8:09 am, 24 Settembre 25 calendario

«Sotto i droni, verso Gaza»: la flotta Sumud e l’ultimo fronte del Mediterraneo

Di: Redazione Metrotoday
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La notte tra il 23 e il 24 settembre 2025, al largo dell’isola greca di Creta, nel mare internazionale, diverse imbarcazioni civili della Global Sumud Flotilla hanno denunciato un attacco con droni, esplosioni e interferenze alle comunicazioni. Nessuno, per fortuna, sembra essere rimasto ferito, ma il gesto ha sollevato una valanga di interrogativi politici, morali e giuridici, mobilitando diplomazie, organizzazioni internazionali e voci della società civile.

In Italia, la notizia ha coinvolto attivamente il governo, con il ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha chiesto a Tel Aviv “la tutela assoluta” di chi si trova a bordo. A rischio, secondo molti esperti e attivisti, non è soltanto la riuscita della missione umanitaria, bensì un principio base: la libertà di navigazione civile in tempo di guerra.

Questa vicenda non è isolata. È l’ultimo atto di una lunga serie di tentativi di rompere il blocco navale imposto da Israele alla Striscia di Gaza. Ripercorriamo i fatti, entriamo nel cuore delle dinamiche diplomatiche e strategiche, e proviamo a dare voce alle storie personali che stanno dietro le vele danneggiate, i messaggi interrotti e i droni che volteggiano nel buio.

Il racconto della notte

“Bombe sonore, gas urticanti, interferenze radio”

Secondo i resoconti degli attivisti, gli attacchi sono iniziati dopo la mezzanotte e si sono susseguiti nelle prime ore del 24 settembre. Le imbarcazioni — una cinquantina, provenienti da decine di Paesi — hanno dichiarato di aver udito esplosioni, visto droni transitare sopra la loro testa, ricevuto colpi con “ordigni” o “oggetti non identificati” e subito disturbi nelle comunicazioni radio. Alcuni hanno parlato di spray urticanti, altri hanno riferito che i sistemi VHF sono stati dirottati per diffondere brani di musica (fra cui il gruppo Abba).

Nelle dichiarazioni raccolte su Instagram e altri social, alcuni testimoni parlano di due esplosioni vicine alle barche Zefiro e Otaria, che avrebbero riportato danni agli alberi o alle vele.

Un’attivista brasiliana ha raccontato che furono rilevati almeno 10 attacchi durante la notte: molti su obiettivi diversi, con intensità variabile.

Le imbarcazioni con cittadini italiani, polacchi e inglesi sarebbero state colpite, secondo la portavoce italiana Maria Elena Delia: “Un attacco all’Italia e agli italiani”, ha denunciato, pur precisando che nessuno risulta ferito.

La risposta italiana e la reazione diplomatica

Alla notizia dell’aggressione, il governo italiano ha reagito prontamente. Il ministro della Difesa ha mobilitato la fregata Fasan, già in pattugliamento al largo di Creta, per avvicinarsi alla zona e offrire assistenza, se necessario, almeno ai cittadini nazionali.

Tajani, da New York dove si trovava per l’Assemblea Generale dell’ONU, ha intimato a Israele di “garantire la tutela delle persone a bordo”, facendo leva sul rispetto del diritto internazionale.

Le opposizioni in Italia hanno accusato l’esecutivo di superficialità: alcuni hanno definito le parole di Tajani come “patteggiamento” con il governo israeliano, dato che non c’è stata una condanna ferma e incondizionata degli attacchi.

A livello internazionale, l’Unione Europea ha espresso preoccupazione per l’uso della forza su imbarcazioni civili, richiamando tutte le parti a rispettare le norme internazionali sul diritto umanitario.

Israele, da parte sua, ha definito la flottilla una provocazione: il Ministero degli Esteri ha dichiarato che i naviganti dovrebbero consegnare gli aiuti al porto israeliano di Ashkelon, da dove verrebbero trasferiti nella Striscia, al fine di evitare “violenze”.

Il governo israeliano non ha però commentato direttamente le accuse sul lancio di droni.

Già in precedenza, Israele aveva annunciato che avrebbe agito per impedire a qualsiasi imbarcazione di entrare nella zona del blocco navale, anche se ciò implicasse l’uso della forza.

Per comprendere la portata politica e simbolica dell’episodio, è fondamentale inquadrare la Sumud Flotilla nel contesto delle missioni civili che da molti anni cercano di “rompere il blocco” su Gaza.

Le flottille di solidarietà: un lungo percorso

Il concetto di flotta umanitaria verso Gaza nasce nell’ambito della protesta pacifista internazionale e delle campagne pro-Diritti Palestinesi. Il caso più famoso risale al 2010, quando la Mavi Marmara, una nave turca della Freedom Flotilla, fu assaltata da forze israeliane in acque internazionali durante un tentativo di rompere il blocco. Nello scontro morirono almeno nove attivisti turchi, innescando una crisi diplomatica tra Turchia e Israele.

Negli anni successivi, diverse missioni simili furono tentate, con esiti variabili: molte vennero intercettate in mare, confiscate o sottoposte a forti pressioni politiche. Alcune riuscirono a consegnare parte dell’aiuto via rotte alternative, ma nessuna con piena trasparenza indipendente.

Nel 2025, la tensione con Gaza è cresciuta vertiginosamente, e le missioni navali si sono intensificate. La Flotilla di luglio 2025 vide l’imbarcazione Handala partire da Siracusa, diretta a Gaza, con attivisti, medici e giornalisti al bordo. Quel tentativo fu bloccato dalle forze israeliane in acque internazionali.

Altri tentativi simili furono segnalati nel Mediterraneo orientale e nel Mar Egeo — navi partite da Turchia, Grecia e Tunisia. Le autorità israeliane spesso denunciarono che i convogli erano strumenti politici più che genuini missioni umanitarie, e le ONG che le organizzavano vennero accusate di complicità con Hamas.

La Global Sumud Flotilla, in particolare, è un’operazione su larga scala: decine di imbarcazioni da più di 40 paesi, con attivisti, fotografi, avvocati dei diritti umani, medici e rappresentanti di ONG. Il carico è spesso simbolico — medicinali di base, cibo a lunga conservazione, kit sanitari — ma il valore politico è enorme.

Tunisia, mare aperto, blocchi navali

Pochi giorni prima dell’attuale attacco in mare, la Sumud Flotilla aveva denunciato un presunto bombardamento drone mentre alcune imbarcazioni erano ormeggiate in porto in Tunisia (Sidi Bou Said). Un drone avrebbe sganciato un ordigno provocando un incendio su una barca. L’autorità tunisina inizialmente negò l’attacco, attribuendo l’incendio all’accensione accidentale di un giubbino di salvataggio. In seguito le autorità annunciarono che sarebbe stata istituita una commissione d’inchiesta.

Nei mesi scorsi si sono registrate anche azioni di interdizione navale da parte delle forze israeliane o flotte civili amiche: navi intercettate, imbarcazioni sequestrate, deportazioni di attivisti. Questi episodi sono la norma piuttosto che l’eccezione.

In parallelo, il conflitto su Gaza ha visto escalation militari sempre più intense: nel marzo 2025, Israele lanciò un attacco massiccio rompendo una tregua, causando centinaia di morti.

Nei mesi successivi, i bombardamenti colpirono obiettivi civili come l’ospedale European di Khan Younis (a maggio) o la strada Wehda nel centro di Gaza.

L’intero territorio è ormai in stato d’assedio: da tempo, ogni ingresso di beni — cibo, carburante, medicinali — è rigidamente controllato da Israele e verificato da organismi internazionali, ma spesso i corridoi sono chiusi o inefficaci.

Perché colpire una flotta umanitaria?

Le ragioni dietro l’attacco possono essere molteplici e intrecciate:

Prevenzione della rottura del blocco navale: Israele considera la sua barriera marittima una componente essenziale della strategia di contenimento di armi, munizioni e materiali utili a Hamas. Una missione civile che ne forzi l’ingresso è vista come una minaccia diretta.

Effetto deterrente e psicologico: attacchi selettivi, interferenze e “psicologia della paura” (spray urticanti, musica diffusa, disturbi radio) possono essere concepiti per dissuadere partecipanti e futuri convogli.

Pressione politica e propaganda: dipingere la flotta come “strumento politico di Hamas” legittima nelle menti di alcuni paesi l’uso della forza, e serve a delegittimare l’azione diplomatica degli organizzatori.

Test degli assetti militari: l’uso di droni in un ambiente marittimo civile consente anche un banco di prova per capacità tecnologiche, di sorveglianza e la risposta in condizioni ibride.

Rischi dell’azione

Violazione del diritto internazionale: attaccare imbarcazioni civili in acque internazionali può costituire una violazione del diritto marittimo e del diritto umanitario.

Risonanza mediatica negativa: un attacco su civili è un boomerang politico: alimenta la narrazione di vittimizzazione, aumenta la solidarietà internazionale.

Risposta diplomatica: Stati con cittadini a bordo possono intervenire con navi, proteste ufficiali e richieste di chiarimenti.

Effetto rally-around-the-flag: la missione potrebbe attrarre maggiore attenzione, maggiore partecipazione e intensificazione del dibattito internazionale sulla questione di Gaza.

Lo scenario italiano

Per l’Italia, la vicenda assume una duplice valenza. Da un lato vi sono i cittadini italiani a bordo — la protezione di questi è prioritaria per il governo. Dall’altro, c’è l’immagine internazionale dell’Italia come paese che interviene per ragioni umanitarie. Il ministro degli Esteri ha dovuto gestire un equilibrio delicato: condannare l’attacco, difendere l’azione pacifica della flotilla, ma al tempo stesso evitare uno scontro diplomatico frontale con Israele.

Le opposizioni cercheranno di capitalizzare politicamente l’episodio, chiedendo chiarezza e fermezza. Il governo è chiamato a spiegare le azioni future — in Aula, nei consessi internazionali, nei rapporti con Israele e i paesi mediterranei.

I protagonisti

Oltre alle diplomazie e ai governi, la flotta è fatta dalle persone che affrontano rischi reali. Eccone alcuni profili emersi:

Maria Elena Delia, portavoce italiana: da bordo ha denunciato i danni subiti e chiesto che la comunità internazionale reagisca con forza.

Benedetta Scuderi, eurodeputata: avrebbe registrato esplosioni sulla sua imbarcazione e documentato danni agli alberi e alle vele.

Greg Stoker, attivista statunitense: sulla sua barca il drono avrebbe sganciato un piccolo “popper” sul ponte, oltre a fenomeni di disturbo nelle comunicazioni.

Attivisti da Brasile, Germania e altri paesi: integrano la comunità internazionale di solidarietà. Alcuni denunciavano fino a 13 esplosioni nella notte.

Le loro “missioni” non sono anonime: molti diffondono via social, video, comunicazioni visive la cronaca in tempo reale. In un contesto così controllato, quella visibilità è parte integrante della strategia: chiunque partecipi accetta di essere un osservatore e un testimone.

Reazioni globali e pressioni multilaterali

L’episodio si inserisce nel contesto dell’Assemblea Generale dell’ONU, con la questione Gaza al centro dei dibattiti. Molti Paesi — in Europa, in America Latina — hanno proposto di riconoscere lo Stato palestinese; altri pongono condizioni legate al rilascio degli ostaggi e alla de-militarizzazione di Hamas.

Da Parigi a Berlino, da Madrid a Bruxelles, crescono gli appelli affinché l’Unione Europea eserciti pressioni su Israele per aprire corridoi umanitari concreti e proteggere le ONG.

Le Nazioni Unite, attraverso rapporti e relazioni dei relatori speciali, hanno denunciato ripetute violazioni del diritto internazionale contro i civili a Gaza. L’attacco in mare è potenzialmente un nuovo caso da portare davanti agli organismi internazionali.

Che un civile con giubbotto di salvataggio possa trovarsi sotto i droni è un salto di paradigma rispetto ai conflitti “tradizionali”. Ciò spinge a una ridefinizione: la guerra marittima non è più dominio esclusivo delle marine militari, ma uno spazio conteso anche da realtà asimmetriche. In scenari come questo, il confine tra attore militare e civile si fa labile, e la solidarietà navale diventa una forma di protesta armata simbolica.

Navigare fra valori, rischi e dilemmi

La Sumud Flotilla non è una semplice iniziativa umanitaria: è un gesto politico, un simbolo di resistenza, una sfida al concetto stesso di “blocco”. L’attacco con droni che le è stato rivolto ci costringe a interrogare i confini e le regole della guerra moderna: quanto spazio resta per la solidarietà civile? Chi decide quando un imbarcazione è “legittima” o “ostile”? In che misura il diritto internazionale è capace di proteggere chi naviga tra questi fronti?

In mezzo al mare, tra le luci dei droni e i bagliori delle esplosioni, ci sono uomini e donne che continuano a sperare che si riconosca il valore della vita, ancor prima della politica. Anche quella notte, quando un drone ha sfiorato un ponte di legno con un ordigno ignoto, la loro voce – quella dei documenti, dei video, delle testimonianze – diventa battaglia.

24 Settembre 2025
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