservata su quel lato, primo Lariosaurus valceresii rinvenuto lì.

Il risultato conferma la trasversalità geografica del valore paleontologico del luogo e rafforza la necessario cooperazione italo‑elvetica nella gestione degli scavi e nella divulgazione.

Un “film” vivente nel Triassico: eco di un oceano perduto

La scoperta del lariosauro con pelle ci catapulta in un mondo scomparso: un mare tropicale poco profondo, ricco di vita, isolato da barriere coralline e in comunicazione con bacini più aperti. Nel Triassico Medio, le catene montuose che oggi si elevano erano mari, e i sedimenti del Monte San Giorgio registrarono eventi di deposizione rapida, condizioni chimiche favorevoli e ambienti poco ossigenati che consentirono la conservazione di organismi con dettagli finissimi, fino ai tessuti molli.

Nel caso del lariosauro, quella “memoria cutanea” ci restituisce l’animale non come scheletro passivo, ma come organismo completo, attivo. Possiamo immaginarlo mentre spinge le zampe palmose per nuotare, magari con agilità, insegna pescetti o si sposta in spazi insidiosi vicino alla costa lagunare. È un film fossile che risveglia il mondo scomparso.

La maniera in cui si muoveva — probabilmente alternando scatti con le zampe, più che scorrimenti del corpo — suggerisce una specializzazione evolutiva che mostra quanto già 240 milioni di anni fa i rettili marini stessero sperimentando strategie complesse di locomozione.

Quando la pelle resiste al tempo

Non è la prima volta che i paleontologi scoprono resti con tessuti molli fossilizzati: la storia delle scienze naturali è costellata di scoperte straordinarie in cui pelle, muscoli, pelle e altre strutture sono giunte fino ai giorni nostri. Tuttavia, ciascuna di queste scoperte è un’eccezione rara, spesso dovuta a condizioni ambientali straordinarie.

    – In alcuni siti in Cina, sono stati ritrovati dinosauri con impressioni cutanee perfette, persino con piume e strutture morfologiche fini.

    – In Persano (Italia), alcuni anfibi del Triassico presentano ancora pelle fossilizzata nelle lastre calcaree.

    – In Giappone e in Brasile, insetti in ambra hanno preservato in dettaglio organi e tessuti molli per milioni di anni.

Tuttavia, nel contesto dei rettili marini del Triassico e nello specifico del genere Lariosaurus, non si ricordava un caso così completo in cui pelle, profilo e arti palmati fossero così ben conservati insieme. Questo rende la scoperta del Monte San Giorgio non solo un dettaglio, ma un punto di svolta metodologico e narrativo.

Il reperto appena ritrovato è una porta aperta, non un capitolo chiuso. Ecco alcune delle sfide e delle direzioni di ricerca che gli studiosi stanno già valutando:

Non basta vedere la pelle: occorre analizzarne la composizione. Residui organici, tracce di pigmenti, strutture cellulari (dove preservate) possono fornire dati su colore, adattamenti alla diffusione del calore, spessore, meccanismi di protezione. Ciò implica l’uso di spettroscopie, microscopi elettronici, micro-imaging ad alta risoluzione.

Con la sagoma corporea integrata e le proporzioni note, è possibile costruire modelli 3D dinamici per simulare il nuoto del Lariosaurus. Può emergere se quel tipo di locomozione era più efficiente in ambienti costieri, se l’animale poteva compiere spostamenti più lunghi o se era ottimizzato per brevi scatti.

Indagini comparative con altri fossili

Il sito offre una ricca collezione di rettili marini: crososauri, notosauri, pachipleurosauri, ittiosauri. Confrontare il lariosauro con altri esemplari può aiutare a posizionarlo meglio nel panorama evolutivo locale: varianti morfologiche, differenze ecologiche, competizione ambientale.

È probabile che non sia l’unico esemplare con tessuti conservati. Le aree sedimentarie ancora inesplorate, o i livelli appena al di fuori delle campagne note, potrebbero ospitare altri fossili “molli”. Ampliando le prospezioni, i paleontologi sperano di trovare analoghi o varianti in fila.

Il Museo cantonale di storia naturale e altri enti partner hanno già preparato una ricostruzione virtuale dell’esemplare, a partire dal film cutaneo. Questa visualizzazione può diventare uno strumento potente per la divulgazione scientifica, nei musei, nelle scuole, per il grande pubblico. Permetterà di “vedere” l’animale nuotare, di capire le sue forme come se fosse ancora vivo.

Il genere Lariosaurus

Il nome “Lariosaurus” richiama il lago di Como (Lario): i primi fossili del genere furono scoperti nella zona lecchese. Questi rettili appartenevano al gruppo dei sauropterigi, un clade di rettili acquatici che include celebrità come plesiosauri e placodonti. Pur non essendo enormi creature marine, i lariosauri erano ben adatti al nuoto, spesso in ambienti costieri o lagunari.

La loro lunghezza tipica era modesta (circa 1 metro), dimensione compatibile con una vita agile tra le acque poco profonde. Le zampe palmose, la forma affusolata e l’adattamento al nuoto li posizionano come predatori o opportunisti marini nelle acque triassiche.

La specie L. valceresii è meno documentata rispetto ad altre affini. Questo ritrovamento fornisce dati finora mancanti per la specie: morfologia cutanea, proporzioni scoleto‑muscolari, modalità di nuoto. Sul versante italiano e nei giacimenti vicini, sono stati rinvenuti altri lariosauri, ma generalmente senza tessuti molli conservati.

Il Monte San Giorgio ha restituito altre forme affini e differenti: i pachipleurosauri (come Serpianosaurus mirigiolensis), i notosauri e perfino rettili terrestri. Ogni gruppo ha mostrato adattamenti diversi alla vita acquatica: alcuni erano specializzati in nuoto ondulatorio, altri combinavano movimento acquatico e terrestre. Il lariosauro con pelle integrale potrà aiutare a collocarlo tra queste strategie adattative.

La notizia ha rapidamente attraversato quotidiani, riviste scientifiche e media online. In Italia, è stata rilanciata come “una prima mondiale” e come un ritrovamento che “rimette in discussione” alcune idee consolidate sulle creature marine del Triassico. Sul versante svizzero, il Museo cantonale di storia naturale ha enfatizzato la primazia locale: per la prima volta il versante elvetico ha restituito un lariosauro con pelle intatta.

Allo stesso tempo, negli ambienti accademici, la scoperta è accolta con entusiasmo ma con prudenza: chi studia fossili sa quanto sia facile sovrainterpretare ogni dettaglio. Le riviste peer‑review hanno richiesto la massima documentazione, rigore negli studi chimici e nelle analisi comparative.

Anche il pubblico è rimasto affascinato: nelle pagine dedicate alla divulgazione scientifica si parla di “fossile vivente”, di “ritorno al mare antico”, di “scheletro che rivela la pelle”. Non mancano critiche: qualcuno teme che l’attenzione mediatica generi aspettative esagerate, che spinga a “scoperte miracolose” anziché solide.

Implicazioni per la paleontologia e la divulgazione

La scoperta stabilisce un nuovo benchmark: non più limitarsi al dato osseo, ma puntare anche alle tracce molli, alle impronte cutanee, alle sagome integrate. In futuro, i progetti di scavo, preparazione e studio dovranno prevedere protocolli adatti a preservare qualsiasi traccia residua di tessuto, anche quando invisibile a occhio nudo.

Il fossile apre la possibilità di studi comparativi su colore, tattiche di nuoto, strategie predatori/prede e adattamenti cutanei resistenti in condizioni marine. Potrebbe aiutare a capire come i rettili marini si siano evoluti, come abbiano affrontato pressioni selettive e come abbiano colonizzato ambienti acquatici.

L’esemplare sarà probabilmente esposto nei musei del Monte San Giorgio (Meride, Besano) accompagnato da modelli digitali, animazioni 3D, ricostruzioni virtuali. Per studenti, appassionati e visitatori, diventerà un simbolo vivente del passato, un ponte tra ciò che era e ciò che possiamo vedere oggi grazie alla scienza.

Un rettile che parla al presente

L’emersione del lariosauro con pelle dal Monte San Giorgio resta un fatto raro e carico di fascino. Ci parla di mondi antichi, di mari tropicali che oggi sono montagne, di organismi che nuotavano come creature dalle forme delicate e aliene rispetto all’idea di rettile classico.

Ma più di ogni altra cosa, ci ricorda che la paleontologia è una disciplina viva, capace di rinnovarsi, di sorprenderci e di restituire frammenti di vita in momenti impensabili. Quel fossile è un ponte tra 240 milioni di anni fa e oggi: una pelle che resiste, un corpo che emerge dall’oblio.

2 Ottobre 2025
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