7:07 pm, 22 Settembre 25 calendario

L’Italia si è fermata, lo scontro sulle piazze e le responsabilità

Di: Redazione Metrotoday
condividi

L’Italia è stata protagonista di una delle sue giornate più cariche emotivamente degli ultimi anni: uno sciopero generale di 24 ore, indetto da sigle sindacali di base come USB, Cub, ADL Cobas, SGB e Usi‑Cit, che coinvolge trasporti, scuole, università, porti, servizi pubblici. L’azione è contro quella che definiscono “situazione umanitaria catastrofica nella Striscia di Gaza”, una protesta che chiede la fine immediata della fornitura di armi a Israele, il riconoscimento della gravità della crisi da parte del governo italiano, e una dissociazione concreta da ogni complicità.

Modalità, impatti, città coinvolte

    Lo sciopero ha preso il via alla mezzanotte del 22 settembre, e durerà fino alle 23 dello stesso giorno.

    Sono stati coinvolti trasporti pubblici locali, ferrovie regionali e nazionali (Gruppo FS, Trenitalia esclusa la Calabria; Italo; Trenord), porti, scuole e università. Settore aereo escluso.

    Fasce orarie di garanzia nei trasporti (ferroviari, urbani etc.): tipicamente le ore del mattino (6‑9) e della sera (18‑21), con variazioni da città a città.

    A Roma, l’azienda Atac segnala che lunedì non viene garantito il servizio dalle 8:30 alle 16:59 e dalle 20:00 fino al termine del servizio per linee con corse oltre la mezzanotte; le linee notturne nella notte tra domenica e lunedì sono già sospese.

    A Milano, ATM garantisce metropolitana e mezzi fino alle 8.45 e poi dalle 15 alle 18; ma molte linee bus/tram subiranno deviazioni o interruzioni.

    Le manifestazioni: previste almeno 75 città con cortei, presidi, sit-in. A Roma una manifestazione centrale in Piazza dei Cinquecento, da cui si muoveranno altri presidi nel centro. A Milano, Bologna, Napoli, Genova, Bari, Palermo, Firenze, Torino, Ancona tra le principali.

La posizione del governo

La giornata non è trascorsa senza tensioni anche politiche. Sono principalmente le dichiarazioni della Premier Giorgia Meloni a far discutere:

    Meloni ha definito “indegne” le immagini che giungono da Milano — manifestanti che si definiscono pacifisti ma che danno luogo a scontri, danneggiamenti, occupazione delle stazioni. “Violenze e distruzioni che nulla hanno a che vedere con la solidarietà” ha detto, sottolineando che queste azioni “non cambieranno di una virgola la vita delle persone a Gaza”, ma avranno “conseguenze concrete per i cittadini italiani”.

    Il governo insiste: la protesta è legittima, ma gli atti di violenza sono da condannare. Tajani e La Russa si sono uniti all’appello alla pacificazione delle manifestazioni. Tajani ha dichiarato che “non è con la violenza (…) che si aiuta la popolazione civile palestinese”.

    Le opposizioni chiedono al governo di chiarire la sua posizione parlamentare sulla Palestina. Il Partito Democratico ha avanzato richieste di dibattito e che Meloni riferisca in Aula sul tema.

Dietro le piazze: voci dal basso e motivazioni

Da chi sciopera e da chi manifesta emergono richieste precise:

    Interruzione immediata delle relazioni commerciali e diplomatiche con lo Stato d’Israele, specialmente in quella che viene percepita come una fornitura di armi che alimenta il conflitto.

    Stop al blocco degli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza, che diversi attori internazionali definiscono ormai come crisi umanitaria di portata massiccia.

    Richiesta forte di riconoscimento dello Stato palestinese come segnale politico e morale, e una maggiore corresponsabilità da parte dell’Europa.

Molti manifestanti sottolineano anche che quella che era all’inizio una protesta lontana dalle agende politiche ordinarie sta diventando in Italia una voce che è capace di aggregare soggetti molto diversi: giovanissimi, studenti universitari, famiglie, operatori dei servizi, settori del lavoro precario, ma anche sindacalisti più tradizionali. L’idea di “non stare alla finestra” è ricorrente.

Precedenti analoghi, cosa cambia

Questo sciopero non nasce nel vuoto. È la seconda giornata di mobilitazione nazionale in pochi giorni: il 19 settembre la CGIL aveva proclamato uno sciopero nazionale di quattro ore.

L’Italia ha visto nei mesi scorsi diverse manifestazioni pro Palestina, cortei e presidi, anche con momenti molto partecipati, specie dopo certi eventi particolarmente cruenti nel conflitto Israele‑Gaza. Ma la dimensione odierna, con la possibile paralisi temporanea dei trasporti e dei servizi pubblici, segna un salto di livello nelle modalità di protesta.

Dal lato politico, Meloni e il suo governo hanno lentamente assunto un tono più critico verso alcune operazioni militari israeliane, pur senza modificare alcune posizioni strutturali: per esempio, l’Italia non ha ancora riconosciuto formalmente lo Stato palestinese, posizione che Meloni ha definito “prematura” in passato, sostenendo che potrebbe dare un’impressione di risoluzione del conflitto quando invece le condizioni politico‑territoriali non lo permettono.

Le sfide e le critiche

Complicità e responsabilità: un tema centrale è se il governo italiano stia facendo abbastanza per “non essere complice”. I manifestanti lo accusano di non aver preso una posizione netta, se non retorica, su questioni che ritengono urgenti: blocco delle esportazioni di armi, pressioni diplomatiche, riconoscimento dello Stato palestinese. È uno scontro politico anche tettonico: da un lato il principio di solidarietà umanitaria; dall’altro la cautela diplomatica, la tutela degli equilibri internazionali, dei legami con alleati tradizionali e con Israele.

Violenza e responsabilità delle piazze: le immagini di scontri — a Milano con la stazione centrale, a Bologna bloccata l’autostrada A14, in molti luoghi transenne, idranti, tensione — alimentano il dibattito su dove finisce la protesta legittima e dove inizia il danno. Il governo sostiene che oltre ad essere inaccettabili, questi momenti possano danneggiare quella che è stata definita come “solidarietà reale”, perché rischiano di deviare l’attenzione dal messaggio umanitario verso la crisi dell’ordine pubblico.

Molti si chiedono se uno sciopero di questo tipo possa davvero spingere il governo a cambiare posizione, o se resti confinato nel campo della protesta simbolica. Quali pressioni internazionali potrebbero derivarne? Quanto il partenariato con l’Unione Europea, la diplomazia italiana e l’opinione pubblica internazionale rispondono a queste spinte?

Cosa può succedere dopo il 22 settembre

    Reazioni politiche interne: è probabile che le opposizioni intensifichino le richieste di riferire in Parlamento, di spiegare quali misure concrete il governo intende adottare, specialmente in vista dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e di eventuali votazioni sul riconoscimento della Palestina o sull’embargo alle armi.

    Pressioni internazionali: l’Italia è già sotto osservazione, insieme ad altri Paesi UE, per il ruolo che gioca nella diplomazia verso il conflitto Israele‑Hamas. Azioni come il riconoscimento dello Stato palestinese da parte della Francia e di altri attori internazionali aumentano la pressione perché gli altri si allineino o quantomeno esplicitino la propria posizione.

    Possibili escalation nelle proteste: se il governo non rispondesse con decisioni concrete — sia nel campo diplomatico che in quello delle esportazioni di armi — è ragionevole attendersi altre mobilitazioni, forse con forme ancora più organizzate, e tensioni maggiori tra piazza e istituzioni.

    Rischi di polarizzazione interna: lo scontro tra chi considera queste proteste legittime manifestazioni di solidarietà, e chi le vede come azioni radicali o strumentalizzate, si accende sempre di più. C’è il rischio che il tema diventi un ulteriore fattore di frammentazione sociale, tra chi per motivi etici o religiosi è fortemente impegnato, e chi teme per i disagi giornalieri, per la sicurezza, per l’immagine del Paese, per l’economia locale.

La mobilitazione di oggi — definita “lunedì nero per i trasporti” — segna un momento significativo nella protesta politica italiana: non è semplicemente la somma di disagi, blocchi e scioperi, ma uno specchio delle tensioni contemporanee che attraversano la società: la distanza tra le politiche estere del governo e le aspettative di porre un freno alle violazioni dei diritti umani; il peso delle piazze nel mettere sotto pressione le istituzioni; la complessità di misurarsi con un conflitto distante ma fortemente percepito come vicino, umano, imprescindibile.

Sarà il dopo‑22 settembre a dire se questa protesta servirà a tracciare una nuova linea di demarcazione nella politica italiana verso Gaza, o se resterà un episodio molto visibile ma dalle conseguenze limitate. La domanda che resta è: quanto può spingere una nazione a fermarsi — per 24 ore — quando la sofferenza è per molti troppo grande per essere ignorata?

22 Settembre 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA