8:08 am, 22 Settembre 25 calendario

Tre Paesi riconoscono la Palestina: svolta diplomatica e terremoto politico in Israele

Di: Redazione Metrotoday
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Regno Unito, Canada e Australia hanno annunciato, in maniera coordinata e simultanea, il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina. Un gesto che scuote gli equilibri internazionali, acuisce la tensione tra Israele e i suoi alleati occidentali, e rilancia il tema della soluzione a due Stati in un momento di massima crisi.

La scelta arriva mentre la guerra a Gaza è giunta al giorno 717, con un bilancio umanitario devastante: decine di migliaia di vittime, infrastrutture civili ridotte in macerie, oltre due milioni di sfollati interni. In questo scenario, il riconoscimento assume un peso non solo simbolico, ma anche pratico, perché potrebbe aprire la strada a rapporti diplomatici e finanziari diretti con l’Autorità Nazionale Palestinese.

Londra, Ottawa e Canberra: “Un passo verso la pace”

La dichiarazione del premier britannico Keir Starmer è stata accolta con un fragoroso applauso a Westminster: “Oggi, per ravvivare la speranza di pace tra palestinesi e israeliani e per rilanciare la soluzione a due Stati, il Regno Unito riconosce formalmente lo Stato di Palestina”.

Poche ore dopo, da Ottawa e Canberra, sono arrivate parole analoghe. Il primo ministro canadese Mark Carney ha parlato di “una scelta coraggiosa e necessaria per garantire pace e sicurezza durature”, mentre il premier australiano Anthony Albanese ha definito la decisione “un atto di responsabilità internazionale”.

La mossa è stata salutata dall’Autorità Palestinese come “un giorno storico” e da gran parte del mondo arabo come un segnale che la diplomazia internazionale non può più ignorare le sofferenze del popolo palestinese. Hamas, invece, ha colto l’occasione per presentare l’annuncio come una vittoria politica, alimentando il timore israeliano che il gesto possa rafforzare le fazioni armate.

Netanyahu: “Così si ricompensa il terrorismo”

Dalla sponda opposta, la reazione israeliana è stata immediata e durissima. Il premier Benjamin Netanyahu, a New York per partecipare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, ha accusato i tre Paesi di “premiare i terroristi di Hamas” dopo il massacro del 7 ottobre 2023, l’attacco che aveva dato inizio all’attuale conflitto.

Uno Stato palestinese a ovest del Giordano non vedrà mai la luce”, ha dichiarato Netanyahu. “Chi pensa di imporci questa soluzione, dopo l’orrore del 7 ottobre, non fa che legittimare la violenza contro Israele. Non accadrà. Combatteremo in tutte le sedi, all’ONU e altrove, contro questa propaganda menzognera”.

Il premier israeliano incontrerà nei prossimi giorni Donald Trump, che ha già espresso il suo disaccordo con la scelta di Londra, Ottawa e Canberra.

L’ultradestra israeliana al contrattacco

Se Netanyahu ha scelto la via della diplomazia dura, i suoi alleati di ultradestra sono passati alle minacce politiche.

Il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir ha chiesto l’annessione immediata della Cisgiordania, sostenendo che “riconoscere uno Stato palestinese significa premiare i terroristi assassini di Nukhba, l’unità d’élite di Hamas che ha guidato l’attacco del 7 ottobre”.

Anche il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich ha rilanciato una proposta di annessione dell’82% della Cisgiordania, presentata già all’inizio di settembre, nel tentativo di rendere impraticabile ogni ipotesi di Stato palestinese indipendente.

Il fronte internazionale si divide

Il gesto dei tre Paesi anglofoni rappresenta uno strappo significativo anche nei confronti di Washington. Gli Stati Uniti, attraverso il presidente Donald Trump, hanno ribadito la propria opposizione a ogni riconoscimento unilaterale, riaffermando che l’unica strada resta il negoziato diretto tra le parti.

Eppure, il fronte contrario a Israele si allarga. La Francia è attesa nelle prossime ore con un annuncio analogo, mentre Belgio, Portogallo e Irlanda hanno già fatto sapere di voler seguire l’esempio britannico.

La partita si sposta così sul tavolo delle Nazioni Unite, dove un numero crescente di Paesi potrebbe votare per il pieno riconoscimento della Palestina come Stato membro a tutti gli effetti, bypassando lo status attuale di “osservatore”.

La lunga strada del riconoscimento

Non è la prima volta che alcuni Paesi decidono di riconoscere la Palestina in maniera unilaterale. Già negli anni ’80, l’Unione Sovietica e numerosi Paesi del blocco non allineato avevano compiuto questo passo. Nel 1988, subito dopo la dichiarazione d’indipendenza proclamata a Algeri da Yasser Arafat, più di 70 nazioni avevano formalizzato il riconoscimento.

Nel 2014, la Svezia era stata il primo Paese dell’Unione Europea a compiere questa scelta, aprendo la strada a un dibattito che però non aveva trovato consenso tra le potenze occidentali maggiori.

La differenza oggi è che a compiere il passo sono tre democrazie centrali nello scacchiere occidentale, tutte storicamente alleate di Israele e parte integrante del legame atlantico.

Le ripercussioni interne in Israele

La mossa ha scatenato un terremoto politico interno. Yair Golan, leader dei Democratici, ha accusato Netanyahu e Smotrich di “fallimento diplomatico” e di avere isolato Israele con una politica di guerra permanente e annessioni.

Ma la sinistra israeliana è divisa. Golan stesso, in un’intervista radiofonica, ha parlato della necessità di “separazione civile” piuttosto che di un vero accordo di pace, suscitando critiche da parte di movimenti progressisti come Standing Together e di esponenti arabo-israeliani come Ayman Odeh.

Il dibattito interno, già acceso per le difficoltà economiche e per le proteste contro il prolungamento della guerra, rischia ora di fratturare ulteriormente il Paese.

Effetti sul terreno e rischi immediati

Sul piano pratico, il riconoscimento della Palestina potrebbe aprire la strada a nuovi finanziamenti diretti all’Autorità Nazionale Palestinese, al rafforzamento delle istituzioni civili e persino all’apertura di ambasciate e missioni diplomatiche nei Territori.

Israele, tuttavia, ha già fatto sapere che si opporrà con forza a qualsiasi passo che trasformi questo riconoscimento simbolico in atti concreti sul terreno. Non è da escludere un inasprimento delle operazioni militari in Cisgiordania o un irrigidimento delle politiche di sicurezza.

Il rischio, secondo alcuni analisti, è che la scelta dei tre Paesi, pur animata dall’intento di rilanciare il processo politico, possa avere l’effetto opposto, radicalizzando ulteriormente le posizioni e rendendo ancora più lontana una tregua.

Verso un nuovo ordine internazionale

La mossa di Londra, Ottawa e Canberra potrebbe avere conseguenze anche più ampie.

  • L’Europa si muove verso un sostegno esplicito alla soluzione a due Stati.
  • Gli Stati Uniti rischiano l’isolamento diplomatico, restando tra i pochi a opporsi.
  • Il mondo arabo legge il riconoscimento come una vittoria della causa palestinese.
  • Russia e Cina, già favorevoli alla nascita dello Stato palestinese, potrebbero sfruttare la spaccatura occidentale per rafforzare la propria influenza in Medio Oriente.

Un futuro ancora incerto

Il riconoscimento della Palestina da parte di tre Paesi centrali del blocco occidentale è una svolta storica, ma la pace resta lontana.

Sul campo si continua a combattere, gli ostaggi israeliani sono ancora prigionieri di Hamas, la Cisgiordania rischia di infiammarsi, e la popolazione civile paga il prezzo più alto.

22 Settembre 2025
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