Più donne nei Cda, migliori rendimenti e governance

Una maggiore presenza femminile nei Consigli di amministrazione è associata a rendimenti migliori, aumento della produttività e progressi sulla sostenibilità”. È il messaggio lanciato da Silvana Perfetti, Presidente di Deloitte Central Mediterranean, durante il convegno al Senato sul tema della direttiva europea Women on Boards, che mette al centro merito, trasparenza e reporting. L’Italia, ha sottolineato, ha già fatto passi avanti: oggi circa il 43% delle poltrone nei Cda è occupato da donne, ben al di sopra della media Ue, attestata intorno al 34%.
Ma dietro le cifre e gli slogan, cosa si muove davvero? Quali sono i punti di forza del percorso italiano, le sfide ancora aperte, e il rapporto concreto fra quote, performance aziendali e sostenibilità? Ecco un’inchiesta a tutto tondo.
Dalla legge Golfo-Mosca alle quote UE
Nel 2011, la cosiddetta legge Golfo-Mosca ha introdotto obblighi per le società quotate e controllate dallo Stato di riservare almeno un terzo dei posti nei consigli alle donne, soglia poi innalzata al 40% con la legge di bilancio del 2019.
Con la direttiva europea 2022/2381 (“Women on Boards”) l’Unione ha rafforzato i requisiti su trasparenza, criteri meritocratici e obblighi di rendicontazione: l’obiettivo è quello di consolidare i progressi e uniformare standard.
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In Italia, nei principali studi più recenti, le donne occupano circa il 43-44% dei posti nei CdA di società quotate o partecipate.
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La media europea, nello stesso ambito, sta intorno al 34-35%.
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La presenza femminile nelle posizioni davvero apicali—presidenza del consiglio, cariche esecutive (CEO, CFO)—rimane però molto più contenuta: solo poche percentuali.
Diversi studi suggeriscono che:
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Le quote obbligatorie hanno prodotto non solo un aumento immediato della presenza femminile nei CdA delle aziende coinvolte, ma anche effetti “spillover”: società non obbligate hanno adattato le proprie pratiche.
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Quando si supera una certa soglia (intorno al 33%), la composizione più equa del consiglio sembra favorire compiti di strategia – deliberazioni che riguardano visione, innovazione, orientamento strategico – più che i compiti di controllo e monitoraggio, che invece rispondono anche a soglie inferiori.
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In alcuni casi, aziende di dimensioni più piccole o non quotate beneficiano maggiormente della diversificazione del CdA in termini di rendimento economico.
Mentre i numeri sul board sono robusti, permangono alcuni problemi:
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Leadership esecutiva debole: il numero di donne che ricoprono ruoli di CEO o presidente del board è ancora basso. Il potere reale, spesso, resta in mano maschile.
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Turnover e tenuta nel tempo: le cariche femminili hanno spesso una durata più breve, e le candidature femminili per ruoli di alta responsabilità (oltre il Cda, cioè top management) sono ancora poche.
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Interlocking e incarichi multipli: molte donne sono presenti in diversi CdA, il che solleva la questione del carico e della distribuzione efficace delle responsabilità.
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Settori differenziati: alcuni settori (financial services, energia) sono più avanti; altri faticano ancora, specialmente dove le reti professionali generali, la cultura aziendale, la disponibilità di figure femminili con esperienza adeguata sono più limitate.
Sostenibilità come leva e come risultato
Uno degli argomenti centrali evocati anche da Perfetti è che la presenza femminile nei Cda favorisce la sostenibilità: non solo ambientale ma anche sociale e di governance. Alcuni studi italiani mostrano una correlazione positiva:
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Maggiore trasparenza nelle politiche di genere e nel reporting sociale quando le donne ricoprono ruoli di responsabilità nei consigli;
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Attenzione accresciuta agli stakeholder esterni, ai temi ESG, in presenza di consigli più bilanciati per genere.
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Una governance più attenta al merito, alla diversità come fonte di innovazione e resilienza.
Per fare un ulteriore salto di qualità, l’Italia può considerare:
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Rafforzamento dei percorsi per donne che aspirano a ruoli esecutivi, non solo nei consigli ma già nei vertici aziendali. Programmi di mentoring, reti professionali, formazione specifica.
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Maggiore trasparenza e reporting non solo sul “numero di donne nei Cda” ma su indicatori come la leadership esecutiva, la distribuzione dei ruoli chiave (ad es. presidente, comitati, nomine), il turnover.
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Verifiche sull’impatto effettivo della direttiva europea e sua applicazione pratica: molte società hanno già raggiunto le quote richieste, ma il vero cambiamento è nella cultura aziendale, nei processi decisionali, nella parità di opportunità reali.
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Supporto legislativo e normativo per evitare ostacoli: norme che favoriscano la conciliazione vita-lavoro, politiche che riducano il carico implicito e esplicito che spesso gravita sulla componente femminile nei ruoli più alti.
Le parole di Silvana Perfetti sintetizzano un dato ormai difficile da negare: le donne nei Cda non sono solo un tema di equità sociale, ma un driver di rendimento, sostenibilità e governance migliore. L’Italia, grazie alla legge Golfo-Mosca e all’adesione anticipata ad alcuni principi di trasparenza e quota di genere, è oggi fra i Paesi europei più virtuosi su questo fronte. Tuttavia, per fare in modo che la presenza femminile non resti un’eccezione nei ruoli apicali, ma diventi norma diffusa, serve uno sforzo continuo: tra cultura, formazione, e misure concrete che aiutino a costruire leadership femminile a tutti i livelli, non solo nei consigli.
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