8:50 am, 27 Settembre 25 calendario

Il “consent.yahoo.com”, ennesimo crocevia tra privacy e tecnologia

Di: Redazione Metrotoday
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Sul web spesso accade che un semplice collegamento, una pagina promossa da un sistema di consenso, diventi un punto di snodo: identità, diritti, dati personali, automatismi. Recentemente, numerosi utenti hanno segnalato un comportamento ricorrente: accedendo a servizi Yahoo—che si tratti del portale web delle notizie, della posta, o app correlate—viene visualizzata una schermata che reindirizza all’URL consent.yahoo.com/v2/collectConsent?sessionId=…. Questa richiesta di consenso appare come un “blocco” obbligato per proseguire, e talvolta è percepita come intrusiva o ostacolante.

Dietro questa pagina “consent” si celano questioni complesse: la normativa europea sulla privacy e i cookie, il business della profilazione pubblicitaria, la tensione tra trasparenza e pratiche opache. In questo lungo reportage esploriamo cosa sta accadendo e perché quel redirect è diventato simbolo di un conflitto quotidiano tra utente e piattaforma.

La schermata che ti blocca

Molti utenti raccontano che, durante la navigazione su yahoo.com o sui servizi correlati, viene loro mostrata una schermata che richiede di accettare o gestire le impostazioni relative ai cookie e al tracciamento. Finché non interagiscono con quel modulo (Accetta / Rifiuta / Impostazioni), non possono proseguire. Il redirect richiama espressamente il dominio consent.yahoo.com/collectConsent, con parametri di sessione, versione, opzioni, e altre variabili.

Alcuni aspetti notati dagli utenti:

Se si bloccano i cookie da parte del browser, la schermata non “scompare” mai: il server continua a richiedere il consenso remoto, e il redirect ritorna ad ogni caricamento della home page.

Alcuni filtri di blocco pubblicitario (ad blocker) risultano inefficaci: la pagina del consenso è gestita lato server e non semplicemente da script client.

In alcuni casi su dispositivi mobili o browser con restrizioni, la schermata compare in modalità “fullscreen” e impedisce completamente di navigare se non si risponde.

In forum tecnici, utenti suggeriscono di “accettare temporaneamente i cookie” oppure di usare modalità private o browser diversi per aggirare il blocco, ma non sempre con successo.

Questa modalità ha fatto sollevare dubbi sulla correttezza dell’implementazione: è un errore, un bug? O è una scelta intenzionale per “forzare” il consenso?

I confini del consenso

Per comprendere la dinamica bisogna tornare alla normativa europea: il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (GDPR) e la direttiva ePrivacy (sui cookie e tracciamento). Secondo queste norme, l’uso di cookie, tecnologie analoghe e meccanismi di profilazione richiede:

  • Informazione chiara e trasparente: l’utente deve sapere cosa viene raccolto, perché, da chi.
  • Scelta esplicita e libera: l’utente deve acconsentire in modo attivo, senza coercizione, e deve poter rifiutare senza subire conseguenze discriminatorie rilevanti.
  • Revoca semplice: l’utente deve poter revocare il consenso con facilità.
  • Limitazione dello scopo: i dati raccolti devono servire solo per le finalità dichiarate.
  • Proporzionalità e minimizzazione: solo i dati necessari devono essere raccolti.

Quando una piattaforma obbliga l’utente ad accettare il tracciamento per poter proseguire (modalità “all-or-nothing”), rischia di entrare in conflitto con il principio del consenso libero. Se la scelta implicita è: “o accetti tutto, o non entri”, si pone un problema di legittimità secondo alcuni interpreti del GDPR.

In più, le autorità nazionali per la protezione dei dati (in Italia il Garante) hanno intervenuto in passato per sanzionare modalità di presentazione dei cookie banner che inducono gli utenti all’accettazione con “nudging” aggressivo, o che rendono difficoltosa la scelta contraria.

Yahoo, ConnectID e le questioni

Mentre molti si fermano alla schermata di consenso, la questione si allarga. Nel 2025 è emersa una class action contro Yahoo negli Stati Uniti: l’accusa è che il colosso tecnologico utilizzi un sistema denominato ConnectID per tracciare gli utenti, persino aggirando le restrizioni dei cookie tradizionali. In pratica, secondo la denuncia, pur se un utente cancella i cookie o imposta restrizioni, Yahoo collegherebbe gli indirizzi email o altre identità a un identificatore persistente, permettendo un tracciamento continuato su vari siti e dispositivi.

Secondo gli atti, Yahoo avrebbe acquisito la capacità di associare l’identità di un utente (anche da login email) all’identifier, e condividerlo con partner pubblicitari. Se fosse vero, significa che il “consenso cookie” visibile su consent.yahoo.com potrebbe non essere l’unico meccanismo in campo: dietro, operazioni più intrusive potrebbero già essere in atto, e il banner stesso diventa un modo per “legittimare” pratiche controverse.

Yahoo difende la propria posizione affermando che tutto è conforme alle leggi e regolamenti, che il consento è richiesto e gestito in modo trasparente, e che il sistema ConnectID non viola i diritti degli utenti. Il caso è attualmente in corso, e potrebbe ridefinire i confini consentiti del tracciamento.

Quando il consenso diventa controverso

Quello del banner obbligatorio non è nuovo nel panorama digitale. In Europa molte piattaforme sono state sanzionate per modalità di presentazione del consenso:

Alcuni portali italiani inserivano banner con pulsanti visivamente enfatizzati per “Accetta”, e pulsanti “Rifiuta” nascosti o più difficili da trovare: technique del “dark pattern”.

In paesi UE, siti di news e intrattenimento sono stati censurati o multati perché rendevano impossibile l’accesso agli utenti che rifiutavano il tracciamento.

Le Autorità di protezione dati hanno affermato che “consenso obbligatorio come condizione di accesso” è spesso illegittimo.

Dunque, il fenomeno di “consent.yahoo.com / collectConsent” non è isolato, ma si inserisce in una lunga battaglia normativa e giurisprudenziale: dove finisce la legittima raccolta dei dati e dove inizia l’abuso del potere tecnologico?

Perdita di controllo e trasparenza illusoria

Quando una schermata di consenso è obbligatoria e persistente, l’utente rischia di:

Acconsentire frettolosamente senza leggere le condizioni, pur di accedere al contenuto.

Accettare pratiche invasive che avrebbe voluto rifiutare, perché la scelta contraria è resa difficile o frustrante.

Perdere il controllo su profilazione e pubblicità personalizzata, perché i sistemi di tracciamento evoluti (come ConnectID) operano “dietro le quinte”.

Vivrebbe una falsa trasparenza: un banner davanti, ma operazioni complesse dietro.

In definitiva, la scenografia del consenso—ovvero i moduli visibili, i pulsanti, i colori—può nascondere operazioni ben più complesse, dove l’utente ha poca reale alternativa.

Le reazioni del mondo tech

Quando il fenomeno è diventato noto, molte segnalazioni sono comparse nei forum tecnici, nelle community degli utenti e nei gruppi dedicati alla privacy:

Alcuni utenti l’hanno interpretato come “una forma di estorsione digitale” (“o accetti il tracciamento, o non accedi”)

Altri sostengono che disabilitare i cookie blocchi la navigazione: talvolta succede che la pagina del consenso non svanisca mai se si rifiutavano i cookie, perché il sistema rileva l’assenza di un cookie e reindirizza nuovamente.

Alcuni sviluppatori o “power users” suggeriscono stratagemmi come browser alternativi, modalità private, DNS personalizzati, blockchain-based resolvers, ma nessuna soluzione garantisce universalità.

Nel contesto del blocco degli script pubblicitari, è noto che il redirect da consent.yahoo.com è server-side, quindi non sempre aggirabile con filtri client, come evidenziato da post su Reddit.

Dal lato delle aziende tecnologiche, si registra una crescente attenzione normativa e anche pressione legale: il caso ConnectID è solo uno dei dilemmi in corso. Molte società stanno rivedendo i propri meccanismi di consenso per adeguarsi agli standard di trasparenza e per evitare sanzioni che nel GDPR possono raggiungere cifre importanti.

Il confine tra business e diritti digitali

Dietro ogni banner ci sono interessi: la pubblicità digitale è un pilastro economico per molti siti e servizi gratuiti. Le piattaforme raccolgono dati, profilano, monetizzano. E il consenso è spesso il presidio legale fondamentale a copertura di queste operazioni.

Il rischio è che il modello del “consenso obbligatorio” diventi una scorciatoia per legittimare modalità intrusive, dove l’utente ha solo un pannello di controllo apparente, ma non reale potere decisionale. Le autorità europee, i giudici e la società civile sono chiamati a fare da bilanciamento: definire dove la “profilazione consentita” diventi abuso, dove il banner diventi imposizione.

I tribunali dovranno valutare i casi in cui la scelta negativa causa la perdita di servizio: è sostenibile che rifiutando un tracciamento l’utente non possa accedere al contenuto? E ancora: quanto “persistente” può essere un identificatore in contrasto con il diritto all’oblio e la rimozione?

Consenso in bilico

La schermata consent.yahoo.com/collectConsent è più di un redirect: è un punto di contatto tra il mondo tecnologico e il mondo dei diritti digitali. Rappresenta la tensione che viviamo: tra servizi gratuiti, business della pubblicità, profilazione avanzata e l’aspettativa di sobrietà, trasparenza e controllo da parte dell’utente.

La battaglia non si risolve semplicemente con un pulsante “Rifiuta”: serve che le regole evolvano, che le autorità vigilino, che gli utenti siano educati e consapevoli.

27 Settembre 2025 ( modificato il 26 Settembre 2025 | 19:59 )
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