Pogacar in Rwanda: un doppio titolo mondiale che sfida la leggenda

Tadej Pogacar ha scritto un capitolo straordinario nella storia del ciclismo con la sua impresa ai Campionati del Mondo su strada, disputati in Rwanda, conquistando il titolo nella prova in linea con un’azione solitaria di 66 km, facendo sua la “maglia iridata” per il secondo anno consecutivo. È il riconoscimento massimo per una stagione leggendaria, che già lo ha visto dominare il Tour de France, e che oggi consacra la sua figura al vertice del panorama mondiale.
Questa edizione dei Mondiali è storica anche per un altro motivo: è la prima volta che l’evento si svolge in Africa, con Kigali che assume un ruolo simbolico nell’evoluzione internazionale del ciclismo. Il successo di Pogacar non è stato solo sportivo: è un gesto di autorità, un’affermazione di dominio e una conferma che, quando il corridore sloveno è al via, è lui il riferimento assoluto per tutti.
La corsa che ha consacrato il dominio
La prova in linea maschile – 267,5 km con oltre 5.400 metri di dislivello – si è rivelata estremamente selettiva: numerose salite, pavé, circuiti cittadini e un finale tecnico hanno fatto da teatro a una delle edizioni più dure della prova iridata recente.
Sin dai primi giri si sono scatenate le azioni, i tentativi di fuga, ma nessuno è riuscito a costruire un vantaggio sostenibile rispetto alla tensione del percorso e agli occhi dei grandi favoriti. Pogacar, anche indebolito da una prestazione sottotono nella prova a cronometro (dove si classificò fuori dal podio, a un solo secondo), aveva dichiarato di aver focalizzato il suo obiettivo sulla gara in linea: «Sono venuto qui per la strada, non per il tempo» fu la sua premessa.
L’attacco decisivo è partito con 104 km all’arrivo: Pogacar ha staccato il gruppo in salita, portandosi dietro Juan Ayuso (Spagna) e Isaac del Toro (Messico). Con il passare dei chilometri, la coppia si è sgretolata: Ayuso ha ceduto, Del Toro ha accusato difficoltà intestinali, e poco a poco Pogacar ha preso sempre più margine. Con 66 km da percorrere, era da solo, verso la gloria.
Dietro di lui, la rincorsa di Remco Evenepoel — dominatore della cronometro iridata — si è infranta anche a causa di problemi meccanici e cambi di bici che gli hanno fatto perdere tempo prezioso. Alla fine, la distanza tra il campione sloveno e il secondo classificato è stata di 1′28″, mentre il bronzo è andata all’irlandese Ben Healy.
Nel finale, Pogacar ha pedalato con la sicurezza di chi conosce il proprio dominio: gestendo l’energia residua, scattando solo quando necessario, tagliando il traguardo con le braccia alzate e la strada dietro di sé. Un’azione che riecheggia il suo successo 2024, ma con una maggiore maturità, lucidità e autorità.
Una stagione straordinaria
Il 2025 di Pogacar è stato un trionfo continuo. Oltre al Mondiale, il fuoriclasse sloveno ha vinto il Tour de France per la quarta volta, affermandosi ancora una volta come dominatore del grande giro.
Ma non si è fermato lì: la sua stagione comprende affermazioni nei Monumenti classici — Strade Bianche, Tour of Flanders, Flèche Wallonne, e Liège-Bastogne-Liège — portando il totale delle sue vittorie stagionali a un numero impressionante.
Con questo Mondiale in linea, diventa il primo corridore nella storia a vincere per due volte la combinazione Tour + Mondiale nella stessa annata, e per di più in stagioni consecutive. Un traguardo che lo pone al fianco dei grandi miti del ciclismo.
Se era già considerato uno dei talenti più completi e brillanti della generazione, adesso Pogacar è una certezza storica: capacità in salita, forza, visione tattica, resistenza mentale. Ciò che emerge è un atleta che non si accontenta, che continua a spingere i propri limiti e a continuamente alzare l’asticella.
Il contesto africano: il Mondiale che rompe le barriere
La scelta del Rwanda per ospitare i Mondiali 2025 è simbolica e coraggiosa. Mai prima d’ora l’evento era stato svolto in Africa, e Kigali ha dimostrato di avere le infrastrutture, l’organizzazione e la volontà di proporsi al mondo del ciclismo.
Questo Mondiale rappresenta una scommessa su due piani: sportivo e geopolitico. Da un lato, l’apertura verso nuovi continenti; dall’altro, il rischio di critiche politiche, vista la presidenza rwandese e le questioni di diritti umani spesso oggetto di dibattito internazionale. Su questo fronte, il torneo non è privo di polemiche: alcuni osservatori denunciano la strumentalizzazione dell’evento per fini di immagine, mentre altri sostengono che sia un’occasione per premiare un continente finora marginale nel panorama ciclistico globale.
Nonostante le tensioni, il pubblico locale ha accolto con entusiasmo la manifestazione: strade piene, tifosi accalcati, un clima caloroso che ha dato un sapore speciale al traguardo mondiale. Per molti giovani africani, è l’occasione di guardare da vicino l’élite mondiale del ciclismo, di sognare un riscatto sportivo.
In questo contesto, la vittoria di Pogacar assume ulteriore valore simbolico: non è solo una conferma sportiva, ma un ponte tra culture, continenti, aspirazioni. Una maglia arcobaleno che si veste di nuove prospettive.
I rivali, le delusioni e il “rosso” Evenepoel
Non possiamo guardare al successo senza riflettere sui protagonisti che vi hanno partecipato. Il grande antagonista, Remco Evenepoel, era il favorito assoluto per la cronometro, e ha centrato il titolo mondiale di specialità per il terzo anno consecutivo. Una performance magistrale su un percorso difficile, con salite e pavé, che ha visto il belga raggiungere e superare Pogacar nel cronoprologo mondiale.
Ma nella gara in linea gli eventi non gli hanno sorriso: i problemi meccanici sono stati decisivi. Quando Pogacar ha attaccato, Evenepoel ha dovuto fare i conti con cambi bici, perdita di ritmo, e una rincorsa vana contro un corridore troppo forte. A un certo punto è sembrato che fosse la gara di Pogacar quella da rincorrere, non il contrario.
Ben Healy, con il bronzo, ha firmato un risultato di alta qualità per l’Irlanda: è il primo podio mondiale per il paese in questa disciplina dal 1989. È una conferma che i giovani talenti hanno saputo emergere in un contesto dominato dalle stelle del professionismo.
Altri protagonisti del mondiale erano corridori come Juan Ayuso, Isaac del Toro, Mattias Skjelmose, Tom Pidcock, Oscar Onley: molti di loro hanno tentato attacchi, esplorato alleanze, misurato forze nel corso della corsa, ma si sono trovati davanti a un Pogacar in condizione superiore e determinato a vincere da solo.
Un dato interessante: su 165 partenti, solo 30 hanno concluso la gara. Il grado di difficoltà, lo sfiancamento, il dislivello, il caldo e il ritmo selvaggio hanno trasformato questa prova in un’autentica selezione naturale.
Pogacar e la costruzione di una leggenda
Non si tratta solo del Mondiale 2025: la storia del successo di Pogacar è fatta di scalate, passaggi giovani, audacia e costanza.
Fin dal momento in cui emerse come promessa, il suo percorso ha avuto tappe decisive: le vittorie nel Tour de France giovanissimo, il confronto con dominatori affermati, le crisi superate, la capacità di rinnovarsi. Ogni stagione è stata un capitolo verso l’eccellenza.
Il titolo mondiale 2024 aveva già mostrato la sua audacia: attacco da distanza, resistenza, faccia a faccia con il gruppo, e vittoria solitaria. Quel giorno, molti pensavano che fosse un exploit difficile da ripetere. Oggi, con il bis, ha dimostrato che non è solo talento, ma dominio.
In un’epoca in cui i ciclisti si specializzano (cronoman, scalatori, passisti), Pogacar incarna la figura del corridore totale: capace di vincere a cronometro, in salita, nelle classiche, nei grandi giri, e ora anche nella prova iridata più prestigiosa. La sua costanza, la capacità di essere primo in tante tipologie di percorso, lo rendono una mini-enciclopedia vivente del ciclismo moderno.
Cosa resterà da questa edizione mondiale
Identità del corridore e leadership: Pogacar ha ulteriormente rafforzato la sua aura. Ma da questo momento in poi sarà costantemente inseguito, studiato, attaccato. I rivali miglioreranno, cercheranno contromosse, alleanze tattiche, strategie per annullare il suo margine.
La questione africana e ciclistica oltre l’equatore: Il Mondiale in Africa può essere il segnale di una globalizzazione futura del ciclismo. Nuovi circuiti, nuovi talenti africani, maggiore visibilità. Ma per fare questo serviranno investimenti, strutture, leghe continentali, formazione.
La stabilità fisica e mentale: Una stagione così intensa, ricca di successi, può portare stanchezza, cali, momenti di saturazione. Pogacar dovrà gestire il carico, preservarsi nelle grandi corse future e restare motivato.
Il calendario e le priorità: Alcuni grandi nomi già scelgono di rinunciare a certe prove o di risparmiare energie per i grandi obiettivi. Il rischio è che il Mondiale perda appeal per chi è troppo coinvolto nelle corse a tappe o classiche.
Nuove generazioni e “dopo-Pogacar”: Il mondo del ciclismo cerca volti nuovi, eredi di questa era. Isaac del Toro, Juan Ayuso, Skjelmose e altri emergenti dovranno osservare, imparare, studiare e costruire la propria traiettoria.
Un trionfo che parla di grandezza
Quella di oggi non è una vittoria fine a se stessa. È un capitolo nella costruzione di una leggenda. Tadej Pogacar, con un gesto epico, ha consegnato al ciclismo un nuovo manifestó di forza, lucidità, maturità.
Nella corsa in linea, ha evitato il tranello della tattica pura, ha scelto la distanza, ha osato. E ha vinto non per caso, ma perché le sue gambe, la sua testa e il suo cuore erano pronti per un’impresa di questa portata.
La gloria mondiale può nascere anche dalle alture africane, in mezzo a una strada aspra e difficile, con il pubblico che applaude e con i sogni che si allungano.
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