Fichi d’India: quando l’abbondanza diventa svantaggio

Prezzi in caduta libera (-12,3%), agricoltori in allarme
Nel pieno della stagione, il fico d’India paga il prezzo dell’eccesso: buona produzione e offerta elevata fanno crollare il valore ai mercati all’ingrosso, ma dietro al calo del 12,3% non c’è solo la stagionalità. Scarsa domanda, costi crescenti, effetto cambiamenti climatici e distribuzione inefficienti mettono in crisi imprese e produttori.
Il dato che scuote la stagione
Secondo gli ultimi rilevamenti della Borsa della Spesa, il prezzo dei fichi d’India all’ingrosso è calato del 12,3% rispetto al periodo immediatamente precedente, nonostante siamo in piena stagione produttiva. Il frutto, da molti percepito come “di nicchia” ma ormai entrato nei consumi diffusivi, vede oggi quotazioni che oscillano intorno a 0,58 €/kg (dato rilevato per il 1° settembre 2025) per l’offerta italiana nei mercati all’ingrosso, secondo i dati di Ismea-Mercati.
Questo calo, apparentemente brusco, è il sintomo di dinamiche complesse che coinvolgono non solo la produzione ma anche il trasporto, la distribuzione e i comportamenti dei consumatori.
Le stagioni che hanno plasmato il mercato
Per capire cosa sta succedendo oggi occorre tornare indietro di qualche anno:
Già precedentemente si segnalava che dopo un inizio di stagione brillante, con i primi frutti che arrivavano in nuovi mercati e in anteprima, il ficodindia perdeva “slancio” al passare di Ferragosto, quando l’offerta cominciava a stabilizzarsi. Nel tempo, dopo la primizia, il prezzo tende a ridursi.
In regioni come Sicilia e Sardegna, tradizionali aree di produzione, si sono sperimentate colture più razionali, varietà diverse e tecniche di raccolta per allungare la disponibilità di prodotto. In Sardegna, ad esempio, ci sono conferitori che stanno investendo in metodi che permetterebbero fruttificazioni più continue, pur con limiti climatici e tecnici.
Le campagne produttive del fico d’India sono state via via colpite da eventi climatici estremi: siccità, temperature alte, piogge irregolari. In certi casi, danni alle colture hanno ridotto la qualità dei frutti, spingendo verso scelte più conservative degli agricoltori nella raccolta. Allo stesso tempo, alcune zone hanno avuto rese elevate ma con costi crescenti (energia per irrigazione, manodopera, protezione contro parassiti).
Le cause del calo
Il -12,3% non è un numero isolato. È il risultato di una combinazione di fattori:
Offerta abbondante
Quando il prodotto è maturo, disponibile in grandi volumi, l’offerta supera la domanda, soprattutto locale. I mercati grossisti ne risentono particolarmente: più frutti ci sono, più basso diventa il prezzo.
Domanda debole
Nonostante il fico d’India stia guadagnando visibilità nei consumi per i suoi valori nutrizionali, la domanda non cresce in misura tale da assorbire aumenti significativi di produzione. Inoltre, molti consumatori restano frenati dal costo di lavoro per la pulitura (rimuovere le spine), dal fatto che è un prodotto stagionale e dal poco uso nella cucina quotidiana rispetto ad altri frutti.
Costi di produzione elevati
Energia, trasporto, imballaggi, manodopera: tutto è aumentato, e in modo non uniforme. Per molti produttori, specialmente piccoli, il costo per raccogliere, selezionare, confezionare è significativo. Il margine tra costo e prezzo di mercato si assottiglia nel pieno della stagione.
Distribuzione e logistica inefficiente
Molti frutti devono muoversi da aree montane, collinari, insulari verso mercati lontani. Ogni passaggio aggiuntivo incide sul prezzo che arriva al consumatore finale, ma soprattutto sulle rese nette per il produttore.
Effetti climatici e variazioni qualitative
Temperature altissime, stress idrico, piogge intense improvvise danneggiano la buccia, la polpa o rendono il frutto meno attraente per il mercato. Alcune zone raccolgono frutti meno omogenei o con difetti, che non raggiungono i prezzi migliori, e finiscono per abbassare la media.
I numeri chiave
Prezzo all’ingrosso (Ismea-Mercati, 1 settembre 2025) ~ 0,58 €/kg riferimento per produzione locale italiana.
Variazione rispetto all’anno precedente (basata sulle medie stagionali) In alcuni casi attorno a +9-10% in primavera/inizio stagione; ma poi forte discesa nel pieno della stagione. I picchi iniziali premiano le primizie.
Resa in Sardegna (produzioni sperimentali) fino a 250 quintali per ettaro; piante con rese fino a 500 frutti per pianta nelle zone migliori quando le condizioni pedoclimatiche sono favorevoli.
Varietà Bianca, rossa, gialla (le varietà) Differenze qualitative incidono sul prezzo: colore, dolcezza, omogeneità.
Chi produce e dove
I principali luoghi di produzione in Italia sono:
Sicilia: da sempre la terra del fico d’India, particolarmente nelle province di Catania, Siracusa, Agrigento, Ragusa. Qui resistono sia produttori piccoli che imprese commerciali.
Sardegna: aree emergenti, con investimenti in tecnica e varietà. Alcune coltivazioni si stanno espandendo, pur non ancora con la capacità di Germania o altri mercati europei.
Altre regioni mediterranee con tradizione (Calabria, Puglia, Basilicata) che coltivano il fico d’India, ma in misura minore, spesso per uso locale.
Produttori intervistati (in passato) segnalano che la primizia (i primi frutti, raccolti appena maturi) ha valore maggiore, consentendo prezzi migliori, ma il grosso della produzione si colloca nel periodo di abbondanza, quando il mercato è saturo.
Reazioni, criticità e proteste
Agricoltori, cooperative, consorzi hanno fatto sapere che un calo così marcato mette in difficoltà i bilanci aziendali:
Alcuni produttori lamentano che i prezzi non coprano i costi vivi: la manodopera, la raccolta, la selezione, l’imballaggio spesso pesano più del ricavo per kg.
C’è pressione normativa su standard di qualità, sulla sicurezza alimentare e sulle certificazioni (varietà, origine, pesticidi), che aumentano i costi.
Distribuzione organizzata (supermercati, mercati della Gdo) richiede packaging, etichette, che incidono ulteriormente.
Le proteste, nelle zone più colpite, puntano su richieste concrete: contributi regionali o nazionali per sostenere costi di produzione; miglioramento della filiera cold-chain (no freddo, trasporti, logistica); promozione del prodotto per ampliare la domanda al di là del circuito locale.
Cosa cambiare per stabilizzare il mercato
Per affrontare la volatilità e mitigare il rischio che il calo del prezzo si traduca in crisi aziendale, ecco alcuni possibili interventi:
Migliore pianificazione produttiva
Coltivazioni che prevedono raccolte graduali, scelta di varietà con tempi di maturazione scala, modelli agronomici che permettano diversificazione per evitare picchi di offerta tutti assieme.
Investimento nella qualità
Varietà più pregiate (colore, dolcezza, omogeneità, meno spine), confezionamenti curati, certificazioni territoriali o DOP, che permettano di distinguersi nei mercati premium.
Trasformazione e valorizzazione locale
Produzione di succhi, confetture, liquori, prodotti trasformati (marmellate, gelati, dessert) che possano assorbire il prodotto “di meno pregio” o non perfetto per il mercato fresco.
Filiera logistica efficiente
Uso del freddo, raccolta al momento giusto, trasporto più rapido, minori passaggi intermedi, organizzazioni degli agricoltori per dare massa critica.
Politiche pubbliche di supporto
Incentivi per agricoltura nei cambiamenti climatici, per irrigazione, per produzione sostenibile.
Sostegni diretti nei momenti in cui il prezzo cade sotto la soglia minima che copre i costi di produzione.
Promozione del prodotto tramite campagne nazionali e internazionali, turismo, valorizzazione del territorio (il fico d’India come simbolo culturale, gastronomico).
Confronto internazionale
Altri Paesi che producono fichi d’India o “tunas” (come vengono chiamati in America Latina) stanno affrontando fenomeni simili:
Prezzi che variano molto secondo la stagione, fra abbondanza locale e importazioni.
Differenziazione di varietà, con varietà “premium” vendute meglio all’estero.
Trasformazione come via per stabilizzazione: succhi, gelati, prodotti derivati.
In Spagna, ad esempio, dove la produzione è minore, il frutto esotico viene spesso considerato specialità e ha premium price, ma anche lì l’eccesso di offerta locale in stagione abbonda comporta ribassi.
Cosa significa per il consumatore
Per la famiglia media, il calo dei prezzi può significare che il fico d’India (quando di stagione) diventa più accessibile, e questo è un lato positivo: frutta fresca, salutare, con sapore esotico ma naturale.
Ma chi guarda solo al prezzo basso deve sapere che dietro ci possono essere compromessi: frutti con meno dolcezza, meno uniformi, magari raccolti troppo presto o non selezionati bene. E la qualità può risentirne.
I fichi d’India oggi si trovano in una fase delicata: mentre l’abbondanza potrebbe suggerire prosperità, il contrario è vero per molti produttori. Il calo di prezzo attuale -12,3% è una sveglia: non basta produrre molto, bisogna produrre bene, districarsi nella logistica, nella trasformazione, nella valorizzazione del prodotto, per non restare schiacciati tra costi elevati e ricavi insufficenti.
Il mercato del fico d’India, con le sue potenzialità agronomiche e culturali, rimane ricco di opportunità; ma solo chi saprà investire in qualità, in filiera e in organizzazione potrà trarre vantaggio, mentre gli altri rischiano che la stagione “di massa” diventi una stagione di perdita.
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