9:45 pm, 1 Ottobre 25 calendario

Sembra impossibile che l’uomo abbia costruito le piramidi

Di: Redazione Metrotoday
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Nella Rocca dei Papi a Montefiascone, l’egittologo più noto al mondo — Zahi Hawass — ha pronunciato una frase che ha già fatto il giro del web: «Sembra impossibile che l’uomo abbia costruito le piramidi e i grandi monumenti ritrovati…».

Ha parlato di stupore, sacrificio e meraviglia, evocando la distanza che separa la nostra epoca da quella degli antichi costruttori del Nilo. Ma al di là dell’eloquenza, le sue parole risvegliano questioni centrali: quanta parte dell’enigma delle piramidi è oggi ancora aperta? Cosa sappiamo — e cosa solo immaginiamo — della loro genesi? E, nell’era della tecnologia, dove si colloca il confine tra legittima meraviglia e astratta speculazione?

Montefiascone e “L’uomo col cappello”

L’episodio prende le mosse dalla presentazione del libro autobiografico di Hawass, “L’uomo con il cappello”, nel cuore dell’area dei Cimini. Davanti ad una sala affollata, l’egittologo ha raccontato il suo percorso, dalle difficoltà scolastiche fino alla consacrazione come figura di rilievo internazionale nel mondo dell’egittologia.

Tra gli aneddoti, la frase choc: «Sembra impossibile che l’uomo, così tanti anni fa, sia riuscito a creare tali opere. Abbia costruito le piramidi».

Non si trattava di negare il coinvolgimento umano, bensì di esprimere meraviglia storica: un riconoscimento della distanza tecnica e culturale che separa i nostri strumenti da quelli dell’epoca antica.

Hawass ha contestualizzato la sua visione citando le scoperte che ha condotto direttamente — ad esempio la “città d’oro” a Luxor — e ricordando la vivacità tecnologica che oggi consente di rimettere in discussione idee consolidate.

Ma proprio questo nodo — il confine tra legittimo stupore e congettura estrema — è il campo su cui si gioca oggi il confronto più acceso nell’egittologia.

Un passato di miti e interpretazioni alternative

Per millenni, le piramidi sono state soggette a interpretazioni che oscillano tra il razionale e il mitico. Nel corso dell’Ottocento e del primo Novecento, si diffusero ipotesi fantasiose legate a civiltà perdute, conoscenze esoteriche o influenze di “civilizzazioni superiori”.

Con l’avvento dell’egittologia moderna, grazie a una combinazione di iscrizioni, rilievi e studio del contesto storico, si affermò la visione secondo la quale le piramidi fossero tombe reali, costruite in un arco di tempo limitato e mediante tecniche che implicavano lavoro massiccio ma coordinato di migliaia di operai e artigiani (non schiavi nel senso tradizionale).

Uno degli argomenti più noti in questo senso è la scoperta, già durante la presidenza di Hawass, di tombe di operai nei pressi della Grande Piramide: queste sepolture suggeriscono che chi costruì le piramidi non fosse un proletariato privo di status, ma lavoratori con un grado di dignità, capaci di ereditare tombe vicine alla piramide stessa.

Tuttavia, per quanto consolidata, questa interpretazione non ha mai chiuso del tutto le domande: la proporzione geometrica, la precisione dell’allineamento, l’entità materiale e l’assenza — in molti casi — di documenti esaustivi generano sempre spazi di interrogazione.

Le tecniche moderne e ciò che abbiamo scoperto

Negli ultimi decenni, la tecnologia ha aperto finestre impensabili all’interno delle piramidi e nei loro dintorni. Alcuni progetti recenti meritano particolare attenzione:

La radiografia con muoni: il “Big Void” nella Grande Piramide

Grazie all’osservazione dei muoni cosmici che attraversano la pietra, il progetto ScanPyramids nel 2017 ha rilevato un grande vuoto — un corridoio interno di oltre 30 metri — al di sopra della Grand Gallery della Piramide di Cheope. Questo “Big Void” ha confermato che all’interno della massiccia pietra artificiale esistono strutture non previste dalle planimetrie tradizionali.

Non è chiaro il suo scopo: potrebbe essere una cavità funzionale, uno spazio di alleggerimento o un corridoio connesso al sistema di costruzione. L’impatto più importante è metodologico: la tecnologia ha dimostrato che è possibile “vedere” dentro le piramidi senza perforare.

Il progetto ScIDEP sulla Piramide di Khafre

Più recentemente (2025), la collaborazione ScIDEP ha installato telescopi muonici su differenti lati della Piramide di Khafre per scandire il volume interno da varie angolazioni. L’idea è di mappare eventuali ulteriori spazi interni sconosciuti, utilizzando strumenti a scintillazione e simulazioni avanzate.

I primi dati preliminari indicano anomalie interessanti nella densità interna, ma non sono ancora state annunciate strutture precise.

Questo approccio sta diventando un modello: adottare tecnologie fisiche avanzate per sondare grandi monumenti in maniera non invasiva.

Radar, tomografia e micro-movimenti

Un gruppo guidato da Filippo Biondi e Corrado Malanga, già nel 2022, ha proposto un metodo basato su micro-movimenti indotti da onde sismiche naturali, combinandoli con SAR (radar ad apertura sintetica), per “rendere trasparenti” i grossi volumi delle piramidi. Secondo il loro lavoro, l’intero blocco di Cheope può essere attraversato da strutture invisibili alla vista normale, rilevate come variazione di densità o micro-spostamenti.

Questa intuizione ha generato entusiasmo e scetticismo: da un lato apre spiragli teorici affascinanti, dall’altro è accusata di fondarsi su elaborazioni altamente speculative e non pienamente validate.

Robot esploratori nei cunicoli segreti

Un progetto combinato tra ingegneri del Regno Unito e team multidisciplinari ha sviluppato un robot da 5 kg capace di esplorare i condotti stretti all’interno della Grande Piramide. Il robot ha rilevato marcature e dettagli mai visti, fotografando nicchie o aperture quasi sigillate.

Anche se non ha rivelato stanze ampie o città sotterranee, l’esperimento conferma che i sistemi interni restano, per molti tratti, inesplorati.

L’ipotesi del “mondo sotterraneo”: da Malanga alle teorie più estreme

In questa cornice si inseriscono le affermazioni spettacolari diffuse nel marzo 2025: un team italiano e scozzese ha annunciato l’individuazione di un “mondo sotterraneo” sotto le piramidi del Giza. Secondo la ricostruzione, ci sarebbero camere verticali, corridoi, pozzi profondi e vani collegati, fino a 2.000 piedi sotto la superficie. Alcuni hanno spinto l’ipotesi fino a sostenere un’età delle piramidi molto superiore all’aspettativa accettata.

Tuttavia, queste affermazioni sono state rapidamente contestate. Molti esperti notevoli hanno denunciato mancanza di revisione tra pari, metodologie non validate, dati rumorosi e interpretazioni audaci. Alcuni addetti ai lavori usano parole come “fake news archeologica”.

Un fact‑checking approfondito ha messo in guardia: non esistono pubblicazioni accademiche riconosciute che confermino il ritrovamento di un’intera città sotterranea sotto Giza. Le osservazioni radar e i risultati SAR, per quanto suggestivi, restano margini da esplorare, non prove definite.

In sostanza, il contrasto tra la spinta a ipotesi estreme e la cautela metodologica segna il confine critico su cui si gioca oggi la credibilità archeologica.

L’idea di “impossibilità”: meta‑riflessione di Hawass

Quando Hawass parla di “impossibile” non intende negare la capacità umana, ma evocare una soglia emotiva: come si può, con strumenti primordiali, ergere strutture che ancora oggi ci sorprendono?

È un richiamo al senso del sacro e del limite: i monumenti egizi continuano a provocare meraviglia, perché sono testimoni di un “altrove” tecnico e culturale rispetto a noi.

Ma c’è anche un rischio: che l’evocazione dell’“impossibile” diventi pretesto per indulgere a ipotesi alternative non fondate, che rifuggono dal rigore metodologico.

Hawass stesso è conscio di questa linea sottile: da anni cerca di mediare tra pubblico curioso e mondo accademico. Il suo stile – charismatico, divulgativo – lo espone a critiche da entrambe le parti: troppo “pop” per gli specialisti, troppo accademico per gli spettatori “in cerca di mistero”.

L’osservazione più utile è che la sua affermazione funge da stimolo: spinge il lettore a interrogarsi su quanto sappiamo davvero delle piramidi, su cosa resta da scoprire, e su dove si colloca la frontiera tra impegno scientifico e immaginazione.

La diffidenza epistemica e il metodo scientifico

Il dibattito attuale mette in luce tensioni metodologiche. Due principi meritano di essere ricordati:

    L’interpretazione critica dei dati: ogni dato — radar, muoni, micro-movimenti — deve essere validato, riprodotto e incrociato con metodologie diverse. Interpretazioni troppo audaci rischiano di confondere il pubblico e offuscare la reputazione della disciplina.

    L’umiltà dell’archeologo: le piramidi sono stata oggetto di studi per oltre due secoli. Molte ipotesi generose si sono rivelate errate o esagerate. L’archeologia oggi richiede pazienza, precisione, interdisciplinarietà. Le tecnologie moderne aiutano, ma non sostituiscono la conoscenza contestuale, lo studio delle iscrizioni, delle stratigrafie, dei contesti storici.

An archeologo come Hawass — non privo di controversie — incarna questo paradosso: è capace di far dialogare il grande pubblico con antiche pietre, ma al tempo stesso è sotto osservazione continua dal mondo accademico. La sua affermazione su “impossibile” va dunque letta come provocazione, non come dogma.

Come la cultura pop alimenta le piramidi

Le piramidi da sempre esercitano un’attrazione potente nell’immaginario collettivo. Romanzi, film, documentari e teorie alternative alimentano l’idea di civiltà perdute, tecnologia proibita, contatti con mondi dimenticati. In questo contesto:

    – Le scoperte drammatiche generano titoli virali e narrazioni “sensazionali”.

    – Gli strumenti divulgativi — YouTube, podcast, social — amplificano semplificazioni o esagerazioni.

    – Il desiderio di mistero trova terreno fertile quando i dati accademici vengono presentati senza sufficiente mediazione.

Un recente video intitolato “NEW Megastructure Found Underneath Giza Pyramids” ha raggiunto centinaia di migliaia di visualizzazioni, mescolando fatti reali con interpretazioni speculative.

La linea editoriale giornalistica deve fare da filtro: credere a tutto è ingenuo; respingere tutto è da scettici ciechi.

Alla luce dei fermenti attuali, alcune direttrici emergono come prioritarie:

    Maggiore trasparenza metodologica: ogni claim importante (radar, muoni, tomografia) dovrebbe essere affiancato da dati aperti, protocolli pubblicabili e revisione tra pari.

    Progetti interdisciplinari: fisica, geofisica, archeologia e informatica devono convergere per leggere in maniera integrata i monumenti antichi.

    Rispetto del contesto storico e culturale: anche la più sofisticata tecnologia non può sostituire l’analisi di testi, insegne, stratigrafie, relazioni storiche.

    Comunicazione responsabile: divulgatori, media e archeologi devono collaborare per evitare fraintendimenti, cliché e teorie infondate, senza però smettere di affascinare.

Meraviglia con i piedi per terra

Le parole di Hawass — “sembra impossibile” — suonano come un invito: non a rifiutare la ricerca, ma a non scivolare nella tentazione del mito facile. È un richiamo a restare saldi alla curiosità, ma che non perda il rigore.

Le piramidi rimangono enigmi monumentali. Ogni nuova tecnologia rivela crepe, ombre, vuoti: ma ancora non tutto è visibile, definito, comprensibile. E forse, in questa invisibilità residua, sta il fascino autentico: non in ciò che sappiamo di aver scoperto, ma in ciò che ancora possiamo sperare di scoprire.

1 Ottobre 2025 ( modificato il 30 Settembre 2025 | 21:55 )
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