Elkann prepara un’altra cessione e ridefinisce il profilo della Exor

Nell’ultima settimana ha preso forma una voce che fino a poco tempo fa era solo sussurrata nei corridoi finanziari: John Elkann e la famiglia Agnelli sarebbero pronti a cedere un’altra partecipazione di Exor, in una strategia che punta a semplificare il portafoglio, ridurre l’esposizione in settori “non core” e riallocare capitali verso asset con potenziale di crescita maggiore.
Il titolo appare in alcune note economiche specialistiche: la società in questione è Lifenet Healthcare, operante nel settore sanitario, e la controparte potenziale è il fondo britannico CVC Capital. Pur non essendo un’operazione di dimensioni gigantesche rispetto all’insieme del patrimonio di Exor, essa assume una valenza simbolica e strategica: segna un’ennesima mossa nel disegno di trasformazione del gruppo, e richiama al passato recenti e ben più rilevanti disinvestimenti da parte degli Agnelli.
Questo articolo esplora le ragioni finanziarie e strategiche dell’operazione, ricostruisce i precedenti, analizza l’impatto sul valore di Exor e sul mercato italiano, e prova a individuare dove stia puntando Elkann nei prossimi anni.
La cessione prevista: Lifenet Healthcare nel mirino
Secondo le analisi che circolano tra gli operatori, Exor starebbe valutando la cessione della propria quota in Lifenet Healthcare al fondo inglese CVC Capital. Lifenet, che opera nel settore sanitario, avrebbe raggiunto un fatturato attorno ai 400 milioni di euro annui, una dimensione che, pur significativa, resta modesta all’interno dell’orizzonte patrimoniale complessivo del gruppo. L’investimento in Lifenet è considerato un asset secondario, quasi “di contorno” rispetto ai principali pilastri (Stellantis, Ferrari, investimenti strategici in Philips, GEDI, Juventus).
Gli analisti del broker Equita stimano che l’impatto contabile della cessione, anche considerando uno sconto sul NAV, resterebbe marginale: l’investimento in Lifenet, al fair value rilevato a dicembre, rappresenterebbe infatti meno dell’1 % del NAV complessivo di Exor. In questo senso, la cessione è vista come una mossa di pulizia del portafoglio, volto a liberare risorse da posizioni “di peso modesto” per concentrarsi su scommesse più rilevanti e con prospettive maggiori.
Se realizzata, l’operazione costituirebbe un’ulteriore tappa del disinvestimento progressivo in asset incrementali, dopo manovre di maggiore portata già messe in campo negli ultimi mesi.
Le grandi manovre già compiute: Iveco
La vendita di Iveco: 5,5 miliardi in uscita
Uno dei passaggi più clamorosi della recente strategia di disinvestimento è stata la cessione del gruppo Iveco, per un controvalore di circa 5,5 miliardi di euro. Questo passo ha provocato reazioni contrastanti: da un lato, c’è chi lo interpreta come l’ennesima mossa per liquidare attività industriali per concentrare gli sforzi su investimenti finanziari o tecnologici; dall’altro, chi lamenta la perdita di un asset storico dell’imprenditoria italiana.
Un aspetto non secondario di questa operazione è che i ricavi della cessione finiscono per fluire fuori dall’Italia: Exor ha infatti la sua sede legale e fiscale nei Paesi Bassi dal 2016, e molti degli utili derivanti da tali operazioni saranno gestiti alla luce del regime fiscale internazionale.
Dalla “fabbrica Italia” all’“asset allocation globale”
La vendita di Iveco non è il primo caso, ma è forse il più vistoso nella recente fase strategica del gruppo. In parallelo, Elkann ha già manifestato l’intenzione di ridisegnare Exor secondo una logica meno industriale e più di “asset allocator globale”. In questa visione, le partecipazioni in società automobilistiche o industriali restano fondamentali, ma devono convivere con un portafoglio che attinge anche da settori ad alto potenziale (tecnologia, sanità, biotech, brand del lusso, energia).
Un articolo internazionale lo sintetizzava con una metafora: “Elkann sta scambiando camion con bit e brand”. Questa conversione di un impero prevalentemente industriale verso orizzonti più finanziari e diversificati è in atto da qualche anno, ma sta entrando ora in una fase più visibile e definita.
Le ragioni strategiche
Una delle ragioni più plausibili alla base della decisione di cedere Lifenet è quella di focalizzare risorse e attenzioni su asset con dimensioni, rendimento e prospettive maggiori. Non è sempre efficiente mantenere partecipazioni “di nicchia”, con margini ridotti, per quanto solide. In un contesto competitivo globale, la dicotomia è chiara: investire su chi può crescere molto o restare “buon contorno” rischia di distrarre.
La cessione consentirebbe di liberare liquidità che potrà essere reimpiegata in investimenti più ambiziosi, magari in settori dove Exor ha già iniziato a muoversi: biotech, tecnologie sanitarie, energie rinnovabili, startup di potenziale europeo o transatlantico. In un momento in cui molte opportunità emergenti richiedono capitali, essere pronti in cassa è un vantaggio competitivo.
Un tema cruciale che ha gravato su Exor in questi anni è lo sconto persistente del prezzo del titolo rispetto al valore del NAV (Net Asset Value). Alcuni analisti citano una riduzione dello sconto (da oltre il 50 % a livelli inferiori), ma lo sconto rimane comunque elevato. Ogni operazione che semplifica il portafoglio e che riduce le posizioni più marginali può aiutare a diminuire la dispersione del valore percepito, dando segnali di maggiore efficienza gestionale al mercato.
Il settore sanitario è soggetto a rischi regolatori, politici, di rimborso e di ciclicità. Mantenere una partecipazione in un’industria così sensibile, anche se non preponderante, può generare rischi reputazionali o di gestione che Elkann potrebbe voler evitare, liberando risorse per aree meno volatili o più coerenti con la strategia centrale.
Reazioni di mercato
Trattandosi di un’operazione di entità contenuta rispetto al totale del NAV, non ci si attende che la cessione di Lifenet generi un impulso fondamentale sul titolo. Tuttavia, la reazione più interessante riguarda il segnale strategico che essa lancia: un’attenzione maggiore all’efficienza, alla focalizzazione e all’allocazione dinamica. Per gli investitori istituzionali e per il mercato finanziario, queste mosse “di contorno” possono essere valutate come indici della qualità del management.
Se la cessione aggiuntiva riuscirà a essere percepita come parte di una strategia coerente (e non una mossa estemporanea), il premio di credibilità per Exor potrebbe spingersi verso una compressione dello sconto NAV.
Uno dei punti chiave resta la definizione del prezzo: quale valutazione CVC sarà disposta a offrire per Lifenet? Poiché la partecipazione non è di peso strategico per Exor, la derrata del margine di negoziazione c’è, ma non è sostanziale come nel caso di asset core. A seconda della valutazione finale, l’operazione potrà essere interpretata come resa o come mossa strategica scalabile.
La cessione di attività legate al territorio o alle industrie nazionali (ad esempio Iveco) ha suscitato reazioni critiche da osservatori e da ambienti politici. Alcuni commentatori osservano che l’operazione rafforza la tendenza alla delocalizzazione e al disinvestimento industriale italiano, mentre altri la difendono come strategia di adattamento alle tendenze globali.
In questo contesto, la cessione di Lifenet rappresenta però un’operazione meno simbolica e più tecnica: non coinvolge un industria “nazionale” di punta, ma un settore finanziariamente interessante, pur secondario. Ciò riduce, in parte, la tensione sul piano politico e mediatico.
Come gli Agnelli hanno già rifatto il portafoglio
La storia recente del gruppo Agnelli è costellata di operazioni significative che sanciscono la trasformazione dell’impero: da controlimiti industriali a holding diversificata.
Disinvestimento da Iveco: la cessione da 5,5 miliardi è uno spartiacque. Quel passo ha segnato una distanza netta dai grandi asset industriali di scala pesante.
Acquisizioni strategiche: contestualmente, Exor ha investito in società come Philips (15 % del capitale nel gruppo tecnologico sanitario) e partnership nell’energia rinnovabile.
Partecipazioni finanziarie e di media: la partecipazione in GEDI attraverso Exor ha permesso una presenza nel mondo media e editoriale, con impatti visibili sul panorama giornalistico italiano.
Rotazioni periodiche del portafoglio: operazioni di compravendita avvenute negli ultimi anni testimoniano una logica attiva di rebalancing, non mera “custodia” del patrimonio.
Queste mosse delineano un percorso evolutivo ben più ambizioso di una mera “pulizia”. Il gruppo Agnelli-Elkann sembra avanzare verso il modello di una famiglia con vocazione globale di investimento, cioè una sorta di famiglia-capitalista moderna, in cui i legami con le industrie storiche restano, ma vengono rintegrati in un disegno più fluido e adattivo.
Pur avendo senso razionalmente, troppe vendite, se non accompagnate da acquisti significativi, rischiano di impoverire la “materia prima” di Exor. Se si dismettono partecipazioni senza sostituirle con nuove, si può finire per reindirizzarsi verso una strategia puramente finanziaria, che può spostare il rischio verso la volatilità del mercato.
Il mercato degli investimenti alternativi è competitivo: capitali si spostano velocemente. Occorre essere pronti a replicare o anticipare le mosse degli altri per non restare in coda. Se Exor vende troppo presto o troppo tardi, può perdere opportunità.
La pressione politica e mediatica sulle famiglie che hanno guidato grandi settori industriali in Italia è sempre elevata. Ogni disinvestimento viene interpretato come un segnale di disimpegno nazionale, specie quando si parla di settori strategici. Le scelte devono essere comunicate con chiarezza e con una narrativa che spieghi le ragioni, non solo le cifre.
È fondamentale che Elkann e la governance di Exor mantengano credibilità: che le rotazioni non appaiano come operazioni opportunistiche, bensì come tappe di un progetto coerente. Il rischio è che, davanti a ogni difficoltà, si ricorra sempre alla vendita come soluzione. La vera sfida sarà costruire un modello che sappia investire, innovare e rigenerarsi, non solo dismettere.
Dove potrebbe andare Exor
Exor potrebbe assumere un ruolo più marcato come investitore in private equity e venture capital, facendo da ponte tra capitali europei e startup italiane/internazionali. In questo scenario, le cessioni di asset come Lifenet diventerebbero operazioni di liberazione di capitale per scommesse più audaci in biotech, AI, digital health, clean tech.
Una strategia alternativa potrebbe essere la ricomposizione tramite acquisizioni industriali in settori futuribili: ad esempio nella mobilità elettrica avanzata, batterie, infrastrutture energetiche intelligenti, dove l’integrazione tecnologia-industria è centrale.
Nel caso estremo, Exor potrebbe trasformarsi progressivamente in una holding finanziaria pura, con un portafoglio diversificato, poco legato à la produzione diretta. In questo caso, il valore percepito dipenderebbe sempre più dalle capacità di allocazione capitalistica e meno da sinergie industriali.
La cessione di Lifenet – per quanto modesta nel contesto di Exor – vale la pena di essere osservata con attenzione. Essa non è un’operazione isolata, ma un tassello di un mosaico che negli ultimi mesi ha preso forma: un ridisegno di priorità, una ridefinizione dell’identità del gruppo, una strategia di capital allocation che riflette una visione globale.
Anche le periferie di un portafoglio raccontano storie: di scelte, di direzione, di stile manageriale. In questo senso, Elkann non sta semplicemente dismettendo; sta ridefinendo che cosa significa essere una holding Agnelli del XXI secolo. E se questo percorso avrà successo, potrà persino cambiare la percezione del capitale familiare in Italia: da custode del passato a protagonista dell’innovazione.
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