8:45 am, 28 Settembre 25 calendario

Come ha avuto inizio la vita sulla Terra

Di: Redazione Metrotoday
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Recenti studi propongono nuovi scenari molecolari, chimici e ambientali capaci di far emergere dall’inerte materia vivente. Sebbene le risposte definitive manchino ancora, quelle odierne sono forse le più avanzate mai concepite.

Secondo le nuove evidenze, uno dei passi chiave sarebbe la formazione spontanea di legami chimici tra RNA e aminoacidi, in acqua, in condizioni miti, senza bisogno di catalizzatori biologici. Questo passaggio — lungo considerato il “punto critico” tra chimica e biologia — appare ora meno improbabile: alcuni ricercatori hanno dimostrato che molecole precursorie possono reagire in acqua, legandosi in modo selettivo, e dando origine a composti che possono evolvere.

Un altro aspetto centrale toccato è la rapidità con cui la vita potrebbe essersi manifestata sul nostro pianeta. Mentre in passato si pensava che l’origine della vita fosse un evento estremamente raro e tardivo, nuove analisi suggeriscono che, se le condizioni sono favorevoli, la vita potrebbe emergere relativamente presto, nonostante le enormi sfide chimiche e ambientali.

Ma questi nuovi studi non operano nel nulla: si innestano su decenni (se non secoli) di teorie, esperimenti, ipotesi alternative e scoperte accidentali. Per capire la portata delle ultime evidenze, bisogna ricostruire il percorso filosofico e scientifico che ci ha condotto fino a qui.

 

Dall’abiogenesi a Darwin: i primi passi

L’idea che la vita derivi da materia non vivente — l’abiogenesi — ha radici antiche. Nell’antichità e nel Medioevo erano diffuse credenze nella generazione spontanea: gli insetti, ad esempio, deriverebbero dalla “putrefazione” di legno o carne, secondo molte correnti di pensiero.

Fu solo nel XIX secolo che Louis Pasteur (con i suoi esperimenti sterilizzati) dimostrò che microorganismi non si generano spontaneamente in liquidi sterili, ponendo un confine decisivo: la vita viene da altra vita. Quel risultato fece tramontare la generazione spontanea, ma pose una domanda ancora più profonda: da dove venne la prima vita?

Charles Darwin stesso, in una lettera privata, accennò all’ipotesi di una “piccola pozza tiepida” con sostanze chimiche favorevoli, in cui la vita avrebbe potuto emergere gradualmente.

Alla metà del XX secolo, scienziati come Alexander Oparin (in Urss) e J. B. S. Haldane (nel Regno Unito) formularono teorie che collegavano progressivamente reazioni chimiche primordiali a una “evoluzione chimica”, ossia un cammino che dalla materia inorganica porta alle prime macchine molecolari self-sostenute.

L’esperimento pionieristico: Miller-Urey

Il 1952 segnò un punto di svolta: Stanley Miller, sotto la guida di Harold Urey, replicò condizione simili a quelle che si ritenevano esistessero nell’atmosfera primordiale (metano, ammoniaca, idrogeno, vapore acqueo) e applicò scariche elettriche simili a fulmini. Dopo qualche giorno, nel sistema chiuso, comparvero aminoacidi — i mattoni delle proteine.

Questo esperimento mostrò che, in condizioni plausibili, elementi organici fondamentali potevano emergere da reazioni pure e abiotiche. Rimase tuttavia il problema di come quei frammenti isolati — aminoacidi, nucleotidi — potessero assemblarsi in strutture complesse come le proteine, gli RNA, le membrane cellulari.

Nel corso dei decenni, molte varianti e perfezionamenti dell’esperimento Miller-Urey sono stati condotti, variando gas, pressione, radiazioni ultraviolette, superfici minerali e cicli di essiccazione e bagnatura.

Dal “metabolismo prima” al “mondo a RNA”

Negli ultimi decenni la comunità scientifica ha visto una molteplicità di modelli coesistere o competere:

  • Metabolismo prima: la vita sarebbe iniziata da reti chimiche auto-catalitiche (vedi Herbert Westheimer, Günter Wächtershäuser). In questo scenario, le reazioni metaboliche semplici emergono prima che genetica e replicazione esistessero.
  • Mondo a RNA: l’RNA, capace di codificare informazioni e di catalizzare reazioni (ribozimi), avrebbe funto da “ponte” molecolare, precedendo il DNA e le proteine. È un’ipotesi molto influente, sebbene presenti problemi di stabilità, selezione e sintesi spontanea.
  • Ipotesi ibridi: molte teorie moderne riconoscono che probabilmente nessun modello puro è sufficiente: RNA, peptidi, lipidi e metalli potrebbero essersi coevoluti in contesti geochimici favorevoli.
  • Panspermia e input extraterrestri: alcune teorie suggeriscono che molecole complesse (o addirittura forme di vita) siano arrivate dallo spazio tramite meteoriti, comete o polvere cosmica, costituendo semi iniziali che hanno stimolato la vita sulla Terra.

In un panorama così ricco, ogni nuovo esperimento che dimostra un legame plausibile tra componenti biologiche chimiche è un passo significativo — ma non definitivo.

Un pezzetto del puzzle che manca

Le recenti scoperte citate nell’articolo iniziale non nascono nel vuoto: si inseriscono in un contesto attivo di ricerca prebiotica. Vediamo i casi più rilevanti.

Il legame RNA-aminoacido: un ponte tra informazione e funzione

Uno dei problemi più intricati finora è come i nucleotidi (i costituenti dell’RNA) si siano collegati agli aminoacidi (i costituenti delle proteine). Quel legame è alla base del moderno meccanismo di sintesi proteica, mediato da tRNA e ribosomi. Ma in ambienti prebiotici, senza enzimi, come avvennero quei legami?

Un recente studio condotto dal gruppo del professor Matthew Powner (UCL) ha dimostrato che è possibile legare aminoacidi attivati (tramite tiolesteri, composti energetici legati allo zolfo) direttamente a RNA in acqua, sotto condizioni neutre e moderate.

Questo processo mostra alti rendimenti per aminoacidi come arginina, e avviene preferenzialmente in estremità dell’RNA, evitando reazioni incontrollate all’interno della catena.

Il risultato è importante: implica che l’RNA potrebbe acquisire aminoacidi spontaneamente, senza enzimi, e formare peptidi legati all’RNA (peptidyl-RNA). Questo rappresenta un potente “ponte” chimico tra molecole dell’informazione e molecole di funzione, riducendo il gap tra chimica primordiale e biologia.

Inoltre, alcuni degli esperimenti hanno mostrato che questa chimica funziona in soluzione acquosa, al pH neutro, ovvero in condizioni più realistiche di pozze d’acqua, bacini termici o ambienti geologici terrestri. Ciò riduce la necessità di ambienti esotici o estremi per spiegare l’origine della vita.

Materiali autoassemblanti: emergere di strutture viventi sintetiche

Un altro passo in avanti proviene da un gruppo di ricercatori ad Harvard, che ha sviluppato sistemi chimici artificiali capaci di simulare caratteristiche chiave della vita: metabolismo (reazioni auto-sostenute), riproduzione (autoassemblaggio) e evoluzione (variazione e selezione).

Questi sistemi non sono cellule vere, ma dimostrano che molecole ben progettate possono strutturarsi in “enti chimici” capaci di crescere, dividersi e mutare — una rappresentazione semplificata del passaggio da chimica a vita. I risultati, pubblicati su Proceedings of the National Academy of Sciences, indicano che stiamo avvicinandoci a modelli sperimentali che possono replicare dinamiche vitali su scala ridotta.

La rapidità dell’abiogenesi: una probabilità crescente

Un contributo teorico recente sostiene che la vita non sia un evento eccezionalmente lento, bensì un esito relativamente facile in condizioni adatte. David Kipping ha presentato un’analisi bayesiana dell’origine della vita, suggerendo che, considerando le evidenze geologiche, la probabilità che la vita emerga rapidamente su pianeti simili alla Terra è favorevole — con un rapporto di 13 a 1 rispetto allo scenario “lento”.

L’analisi si basa su fossili microbici datati 3,7–4,1 miliardi di anni fa: se la vita fosse iniziata troppo tardi, non ci sarebbe stato tempo sufficiente per l’evoluzione fino agli organismi complessi. Dunque, per spiegare la nostra esistenza, la vita deve essere sorta presto. Ciò implica che, una volta che un pianeta offre condizioni adeguate (acqua, elementi chimici, ambiente stabile), l’abiogenesi può essere un processo relativamente rapido.

Scintille in gocce d’acqua

Una scoperta curiosa del 2025 ha suggerito che minuscole scintille elettriche (micro-lampi) generate nei flussi di gocce d’acqua — come l’onda che si infrange, le cascade, gli spruzzi — potrebbero indurre reazioni chimiche che favoreggiano la formazione di molecole organiche base, come il cianuro di idrogeno, glicina, uracile.

Questa idea amplia i luoghi possibili per la chimica prebiotica: non solo pozze calde o bocche idrotermali, ma superfici umide sottoposte a mist e spruzzi d’acqua possono essere micro-ambienti reattivi, grazie all’elettrificazione delle goccioline.

Ambienti favorevoli e vincoli geologici

I progressi chimici sono importanti, ma senza un contesto ambientale coerente rischiano di rimanere astratti. È necessario collocarli in scenari geofisici reali che potessero esistere sulla Terra primitiva.

Quando emerse la vita

La Terra si formò circa 4,5 miliardi di anni fa. Le evidenze geologiche suggeriscono che già tra 4,4 e 4,3 miliardi di anni ci fossero oceani e condizioni relativamente temperate. Alcuni isotopi del carbonio (C13 vs C12) suggeriscono attività biologica già a 4,1 miliardi di anni. Questo lascia una finestra temporale attiva tra la formazione del pianeta e l’apparizione dei primi segni di vita — una scala di poche centinaia di milioni di anni.

La scoperta più antica attribuita a vita microbica è spesso collocata a ~3,7 miliardi di anni fa (fossili stromatolitici). Alcuni richiedono addirittura 4,1 miliardi anni, ma tali evidenze sono ancora controverse.

Questa rapidità nell’emergere della vita rafforza l’ipotesi che, una volta che le condizioni sono adeguate, l’abiogenesi possa non essere un evento incredibilmente raro — un punto sostenuto dalle analisi probabilistiche recenti.

Quali ambienti: oceani, superfici umide, bocche idrotermali

Gli scienziati considerano diversi ambienti come culle potenziali per l’origine della vita:

Bocche idrotermali sottomarine: ricche di energia chimica, minerali, gradiente redox; proposte classiche suggeriscono che le prime forme metaboliche siano nate qui.

Pozze salmastre, stagni soggetti a cicli di secchezza-inondazione: in queste “pozze di montaggio”, i soluti possono concentrarsi, subire essiccazione e reidratazione, favorendo reazioni organiche.

Superfici minerali (argille, silicati, piroliti): le superfici minerali possono fungere da catalizzatori, template, concentratori di molecole.

Superfici soggette a spruzzi, micro-mist: secondo la recente ipotesi del microlightning, le superfici di rocce bagnate, dove spray e gocce d’acqua interagiscono con aria ionizzata, potrebbero produrre reazioni utili.

Basaltici o zone vulcaniche emergenti: contengono minerali ricchi in fosforo, zolfo, metalli di transizione, che possono catalizzare reazioni chiave.

Nessuna di queste ambientazioni è universalmente accettata: è probabile che la vita sia sorta in un ambiente che combinava più fattori favorevoli.

Gli “ingredienti”: materia prima, energia e selezione

Perché la vita emergesse, erano necessari almeno tre elementi:

  • Materia prima: carbonio, idrogeno, azoto, ossigeno, zolfo, fosforo e metalli come ferro, zinco, magnesio.
  • Energia: per drive reazioni endoergoniche. Fonti possibili: luce UV, energia chimica (gradiente redox), calore geotermico, scariche elettriche.
  • Meccanismi selettivi e confinamento: le molecole devono essere concentrate, protette dall’idrolisi, in grado di mutare e competere. I compartimenti (vescicole lipidiche primitive) sono fondamentali per separare micro‐ambienti reattivi.

Le nuove scoperte chimiche (RNA-aminoacido, sistemi autoassemblanti, micro-lampi) rappresentano passi avanti nella risoluzione di alcuni di questi nodi, ma la sfida resta integrare tutto in uno scenario coerente e plausibile.

Implicazioni cosmiche

Se le condizioni favorevoli possono condurre rapidamente alla vita, come suggeriscono le recenti analisi, allora la vita non potrebbe essere un evento raro solo della Terra, ma un fenomeno emergente in altri mondi adatti.

Vita rapida su pianeti simili alla Terra

Secondo lo studio di Kipping, l’evidenza che la vita abbia iniziato presto sul nostro pianeta favorisce l’ipotesi che, su pianeti con caratteristiche paragonabili (liquidità dell’acqua, elementi chimici, tempo geologico), l’abiogenesi possa verificarsi anche altrove.

Questo fa ben sperare nella ricerca di vita su esopianeti, ma con una riserva: le condizioni devono essere davvero adatte, stabili e persistenti.

Input extraterrestri: molecole organiche dallo spazio

Le missioni spaziali recenti hanno trovato tracce di molecole organiche complesse su asteroidi, comete e meteoriti. Ad esempio, i campioni dell’asteroide Bennu restituiti dalla missione OSIRIS-REx contengono 14 degli amminoacidi terrestri e le basi azotate del DNA/RNA.

Questa scoperta alimenta l’ipotesi che la Terra sia stata “seminata” con ingredienti prebiotici dallo spazio — se non forme di vita semplice — facilitando l’avvio dell’abiogenesi. Anche se non provano che la vita è venuta dallo spazio, dimostrano che materiale organico complesso è relativamente comune nel sistema solare.

In parallelo, l’ipotesi della panspermia rimane discussa: la vita potrebbe avere origine altrove e viaggiare su meteoriti. Alcune versioni propongono che molecole biologiche primitive esistessero già nella nebulosa primordiale (ipotesi nebula-relay).

Tuttavia, la panspermia non risolve il problema fondamentale: da dove nasce la vita? Sposta solo la domanda da un luogo all’altro.

Il fattore tempo e l’evoluzione complessa

Anche se l’abiogenesi è relativamente “facile”, l’emergere di organismi complessi richiede tempi lunghi. La Terra ha atteso oltre un miliardo di anni prima dell’evoluzione di eucarioti, e ancora di più per gli esseri pluricellulari.

Perché una civiltà intelligente come la nostra sia emersa, serve non solo che la vita cominci presto, ma che il pianeta rimanga abitabile per un tempo lungo. In quel senso, la rapida comparsa della vita sulla Terra è una condizione necessaria, ma non sufficiente per la complessità.

Ogni proposta solleva critiche e domande ulteriori.

Alcuni scienziati osservano che la chimica RNA-aminoacido richiede che gli aminoacidi siano “attivati” (tiolesteri), cosa che bisogna spiegare in ambienti naturali.

  • Le condizioni sperimentali — pure, controllate — differiscono dalle condizioni geologicamente complesse della Terra primitiva: sali, impurità, minerali, interferenti rendono le reazioni più caotiche.
  • I sistemi autoassemblanti sintetici non rappresentano cellule vere, mancano di molti aspetti vitali (membrane stabili, meccanismi replicativi robusti, evoluzione su lungo periodo).
  • Le evidenze fossili e isotopiche antiche sono spesso ambigue e soggette a interpretazioni alternative.
  • L’ipotesi che l’abiogenesi sia rapida non implica che la vita emerga sempre: serve che un insieme di condizioni variabili si combinino in modo favorevole.

Nonostante questi limiti, ogni passo sperimentale e teorico che colma un “gap chimico” rende il mistero originario meno insolubile.

Lo specchio del nostro futuro

Può sembrare che studiare l’origine della vita sia un esercizio teorico astratto; invece, ha implicazioni profonde:

Biologia sintetica e ingegneria della vita: comprendere come la vita possa emergere da elementi semplici guida la progettazione di cellule sintetiche, biofabbricazione e biotecnologie avanzate.

Astrobiologia e ricerca di vita extraterrestre: definire scenari plausibili aiuta a indirizzare missioni su Marte, Europa, Encelado o esopianeti.

Concetti filosofici ed etici: sapere se la vita è un evento raro o comune influenza la visione del nostro posto nell’universo.

Conservazione del pianeta: comprendere la fragilità e l’unicità del percorso che ha portato alla vita terrestre può rafforzare la motivazione per proteggere l’ambiente.

 

Un mistero parzialmente svelato, ma ancora avvolto dal silenzio della preistoria

Tali ricerche ci invitano a riflettere su quanto siamo prossimi a capire il “come” dell’origine della vita. Le ricerche del 2025 — chimica dinamica RNA-aminoacido, sistemi autoassemblanti, modelli probabilistici — rappresentano passi significativi nella lunga marcia verso una soluzione.

Ma non si tratta ancora di “la risposta”, bensì di frammenti che compongono un mosaico in divenire. Solo un’integrazione coerente tra chimica, geologia, biologia e astrofisica potrà trasformare ipotesi in racconto storico credibile.

Nel frattempo, ogni molecola sintetizzata in laboratorio, ogni reazione osservata, ogni fossile scovato in rocce antiche, ci avvicina un poco a quel momento remoto in cui l’inerte si fece vivo.

28 Settembre 2025 ( modificato il 25 Settembre 2025 | 23:02 )
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