2:48 pm, 19 Settembre 25 calendario

“177 giorni. Il rapimento di Farouk Kassam”: quando la cronaca diventa fiction, tra verità e memoria

Di: o.c.
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Una storia che per trent’anni ha diviso il silenzio e la paura. Un incubo durato 177 giorni, dai gelidi inverni sardi al caldo della stampa nazionale. Ora, quel rapimento—quello del piccolo Farouk Kassam—sarà raccontato nei dettagli sul piccolo schermo: nascerà una serie Rai, diretta da Carlo Carlei, che intende restituire alla memoria collettiva il dramma del 1992.

Il progetto: tra serie TV e true crime

La serie si intitolerà “177 Giorni. Il rapimento di Farouk Kassam”. Sei episodi, probabilmente articolati in tre prime serate su Rai 1, prodotta da Rai Fiction e Bim Produzione (gruppo Wild Bunch), con la distribuzione internazionale affidata a Mediawan Rights. Le riprese inizieranno il 1 ottobre 2025, in Sardegna e in Campania, per un arco di tempo che si estenderà su circa 12 settimane.

Il cast è di rilievo: Marco Bocci interpreterà Fateh Kassam, padre di Farouk; Antonia Desplat sarà Marion Bleriot, madre. A loro si affiancano attori come Rosa Diletta Rossi, Domenico Diele, Enrico Inserra e altri, con protagonista bambino il giovane Filippo Papa nei panni di Farouk.

La sceneggiatura è firmata da Lea Tafuri (anche headwriter), Antonio Manca e Vincenzo Marra. La serie trae ispirazione dal libro Mio figlio Farouk. Anatomia di un rapimento di Fateh Kassam, scritto con Marco Corrias.

Il fatto: ricostruzione storica del sequestro

Per capire il peso di questa fiction, serve guardare alla cronaca. Ecco i fatti principali, come risultano dagli archivi giudiziari e dalle ricostruzioni giornalistiche:

15 gennaio 1992: Farouk Kassam, bambino di 7 anni con nazionalità belga e canadese, figlio di Fateh Kassam (belga di origine indiana), viene rapito nella sua villa a Porto Cervo, in Costa Smeralda (Sardegna).

I rapitori agiscono con modalità che ricorderanno altri sequestri dell’epoca: sorprendere la famiglia, immobilizzare parenti e domestici, mantenere un alto profilo di segretezza.

Nei giorni successivi scatta la mobilitazione delle forze dell’ordine (polizia, carabinieri) e un allarme mediatico notevole, che coinvolge l’interesse nazionale.

Si parla presto di un riscatto altissimo: circa 5 miliardi e 300 milioni di lire. È una delle cifre più elevate mai attribuite a un sequestro in Italia. Quella cifra non fu dichiarata in processuale, ma fu resa nota da terze parti coinvolte nella mediazione e dalla stampa.

Il bambino venne tenuto nascosto per diverso tempo in una grotta sul Montalbo, vicino a Lula, un luogo montano isolato in Sardegna.

Durante la detenzione subì una mutilazione: gli fu tagliato un pezzo della parte superiore dell’orecchio sinistro, come segno che il bambino era ancora vivo.

11 luglio 1992 fu il giorno della liberazione: dopo quasi sei mesi di ansie, negoziazioni, morte apparente di contatti utili. Le circostanze precise che portarono alla sua liberazione non furono del tutto chiare. Intermediarono figure come Graziano Mesina; ma il ruolo esatto Ascritto alla polizia resta tutt’oggi oggetto di controversie.

I processi e le condanne

Subito dopo la liberazione, cominciarono le indagini e il processo:

Matteo Boe, il bandito sardo riconosciuto come capo del gruppo, fu condannato a 30 anni per il sequestro di Farouk (e altri).

Altri membri del gruppo ricevettero condanne analoghe: 27 e 29 anni per (almeno) due complici.

Nel corso degli anni, sono rimaste questioni aperte: chi erano realmente tutti gli esecutori? Alcune identità sono tutt’oggi incerte (due dei quattro banditi, alcuni custodi) e sull’esatto meccanismo della trattativa e del riscatto restano zone d’ombra.

Nel 2017 Matteo Boe è stato scarcerato, anche se la sua liberazione non ha cancellato il dolore, le domande e la memoria collettiva.

Questo fatto di cronaca ha segnato profondamente la Sardegna e l’Italia degli anni Novanta:

Fu uno dei sequestri che più di altri animarono dibattiti su sicurezza, criminalità organizzata, banditismo sardo, Anonima sequestri.

I media svolsero un ruolo centrale, sia nel diffondere ansia e notizie che nel mettere pressione pubblica per la liberazione. La vicenda prese dimensioni nazionali quasi in tempo reale.

Furono sollevate questioni morali e politiche: del ruolo dello Stato (quanto ha fatto, quanto poté fare), della responsabilità dei media, del diritto ad un riscatto, dei limiti del negoziato con i sequestratori.

Farouk oggi è un uomo. Ha scelto di mantenere riservato il suo rapporto con quei fatti dolorosi. “Non ho ancora perdonato” disse in una intervista, parlando della persona che lo rapì, del taglio all’orecchio, del tempo rubato.

La scelta di trasformare questa storia in fiction apre questioni complesse:

Fedeltà storica: quanto il racconto si atterrà ai fatti accertati, quanto alle zone d’ombra? Quanto spazio sarà dato alle versioni verificate vs quelle ancora dibattute?

Violenza e trauma: come verranno rappresentate le parti più dolorose, come la mutilazione, il sequestro? Il rischio è di spettacolarizzare, banalizzare, oppure, al contrario, scaricare peso emotivo e senso di colpa su chi non era responsabile.

Funzione sociale: raccontare serve a conservare memoria, a riflettere su che cosa eravamo come Paese, su giustizia, sul patto Stato-cittadino. Può essere uno strumento educativo se ben calibrato.

Sensibilità della famiglia: Farouk, i suoi genitori hanno vissuto questo dramma. È importante che la produzione rispetti il trauma, le testimonianze, l’intimità, evitando di esporre inutilmente al dolore. L’adesione al libro di Fateh Kassam è un buon segnale: già il padre ha messo per iscritto emozioni e ricordi.

Un confronto con altre storie di sequestri

Per contestualizzare, non basta rievocare solo Farouk. Negli anni ’70, ’80, ’90 – specie in Sardegna ma non solo – i sequestri di persona erano una piaga. L’“Anonima sequestri” ebbe momenti di massima attività: casi come (solo per citare) Vanna Licheri, Giuseppe Soffiantini e altri.

Queste storie rivelano un fenomeno sociale che ha radici profonde: isolamento geografico, scarsità di efficienti vie istituzionali, povertà, ma anche complicità, silenzio, connivenze. Solo gradualmente, con il miglioramento dei sistemi investigativi, della comunicazione, della cooperazione dello Stato, si riuscì a ridurre la frequenza di tali eventi.

Farouk oggi, l’eredità del rapimento

Chi è oggi Farouk Kassam?

È diventato imprenditore, ha studiato all’estero.

È tornato a fare i conti con la storia, ma ha scelto di farlo in parte: non pubblica molto, ha una vita privata riservata.

Ha dichiarato che la Sardegna rimane per lui un luogo importante, quasi familiare, nonostante il trauma.

La messa in onda di “177 Giorni. Il rapimento di Farouk Kassam” è qualcosa di più di un semplice racconto televisivo. È un’opportunità:

  • per riflettere su com’è cambiata l’Italia in trent’anni: dagli strumenti investigativi, alla gestione dei media, al modo in cui lo Stato interagisce con casi di violenza estrema.
  • per mettere in dialogo le generazioni: chi non ha vissuto quell’epoca ha spesso solo frammenti, immagini, miti. La serie può far capire concretamente, emotivamente, cosa significava allora.
  • per rendere omaggio al coraggio di chi ha vissuto, alle vittime, in questo caso un bambino, una famiglia, una comunità.

Ma anche per un monito: che le tragedie di ieri non vengano dimenticate, che la morale della mediazione (diplomatica, giudiziaria, umana) non si perda, che le domande – su responsabilità, su colpe, su verità – siano poste, senza censura.

19 Settembre 2025
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