11:18 am, 24 Settembre 25 calendario

Il delitto di via Fogagnolo e la ricostruzione di un omicidio efferato

Di: Redazione Metrotoday
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Sangue e fuoco a Sesto San Giovanni

È una vicenda di violenza brutale, di relazioni oscure, di segreti che esplodono: il 23 luglio scorso, in un monolocale al piano terra in via Fogagnolo, qualcuno ha tolto la vita a Hayati Hayim Aroyo, 62 anni, cittadino italo‑turco, con almeno trenta coltellate, per poi incendiare l’appartamento nel tentativo di cancellare tracce, corpi, verità.

Oltre due mesi dopo, le indagini hanno individuato i presunti responsabili, ricostruito parte del movente, fatto emergere uno scenario fatto di gelosie, ricatti, videoregistrazioni intime, frequentazioni rischiose. Ma restano domande senza risposte, spazi vuoti nei contorni di una storia che mostra come spesso il male si annidi dietro il visibile.

La scoperta del corpo, le modalità del delitto

Nella notte tra il 22 e il 23 luglio, verso le 2 del mattino, a Sesto San Giovanni è scattato l’allarme incendio in un appartamento al piano terra di un edificio di via Umberto Fogagnolo. Quando i Vigili del Fuoco sono intervenuti, la camera da letto era già invasa dalle fiamme; sul letto giaceva il corpo, semi-carbonizzato, di un uomo.

L’uomo è Hayati Hayim Aroyo, 62 anni. È stato accertato dal referto autoptico che le fiamme non erano la causa del decesso: prima, la vittima era stata accoltellata ripetutamente — almeno trenta fendenti, secondo gli investigatori — in più parti del corpo. Solo successivamente è stato appiccato l’incendio, probabilmente come tentativo di eliminare tracce utili per l’identificazione del carnefice, delle impronte, del DNA. Alla vittima, ancora vestita, è stato lasciato poco margine di difesa: il killer ha agito in modo feroce, concentrato, calcolato. Il luogo del delitto — un appartamento in uso temporaneo — aggiunge ulteriore inquietudine, perché chi usava l’alloggio non era presente, e l’abitazione non era quella della vittima in modo stabile.

Chi era la vittima, quale vita conduceva

Hayati Aroyo era residente in Italia da molti anni, con cittadinanza italiana, di origine turca. Non viveva in via Fogagnolo in modo permanente: l’appartamento gli era stato concesso temporaneamente da uno studente universitario fuori sede, che lo aveva lasciato libero durante le vacanze. Prima abitava altrove, ma aveva passato periodi di difficoltà economica, dipendendo anche da sussidi (tra cui, in passato, misure assistenziali come il reddito di cittadinanza).

Non aveva una vita sotto i riflettori, ma non era sconosciuto: era stato coinvolto, da tempo, in vicende di cronaca relative alla criminalità turca nel Sud Italia, per via di parentela. Era cognato di un uomo ucciso quasi vent’anni prima, in Calabria, in circostanze violente, ma le autorità giudiziarie hanno già chiarito che non c’è motivo di ricondurre l’omicidio di Sesto San Giovanni a logiche mafiose legate a quel passato. Il suo coinvolgimento in frequentazioni, acquisti di droga, nelle relazioni con le persone che gestivano feste private, ha però offerto ai magistrati alcune piste investigative concrete.

   

Il movente: il video “intimo” che incendia la rabbia

Secondo le ricostruzioni investigative, il movente che ha spinto gli arrestati alla decisione omicida sarebbe legato alla diffusione, da parte della vittima, di un video privato della donna che poi ha fatto da “esca” per attirarlo in casa sua. Il video sarebbe stato registrato durante un incontro sessuale con una terza persona; la divulgazione del materiale ha suscitato grande risentimento nella coppia (uomo e donna, marito e moglie) coinvolta. È questo sentimento di umiliazione, rabbia, vendetta che avrebbe spinto alla pianificazione del delitto.

La sera dell’omicidio, la donna avrebbe fissato un appuntamento con la vittima, fungendo da tramite per farlo entrare nell’appartamento. L’uomo, loro amico in passato, si sarebbe presentato assieme a marito e complice. Secondo gli investigatori, è stato l’amico albanese a infliggere il primo colpo, vicino al cuore, e a lasciarlo agonizzante. Dopo, per cancellare le tracce, hanno appiccato il fuoco al letto. Inoltre, è emerso che gli assalitori hanno sottratto oggetti personali, contanti, droga che il 62enne possedeva, forse per rapina aggravata.

I fermi: chi sono i presunti autori

Le forze dell’ordine hanno fermato tre persone ritenute responsabili del delitto:

    una donna, 36 anni, italiana;

    un uomo, 38 anni, italiano, marito della donna;

    un altro uomo, 33 anni, di nazionalità albanese.

Le accuse nei loro confronti sono gravi: omicidio aggravato, incendio, distruzione di cadavere, rapina aggravata. È ipotizzato che il 33enne albanese abbia materialmente effettuato le coltellate – almeno il primo colpo al cuore –, mentre la donna avrebbe collaborato, aprendo la porta per far entrare la vittima, e il marito avrebbe fatto parte del piano. Un quarto uomo, che li avrebbe accompagnati, è stato identificato come “driver” cioè autista, ma non è considerato responsabile diretto dell’omicidio stesso.

Le indagini sono state guidate anche attraverso analisi di telecamere di sorveglianza, tracciamento dei tabulati telefonici, uso di una PostePay della vittima, movimentata dopo il delitto, e altri dispositivi elettronici.

Tempistiche, luogo, “persona che presta l’alloggio”

Molti elementi aggiungono complessità al caso:

    – L’appartamento in via Fogagnolo non era della vittima, bensì formalmente della proprietà di uno studente universitario della Bicocca anch’egli fuori sede, che, in assenza dell’inquilino, aveva lasciato usare l’alloggio. Quindi la vittima stava lì in via temporanea, ma aveva accesso e libertà di movimento.

    – L’autopsia colloca il momento del delitto intorno alle 2 del mattino. Dopo le coltellate, è stato registrato un via vai sospetto da parte di un uomo dall’appartamento – testimoni lo hanno notato – e dopo mezz’ora, l’incendio.

    – Le telecamere e le celle telefoniche indicano movimenti anomali nei dispositivi della vittima dopo la morte, e verso Busto Arsizio, dove vivono i fermati. Il cellulare, il tablet e gli oggetti della vittima sono stati trafugati.

Il passato che non muore

Dato che la vittima era cognato di un esponente della mafia turca (ucciso nel 2005), è sorta subito la domanda se potesse esserci un collegamento con logiche criminali più ampie. Tuttavia, dalle prime indagini emerge che non c’è prova di un coinvolgimento diretto della criminalità organizzata nel delitto del 23 luglio. Le autorità escludono che l’omicidio fosse parte di vendette mafiose o guerre di clan. Il movente pare piuttosto personale, legato a un’offesa intima che è degenerata in feroce vendetta.

È tuttavia difficile ignorare che la storia familiare, le origini “a rischio”, il coinvolgimento in ambienti di consumo stupefacenti, frequentazioni borderline, acquistino un peso simbolico: rendono la vittima “sensibile” a certe pulsioni violente, la espongono di più alla lacerazione sociale, al pregiudizio, e forse rendono più credibili le versioni investigative per chi guarda con sospetto ai immigrati e alle comunità straniere.

Quando l’intimità diventa arma

Questo caso non è isolato. In Italia negli ultimi anni sono emersi numerosi casi in cui la diffusione di immagini intime è diventata motivo di ricatto, vendetta, e in casi estremi, di violenza fisica.

Negli scaffali della cronaca troviamo drammi legati al revenge porn, ricatti sentimentali, litigi finiti in tragedia, aggressioni tra conoscenti, spesso nei quartieri popolari o tra persone con fragilità economica o relazionale. Talvolta la dimensione del “video hot” è il detonatore, non sempre la causa principale, ma diventa l’elemento che accende una miccia già presente: gelosie, paure, risentimenti, preoccupazioni sull’onore, sull’identità, sull’umiliazione.

Nel caso di Sesto San Giovanni, il ricorso al fuoco per distruggere prove e cancellare segni è simbolico: è il gesto di chi vuole che non rimanga traccia, che l’offesa sia stata cancellata, che nessuno possa rivedere quel video o quel momento. E tuttavia chi usa il fuoco perde anche la possibilità di nascondere tutto. Le indagini scientifiche — impronte, tracce digitali, telefonate, filmati — restano strumenti potenti nelle mani della giustizia.

Le implicazioni sociali e morali

L’omicidio ha fatto scalpore non solo per la crudeltà, ma per il fatto che il movente abbia come fulcro un video intimo. Questo ci riporta a riflettere su alcuni punti:

    Privacy e vulnerabilità: in un’epoca in cui registrazioni, video, immagini intime possono circolare con un semplice gesto, molte persone vivono nella paura che la loro vita privata venga resa pubblica, o peggio, che possa essere usata come arma contro di loro.

    La “vergogna” come leva del crimine: l’offesa sociale, l’umiliazione percepita, la paura della sfiducia – spesso sono motori potenti. Talvolta più della paura della morte.

    La pena, la giustizia e la memoria della violenza: ci si domanda che cosa significhi “vendetta privata” oggi, come la legge la ponga in crisi, quanto la società sappia proteggere le vittime (anche potenziali) prima che sia troppo tardi.

    Dimensione migrante, precarietà, marginalità: non è detto che l’origine, la cittadinanza, la storia della vittima siano cause del crimine, ma spesso costituiscono il contesto in cui le fragilità si amplificano — povertà, isolamento, rapporti sociali precari, esposizione più alta al rischio.

Cosa si sa oggi

Al momento gli indagati sono stati fermati: tre persone sospettate, con prove ritenute sufficienti per avviare il procedimento penale. Sono accusati di più reati: omicidio, incendio, distruzione di cadavere, rapina, ecc.

Le autorità stanno ancora lavorando per confermare ogni dettaglio, individuare tutte le responsabilità, isolare, ad esempio, chi materialmente ha acceso il fuoco, chi ha compiuto la maggior parte delle coltellate, anche se esistono dichiarazioni rese da alcuni degli arrestati che confermano parte della ricostruzione.

Ulteriori accertamenti riguardano anche l’identità completa della vittima, perché, sebbene sia noto il nome, permangono aspetti incerti circa dove abitasse stabilmente, quali rapporti avesse, quali frequentazioni quotidiane. Inoltre, si cercano elementi che possano dimostrare il coinvolgimento (anche indiretto) di altri soggetti che potrebbero aver favorito l’incontro o aver saputo del video prima che diventasse oggetto di conflitto.

Il caso di Sesto San Giovanni fa riflettere su più piani:

    Prevenzione: quali strumenti può offrire la comunità per intercettare relazioni tossiche, diffamazioni, ricatti digitali prima che degenerino? Educazione digitale, protezione della privacy, centri antiviolenza non solo per le donne ma per tutti quelli che subiscono forme di abuso “nascoste”.

    Legge e pene: la legge italiana ha fatto passi avanti contro il revenge porn e le violazioni della privacy intime, ma casi come questo mostrano che molto resta da fare nel collegare il danno psicologico, la paura sociale con conseguenze criminali molto gravi.

    Media e percezione sociale: come si racconta la vittima? Come si evita di ridurre tragedie come questa a “colpevole di aver diffuso un video”? C’è il rischio che alcune vittime vengano considerate complici delle proprie tragedie, invece che guardate con empatia e considerazione.

    Esempi precedenti nella cronaca locale: nel passato recente Sesto San Giovanni ha conosciuto altri casi di omicidio e violenza estrema, non legati però al movente dell’intimità diffusa, ma piuttosto a gelosie, ai conflitti tra gruppi criminali, oppure al degrado sociale. Confrontare questo caso con altri può aiutare a capire se siamo davanti a un’eccezione o a un segnale di un fenomeno in crescita.

L’omicidio di via Fogagnolo è drammatico perché scuote due livelli: quello concreto, della vita privata, dell’umiliazione, del corpo brutalizzato; e quello sociale, della paura che la nostra intimità, la nostra vulnerabilità possa diventare motivo di morte. Hayati Aroyo non è solo il nome della vittima, è il punto d’incontro di storie complesse: migrazione, precarietà, relazioni pericolose, tecnologia, risentimento.

La giustizia deve fare il suo corso, ma è anche importante che si faccia spazio nella coscienza collettiva una consapevolezza: che dietro ogni delitto così “anomalo” c’è qualcuno che avrebbe potuto essere aiutato prima, c’è qualcuno che ha subito un’offesa, una paura, un ricatto, che non ha saputo difendersi, o non è stato difeso.

Se la criminalità organizzata non entra direttamente nella scena di questo omicidio, la criminalità del privato sì: quella fatta di parole carpite, di immagini rese eternamente visibili, di offese invisibili ma profonde.

24 Settembre 2025 ( modificato il 23 Settembre 2025 | 11:25 )
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