Roma capitale del crimine: la legalità che manca e le mafie invisibili del Lazio

«Non dobbiamo dimenticare che la legalità è anche sinonimo di pari opportunità, sinonimo di libertà, presupposto necessario per costruire un futuro di crescita per la salvaguardia del bene comune». Così si è espresso recentemente il consigliere regionale Flavio Cera in un contesto pubblico, evocando con forza un legame essenziale: senza legalità non c’è spazio per l’uguaglianza, né per lo sviluppo. È una formula che entra nel cuore del dibattito sul crimine, su chi lo subisce e su chi aspira a combatterlo.
Questa affermazione assume senso pieno alla luce dei dati e dei rapporti sul crimine che emergono dalla Regione Lazio, dove negli ultimi anni si è accentuata una pericolosa deriva: tassi di delinquenza superiori alla media nazionale, concentrazione di reati nella città di Roma, presenza ramificata delle mafie nelle province. Non è un fenomeno locale: è la fotografia di un rapporto tra diritto e potere che mostra crepe profonde.
Fonte dei numeri: il rapporto “La criminalità nel Lazio”
Il “Rapporto La criminalità nel Lazio” – presentato nella sede della giunta regionale dal presidente dell’Osservatorio tecnico-scientifico per la Sicurezza, la Legalità e alla Lotta alla corruzione, Serafino Liberati, assieme alla vicepresidente del Lazio Roberta Angelilli, e Chiara Colosimo, presidente della commissione parlamentare Antimafia – disegna un quadro nitido: nel biennio 2022-2023, la delittuosità regionale ha superato la media nazionale. La Capitale domina le cifre, con un’incidenza degli atti criminali sul totale regionale pari all’80,2 %. Le province laziali mostrano dinamiche diversificate:
Latina: incidenza del 31,65 %;
Viterbo: 31,7 %;
Rieti: 36,5 %;
Frosinone: 22,3 %.
Il rapporto evidenzia le aree di punta del crimine nel Lazio: criminalità predatoria (furti, rapine), spaccio di stupefacenti, cybercrime, estorsioni e truffe informatiche. È quest’ultima tipologia che segna una crescita significativa, spostando parte dell’orizzonte del delitto verso il virtuale. La criminalità organizzata appare come la dimensione strutturata che capitalizza questa congiuntura, intrecciando mafie classiche con reti locali, imprenditori compiacenti e prestanome.
Le relazioni provinciali indicano che camorra, ’ndrangheta e Cosa Nostra continuano ad inserirsi nel Lazio, spesso creando articolazioni locali e interfacciandosi con i gruppi autoctoni.
Roma e il Lazio non sono un “caso esterno” al fenomeno mafioso, ma un terreno fertile – per densità sociale, ricchezza, vicinanza al potere – in cui il crimine strutturato si insinua con forza.
Roma “metropoli del crimine”
Roma, da sola, produce l’80 % dei reati denunciati nella regione. Nel 2023, le denunce nel territorio urbano hanno superato le 250mila unità. Il tasso di reati ogni 100mila abitanti colloca la capitale stabilmente tra le prime città italiane per incidenza criminale: secondo stime recenti, circa 6.138 reati per 100.000 abitanti, un dato che la pone tra le città più colpite.
Si tratta soprattutto di delitti predatori — furti, scippi, rapine — e di spaccio.
Il rapporto evidenzia una biforcazione del mercato criminale:
- piazze aperte, nei luoghi della movida e dei ritrovi giovanili, dove lo spaccio è interfaccia sociale;
- piazze chiuse, strutturate con turni, vedette, protezione, simili – in modello – a scenari nati altrove.
Alcuni quartieri periferici (Tor Bella Monaca, San Basilio, Quadraro, Ostia) sono oggetto di mappature dettagliate: clan storici come i Casamonica continuano a presidiare territori, controllando estorsioni, usura, traffici illeciti. In queste aree si registra l’infiltrazione di capitali mafiosi mascherati da attività legali, spesso attraverso imprese di costruzione, gestione immobiliare o servizi sociali.
Roma non è solo spazio di delitto: è snodo, simbolo e terminale per le mafie che guardano al centro del potere. In questo senso, il fenomeno noto come Mafia Capitale ha restituito uno spartiacque: la collaborazione tra criminalità e amministratori locali, il controllo degli appalti, delle risorse pubbliche, dei servizi sociali. Nonostante la Cassazione abbia escluso formalmente l’associazione mafiosa per molti dei fatti contestati, il modello simbolico è rimasto: intreccio di politica, affari e clan.
Le mafie a Roma: radici, relazioni e metamorfosi
Le mafie a Roma non sono solamente “ospiti”, ma protagoniste che hanno trovato modalità di insediamento peculiari. Analisi storiche, investigative e giornalistiche mettono in rilievo alcune chiavi interpretative:
Il sistema “mafie e non mafie”: gran parte del potere mafioso non si esercita solo attraverso la violenza, ma attraverso infiltrazione nei gangli legali — imprenditori, professionisti, amministratori. La forza mafiosa più potente è quella che si cela dietro la facciata legale.
Economia criminale ibrida: traffici di droga internazionali, riciclaggio, usura, appalti palcoscenici: Roma offre una pluralità di settori in cui il denaro illecito può mescolarsi con l’economia legale con minore visibilità.
Infiltrazioni territoriali: le province laziali (Latina, Viterbo, Frosinone) rappresentano ingressi naturali per le mafie meridionali. Gruppi camorristici e ’ndranghetisti operano lì e “si diffondono” nella Capitale, portando strutture e ramificazioni.
Collaborazione criminale locale: nelle province del basso Lazio, molti clan autoctoni stanno acquisendo capacità autonome, alleandosi localmente con domande criminali (spaccio, usura, estorsioni).
La persistenza dei clan “storici”: i Casamonica, ad esempio, pur con dinamiche di mutamento, continuano ad essere tra le strutture più radicate nel sud-est della città e nel litorale sud.
In sostanza, il modello delle mafie nel Lazio è quello di un contagio lento, stratificato e spesso invisibile, non sempre attraversato da grandi omicidi ma da potere sottile, da dominio silenzioso, da penetrazione economica.
Il territorio dell’infiltrazione
Latina e il Sud Pontino
Latina è una provincia chiave per la discesa della criminalità organizzata dal Sud verso il nord: ad essa si riferiscono opere investigative e segnalazioni di zone “grigie” dove la camorra napoletana insiste nei traffici di stupefacenti e nei rifornimenti per Roma.
La zona del Sud Pontino è spesso citata come “melting pot criminale”, con insediamenti mafiosi storici, appalti pubblici contesi e infiltrazioni negli enti locali. Il mancato scioglimento di alcuni comuni per infiltrazione mafiosa ha alimentato polemiche e critiche rispetto alla capacità preventiva delle istituzioni.
Frosinone e Viterbo
In Ciociaria (Frosinone), la presenza mafiosa si intreccia con gruppi locali e influenze camorristiche, specie nel settore dello spaccio e dell’usura. La pressione criminale si esplica su piccole città, zone rurali e traffici illeciti.
Viterbo, pur con valori più moderati, registra infiltrazioni provenienti da gruppi calabresi e siciliani, spesso attraverso prestanome o traffici minori che fungono da “spie” per controllare terreni o attività strumentali.
Rieti
Rieti appare come la provincia più “protetta” del Lazio, ma non immune. Proprio in questo territorio si segnalano gruppi operanti con base nigeriana, impegnati nel traffico di droga (marijuana, eroina, cocaina) con connessioni verso Roma. Queste reti straniere, aggressive e spesso giovani, rappresentano il fronte emergente del crimine nel Lazio rurale.
Quando il crimine invade la quotidianità
Mentre le mafie e le reti criminali costruiscono segmenti di potere continuo, la popolazione vive l’effetto più tangibile: insicurezza percepita, furti, scippi, truffe, cybercrime. Il crimine predatorio è il primo “contatto” tra il cittadino e l’illegalità.
A Roma gli scippi, i furti in appartamento, le intrusioni notturne continuano a colpire. Quartieri come Roma Nord segnano numeri elevati: 13.463 denunce di furti in abitazione in un recente anno, con 318,3 casi ogni 100.000 abitanti; le rapine in casa sono circa 5 per 100.000 abitanti.
Nel biennio preso in esame, gli omicidi colposi sono aumentati (da 180 a 212), le violenze sessuali del 17 %, mentre gli omicidi volontari sono diminuiti (da 31 a 24) nella regione.
Nel territorio romano, parte preponderante del crimine nazionale, spesso si assiste a tensioni in zone periferiche, tra la spinta espansiva delle mafie e le difficoltà delle amministrazioni locali di reagire con forze proprie.
Questi fenomeni, se considerati isolatamente, sembrano “normali” nelle grandi città; presi insieme con l’analisi strutturale, diventano segnale di una condizione gravissima: una democrazia fragile, in cui chi ha mezzi e potere trova spazio per infiltrarsi, mentre chi conta solo su diritti obserbili è costretto alla difensiva.
La sfida della legalità
Le responsabilità istituzionali
Le articolazioni regionali, comunali e statali sono investite di sfide che devono essere affrontate con coraggio:
Prevenzione e controllo: i prefetti, le commissioni antimafia, le forze di polizia devono essere potenziate e coordinate per intercettare, non solo reagire.
Scioglimenti e interdittive: l’uso degli strumenti normativi – scioglimenti per condizionamento mafioso, interdittive antimafia – deve diventare tempestivo, efficace ed esente da ritardi.
Rigore nei contratti pubblici: i bandi di gara, gli appalti, le affidamenti locali devono avere standard antimafia forti e trasparenti.
Collaborazione giudiziaria e intercettiva: approfondire le relazioni con le procure, migliorare la capacità investigativa sui flussi finanziari, sul riciclaggio, sulle società di comodo.
Norme sulla trasparenza urbanistica e patrimoniale: obblighi di pubblicità per immobili, per aziende partecipate, per soggetti con rapporti con enti locali.
Le mafie come vulnerabilità sistemica
Il rapporto delle mafie con il territorio non è mai fuori dal “sistema”: il punto pericoloso è quando l’illegalità diventa rete che governa anche chi formalmente è “legale”. Lo Stato non può limitarsi a reagire, deve “presidiare” lo spazio pubblico, economico, sociale: ogni spazio lasciato vuoto è occasione per l’illegale.
Quando una città diventa meta di capitali illeciti, quando le imprese legate alle mafie competono con quelle oneste, quando l’infiltrato penetra negli enti, allora si crea una doppia cittadinanza: una legale, una criminale. E chi paga il prezzo sono i più deboli, chi non può rivalersi con mezzi propri.
Legalità come pari opportunità, libertà, fondamento del bene comune – non è un orpello simbolico, ma un appello urgente. Perché il crimine non è solo una questione di ordine pubblico: è un attacco al tessuto morale, economico e civico di una società.
Roma e il Lazio si trovano oggi sotto il peso combinato di criminalità predatoria, di infiltrazione mafiosa e di fenomeni emergenti come il cybercrime. La dimensione urbana accentua le contraddizioni: densità, disuguaglianze, marginalità, presenza di risorse e di potere. Le mafie operano non solo con mafia “armata”, ma con mafia “soft”, con potere occulto, con relazioni istituzionali e con l’economia che appare legale.
Se questa sfida non verrà affrontata con rigore, competenza e impegno collettivo, chiusa nell’ortodossia delle parole, il disegno criminale avanzerà nei territori dove la legalità è debole. E i cittadini scopriranno che la “quasi legalità” è il grembo dell’illegalità piena.
Serve dunque più che denunce, serve presenza, impegno, trasformazione. Serve ridare senso civile ai quartieri, ricostruire fiducia, dare alle istituzioni – tutte – il coraggio di difendere chi non può difendersi. In questo senso, la legalità non è retorica: è l’unica terra possibile per chi vuole un futuro condiviso.
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