Draghi su UE, l’allarme che scuote l’Unione

“L’inazione dell’Unione Europea minaccia non solo la nostra competitività, ma anche la nostra stessa sovranità.” Con queste parole, Mario Draghi ha rilanciato oggi un quadro di forte preoccupazione per il futuro dell’Europa, intervenendo a Bruxelles nella conferenza di alto livello “A un anno dal Rapporto Draghi” in compagnia della presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen.
Il messaggio è forte: l’Europa non può più permettersi ritardi, lentezze istituzionali, esitazioni politiche. Se non cambia passo, il rischio è che diventi marginale nei confronti di Stati Uniti e Cina, ridotta in campo economico, tecnologico e geopolitico.
Tra diagnosi e frustrazione
Durante il suo intervento, Draghi ha stigmatizzato il fatto che, nonostante la diagnosi chiara e le priorità individuate nel suo Rapporto sulla competitività, i cittadini e le imprese europee guardano con crescente delusione alla lentezza con cui l’UE procede.
“Il nostro modello di crescita sta svanendo. Le vulnerabilità stanno aumentando. E non esiste un percorso chiaro per finanziare gli investimenti di cui abbiamo bisogno.”
“Troppo spesso si trovano scuse per questa lentezza… questo è compiacimento.”
“Nuova velocità… risultati nel giro di mesi, non di anni.”
Queste le richieste pressanti: non solo dichiarazioni, ma misure concrete, che abbiano impatto visibile in tempi rapidi. Draghi indica alcune delle aree in cui si sta segnando il ritardo maggiore: innovazione tecnologica, intelligenza artificiale, politiche industriali coordinate, difesa comune, transizione energetica.
Sovranità europea in pericolo
L’idea che l’UE stia perdendo sovranità non è retorica. Per Draghi, non agire significa lasciare spazio agli altri poteri – economici, tecnologici, geopolitici – che impongono regole, influenza, standard. Europa rischia di diventare spettatrice piuttosto che protagonista.
Le dimensioni del rischio:
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La dipendenza tecnologica: ritardi nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, nei modelli fondamentali (foundation models) rispetto a USA e Cina.
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Energia costosa: i prezzi in Europa sono molto più alti rispetto ai concorrenti, incidendo su competitività e industria.
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Normativa lenta: regolamenti complessi, tempi di approvazione lunghi, iter decisionali che coinvolgono molti livelli istituzionali, facendo rallentare la risposta dell’UE.
L’appello alle azioni concrete
Draghi ha chiesto che le istituzioni e i governi membri facciano di più che approvare rapporti: che si impegnino in modo concreto su tre fronti primari:
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Finanziamenti nuovi e corrispondenti capacità operative
Propone l’idea del debito comune per finanziare progetti industriali, infrastrutturali, difensivi ed energetici. Serve un salto di scala nell’investimento pubblico, anche stimolando il privato, ma non più solo tramite sussidi o pacchetti spot. -
Riforme strutturali
Semplificazioni normative, maggiore armonizzazione, abbattimento delle barriere nazionali, realizzazione di un mercato dei capitali più integrato, supporto all’innovazione. Le regole esistenti – spesso lente – devono essere adattate agli scenari globali in rapido cambiamento. -
Minore frammentazione politico-istituzionale
Draghi invoca forme di coordinamento più strette tra paesi membri, cooperative rafforzate, che permettano decisioni più rapide, più incisive. L’Unione non può restare a metà tra sovranità nazionale pura e obblighi europei vaghi: serve chiarezza su dove intervenire assieme, come un blocco coeso.
Le risposte da Bruxelles e il vuoto tra proposte e attuazione
Ursula von der Leyen ha risposto ribadendo che la Commissione conosce la gravità della situazione. Ha ammesso che “la routine non basta più”, che ciò che serve è “unità”, “ambizione”, “urgenza”. Ha ricordato alcune iniziative avviate: semplificazione normativa (burocrazia), Clean Industrial Deal, politiche per attrarre talenti (Choose Europe), lavori su risparmio, difesa, transizione energetica.
Ma la questione essenziale – evidenziata da Draghi – è quella del gap tra ciò che viene promesso e ciò che viene realizzato.
Un anno dopo il rapporto: cosa è successo
Ricordiamo i punti fondamentali del Rapporto sulla competitività pubblicato da Draghi (settembre 2024):
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Un volume consistente di raccomandazioni (oltre 380) per rilanciare l’Europa.
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Un calcolo che il blocco necessiti di investimenti annuali molto superiori agli attuali per evitare declino economico. Sono emerse cifre attorno a 750-800 miliardi di euro l’anno in investimenti strutturali.
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Il richiamo ad accettare una maggiore integrazione europea, anche tramite strumenti finanziari comuni, maggiore coordinamento fiscale, politiche industriali e difensiva condivisa.
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La richiesta che settori strategici, come l’energia, le tecnologie digitali e l’industria pesante, fossero ribaltati dalla mera logica della competizione nazionale verso collaborazioni migliori a livello europeo.
Nell’anno che è trascorso, alcune iniziative sono state avviate, ma i risultati restano limitati:
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Progetti pilota su AI e infrastrutture digitali.
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Sforzi su regolamentazione e standard europei.
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Alcune misure per contrastare i prezzi dell’energia e per attenuare le dipendenze esterne.
Ma, secondo Draghi, poco o niente è cambiato rispetto agli elementi strutturali che frenano la risposta europea veloce e forte: la frammentazione normativa, la debolezza della governance condivisa, la riluttanza ad adottare strumenti finanziari comuni.
I precedenti: quando l’Europa ha inciampato
Per comprendere meglio la gravità del momento, vale la pena ricordare alcune tappe recenti:
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Crisi Covid-19: l’UE ha mostrato capacità di reazione ma anche lentezza nella distribuzione vaccini, dipendenze esterne dai fornitori extra-UE, disparità tra stati membri.
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Guerra in Ucraina: ha evidenziato la vulnerabilità dell’Europa in termini di dipendenza energetica, capacità difensiva, approvvigionamenti industriali.
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Guerra commerciale globale: dazi statunitensi, pressioni per reshoring, concorrenza cinese sempre più aggressiva in tecnologie chiave.
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Rapporti economici con la Cina e le catene globali del valore: l’Europa è spesso spettatrice nelle dinamiche che stanno rimodellando la produzione tecnologica mondiale e il commercio.
Tutte queste crisi hanno mostrato che per rispondere con efficacia, l’Unione ha bisogno di strumenti comuni, decisioni coordinate e risorse adeguate. Il Rapporto Draghi, in tal senso, non era un manifesto astratto, ma la somma anche di queste lezioni.
Le sfide per realizzare il cambiamento
Attuare le raccomandazioni di Draghi non è semplicemente questione tecnica, ma richiede superare ostacoli politici, culturali, istituzionali.
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Resistenze nazionali
Alcuni paesi membri temono che maggiore integrazione significhi perdita di autonomia fiscale, interventi vincolanti dall’Unione, debito comune che graverebbe sui bilanci nazionali. -
Divergenze economiche e sociali tra stati membri
Europa non è monolitica: differenze di produttività, livelli di debito, capacità industriale, Mercati del lavoro che reagiscono diversamente. Ciò rende complicata l’adozione di politiche uniformi. -
Finanziamento
Dove trovare le risorse? Debito comune? Nuovo bilancio europeo? Canali privati e investimenti esteri? Serve una strategia su più fronti. -
Governance europea ed efficacia delle istituzioni
Troppi passaggi burocratici, molti organi coinvolti, tempi elettorali nazionali che condizionano le decisioni continentali. Per Draghi, è urgente che l’UE agisca come se fosse un solo grande attore, con maggiore responsabilità comune. -
Affrontare la geopolitica esterna
L’Europa deve contendere con Stati Uniti e Cina non solo sul piano economico, ma su quello tecnologico, dei dazi, della supply chain, della difesa. In questo confronto, l’inerzia cieca diventa debolezza strategica.
I settori su cui Draghi punta
Nel suo discorso e nel rapporto, alcuni settori sono evidenziati come decisivi:
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Intelligenza artificiale e tecnologie digitali: Europa deve recuperare terreno, sviluppare modelli fondamentali, favorire la ricerca e la diffusione.
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Energia: ridurre costi, diversificare fornitori, rafforzare le infrastrutture per garantire sicurezza energetica ed efficienza.
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Difesa: non solamente spesa militare, ma cooperazione strutturata per capacità comuni, produzione congiunta, riduzione delle dipendenze strategiche.
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Mercato interno e regolamentazione: armonizzare norme, standard, abbattere barriere nazionali e burocratiche, rendere più fluido il mercato dei capitali.
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Sostenibilità e transizione ecologica: non sono solo obblighi ferroviari o regulatory, ma opportunità industriali, di innovazione, di leadership globale.
Quali scenari per il medio termine
Se l’Europa seguirà la direzione che Draghi indica, alcuni scenari appaiono plausibili:
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Scenario positivo: riforme accelerate, investimenti comuni, maggiore integrazione fiscale e industriale. L’UE riesce a rafforzare la sua posizione globale, attirare talenti, essere protagonista su AI, green economy, energia pulita.
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Scenario intermedio: qualche passo avanti, misure spot importanti, ma ancora frammentazione, lentezza che resta un freno. Alcune nazioni più preparate e motivate fanno progressi, ma il divario con gli Stati Uniti e la Cina resta forte.
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Scenario negativo: continua incapacità decisionale, frammentazione profonda, erosione della sovranità effettiva, Europa sempre più dipendente sul piano tecnologico, industriale e geopolitico. Rischio di marginalizzazione globale.
Il prezzo dell’inazione
Draghi non parla solo di numeri; parla di che cosa si perde se non si corre ai ripari:
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Sovranità industriale: rilocazione produttiva, dipendenza da input tecnologici esterni, perdita di competitività nei settori strategici.
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Sovranità regolatoria: impossibilità di imporre standard globali (privacy, algoritmo, AI) senza essere per ultimi nelle definizioni.
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Sovranità economica: bilanci nazionali sotto pressione; se la crescita rallenta, il debito aumenta; se le entrate non crescono, i margini per le politiche pubbliche si riducono.
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Competitività sociale: perdita di consensi politici, sfiducia istituzionale, nazionalismi, crescita economica squilibrata che può alimentare diseguaglianza.
Mario Draghi con il suo recente intervento rilancia una sfida che rimane centrale: se l’Europa vuole restare protagonista in un mondo che cambia rapidamente, non può più accontentarsi di buone intenzioni o piani a medio termine. Serve concretezza, serve decisione, serve velocità. Serve un’Europa che agisca non solo come un’Unione di paesi, ma come un blocco coeso in grado di difendere la propria economia, la propria innovazione, la propria libertà di scelta.
Il tempo, ha avvertito Draghi, non è dalla parte dell’Unione. E l’inazione, oltre che un rischio economico, diventa un rischio di identità, di autonomia, di sovranità.
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