12:55 am, 14 Settembre 25 calendario

“I rivoluzionari sono stati i capitalisti”: Massimo Cacciari scuote la Festa dell’Unità

Di: Redazione Metrotoday
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Alla Festa nazionale dell’Unità, il filosofo Massimo Cacciari lancia una frase che già è diventata virale: “Noi di sinistra? Conservatori. I rivoluzionari sono stati i capitalisti”. Parole precise, scelte col coltello, destinate a provocare – e in effetti provocano – dibattito. Ma che cosa intende davvero Cacciari, quale critica muove, e quali implicazioni politiche, culturali e storiche si possono trarre da questa rottura di registro dentro il lessico stesso della sinistra? Questo articolo cerca di ricostruire il contesto, di interpretare la proposta, di guardare alle reazioni e di riflettere su quanto questa affermazione dischiuda nuovi scenari per la sinistra italiana.

L’occasione e le parole

La Festa dell’Unità a Reggio Emilia ha uno spazio simbolico: luogo storico della cultura politica di sinistra, delle sue cerimonie, delle sue aperture e chiusure, delle sue mutazioni. È lì che Massimo Cacciari, dialogando con Gianni Cuperlo, riflette pubblicamente su guerre, economia, ruolo della politica contemporanea, ideologie sopite, identità perdute.

Nel corso del dibattito, Cacciari pronuncia una frase netta: “I rivoluzionari sono stati i capitalisti”. Non un gioco retorico superficiale, ma un’affermazione che mette in parallelo due categorie che spesso vengono considerate antitetiche: “sinistra/rivoluzionari” da un lato, “capitalisti” dall’altro.

E aggiunge: chi oggi si definisce di sinistra, secondo lui, è in gran parte conservatore. Conservatore non nel senso classico del termine (difensore dello status quo), ma come scarsa volontà di rottura, come incapacità di immaginare cambi radicali, come debolezza nel pensiero strategico, come aderenza a istituzioni, consuetudini, forme non trasformative.

Che cosa vuol dire “capitalisti rivoluzionari”

L’idea di Cacciari si poggia su una provocazione teorica: se guardiamo alla storia, i capitalisti — imprenditori, mercati, classi dirigenti del capitale — sono stati quelli che hanno introdotto le trasformazioni più radicali nel mondo produttivo, sociale, tecnologico. E lo hanno fatto non tanto per spirito utopico o sociale, quanto per profitto, competizione, necessità di innovare. Cambiamenti tecnici, organizzativi, innovazione, discontinuità — che hanno rivoluzionato secoli di ordine precedente — sono stati spesso portati da soggetti capitalistici.

Cacciari suggerisce che la sinistra, al contrario, si è progressivamente institutionalizzata, arroccata su forme di tutela, difesa, distribuzione, moderazione. Ha abbandonato (o messo in pausa) la spinta al rinnovamento radicale, al mutamento strutturale, alla trasformazione profonda. Così, il capitale si è fatto rivoluzionario nei fatti, mentre la sinistra è diventata conservatrice nella forma, nell’orizzonte dell’azione.

Origini, riferimenti storici e paralleli culturali

Per capire meglio, è utile collocare la riflessione di Cacciari nel più ampio panorama teorico‑storico:

    La sinistra, dalla rivoluzione all’organizzazione

    Nei decenni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, nel contesto europeo e italiano, la sinistra si è trasformata da movimento rivoluzionario a partito istituzionale, da rottura a gestione del cambiamento, da antagonismo a partecipazione di governo. Con la crisi ideologica, con la fine del blocco sovietico, con l’entrata nel mercato globale, il pensiero politico di sinistra ha progressivamente incorporato pratiche che ne attenuano il carattere radicale.

    Il capitale come motore della trasformazione tecnica

    Industrializzazione, globalizzazione, trasformazioni tecnologiche, innovazione digitale sono stati per lo più promossi e accelerati dall’energia del capitale: investimenti, competizione, ricerca di rendimento, sfruttamento, colonialismi, capitalismo finanziario. Il cambiamento di paradigma produttivo, le rivoluzioni agricole, la macchina a vapore, la rivoluzione industriale: in tutto questo il capitale ha avuto un ruolo centrale.

    Critica della sinistra liberale / socialdemocratica

    Cacciari si inserisce in una linea critica che accusa la sinistra moderna di essersi accontentata: di protezione sociale, di redistribuzione, di welfare, ma di aver perso il polso dell’innovazione politica, del conflitto sociale, del progetto utopico. In Italia come in Europa, questo è un tema ricorrente: sinistra “senza principi”, sinistra “amministratrice” che manca di visione, di valore identitario, di strategia a lungo termine.

    Paralleli teorici con Marx, Schumpeter, Gramsci

    Ci sono richiami impliciti: alla visione di Marx sul capitalismo come sistema dinamico, produttivo ma conflittuale; a Schumpeter con la distruzione creatrice (l’innovazione capitalistica che distrugge vecchie industrie); a Gramsci con la questione dell’egemonia culturale, dell’intellettuale organico, della trasformazione culturale che precede quella economica.

Reazioni e commenti

La frase di Cacciari non è piaciuta a tutti. Diversi commentatori, politici, intellettuali hanno risposto, in parte difendendo, in parte contestando.

    Alcuni vedono l’affermazione come utile per scuotere le coscienze di una sinistra che appare “impantanata”: serve, dicono, un risveglio ideologico, una riflessione sulle priorità, una proposta forte di cambiamento che non si limiti al regolamento o al welfare, ma guardi a strutture, potere economico, rapporti di forza globali.

    Altri criticano la visione perché rischia di semplificare troppo, di idealizzare il soggetto “capitalista” e di ignorare le disuguaglianze, gli abusi, la concentrazione del potere. Dire che i capitalisti sono stati “rivoluzionari” non significa che abbiano operato moralmente o garantito giustizia. C’è una distinzione tra innovazione tecnica e progresso sociale, e molti sostengono che la sinistra abbia un valore diverso, che non si misura solo nella rottura, ma anche nella tutela, nella solidarietà, nell’umanità.

    Altri ancora ritengono che la frase riapra tensioni storiche: il tema della lotta di classe, del conflitto capitale/lavoro, dell’analisi critica del capitalismo, vengono spesso messi da parte nella sinistra contemporanea, che appare più pragmatica, elettoralista, attenta a ciò che appare realizzabile nel breve termine, meno visionaria.

Criticità della tesi di Cacciari

Non mancano debolezze o elementi su cui interrogarsi con cautela.

    “Rivoluzionario” come categoria sfuggente

    Cosa significa “rivoluzionario”? Cambiare l’ordine economico? Sovvertire il potere? Innovare tecnicamente? Il capitale ha spesso innovato ma senza sempre produrre giustizia sociale, equità, democrazia. Rivoluzione non è solo cambiamento, ma cambiamento con quale direzione, con quale bene comune.

    Ignorare le conseguenze negative

    Spesso i capitalisti hanno promosso innovazioni che hanno comportato espropriazioni, disuguaglianze, colonialismo, sfruttamento. Chiamarle “rivoluzionarie” rischia di occultare le costi umani e ambientali dei processi capitalistici.

    La sinistra ha anch’essa prodotto rivoluzioni

    Rivoluzioni culturali, rivoluzioni politiche (diritti civili, femminismo, ecologia, diritti dei lavoratori), rivoluzioni pacifiche: molti progressi sociali non sono venuti dal capitale ma da lotte popolari, sindacali, politiche che hanno costretto il cambiamento. Dimenticare questi elementi impoverisce la comprensione storica.

    Rischio del nichilismo politico o del pessimismo

    Se “la sinistra” è definita solo per ciò che non è più, se l’appello è solo a denunciare e non a costruire, si rischia che il discorso resti vuoto, che manchi una proposta alternativo concreta, che si alimenti solo frustrazione o conflittualità fine a se stessa.

Che sinistra serve oggi?

Tra le critiche e i consensi, emergono alcune idee che appaiono come possibili fili da seguire per chi vuole dare corpo a una sinistra che non sia solo conservatrice:

    Visione strategica di lungo termine: più attenzione non solo alle emergenze, ma alle strutture. Impatto tecnologico, cambiamento climatico, disuguaglianze che aumentano, trasformazioni del lavoro: serve una sinistra che abbia idee su chi sarà il soggetto politico nei prossimi decenni, su come governare transizioni, non solo su come gestire il presente.

    Rinnovamento culturale e intellettuale: per Cacciari la sinistra ha perso molto del suo capitale morale, della sua capacità di pensare, di anticipare, di riflettere. Serve non solo militare partitico, ma pensiero critico, filosofi, teorici, città, università, mondo della cultura che tornino protagonisti.

    Alternativa concreta: non basta attaccare il capitalismo definendolo rivoluzionario. Serve individuare alternative, modelli economici e sociali che possano funzionare, che siano fatti di giustizia sociale, sostenibilità, decommodificazione, cooperazione, equità.

    Relazioni internazionali e geopolitica: la sinistra oggi deve anche confrontarsi con il fatto che il capitalismo non è solo un attore economico, ma un sistema globale che coopera e confligge con Stati, potere sovranazionale, mercati internazionali. Le sue sfide non sono solo interne al paese, ma connesse al cambiamento climatico, alla migrazione, alla guerra, alla tecnologia.

    Ripensamento della tradizione politica: recuperare memorie, ma anche rileggere la storia con occhi nuovi: non solo come racconto di oppressione vs liberazione, ma come intreccio di trasformazioni, errori, speranze fallite e rinascite.

Implicazioni politiche immediate

    La frase di Cacciari coinvolge in primis il Partito Democratico e le forze progressiste: saranno spinte a interrogarsi su che tipo di sinistra intendono rappresentare, su quanto siano radicate nel cambiamento, su quanto siano capaci di innovare strategicamente.

    In vista delle elezioni, delle sfide sociali ed economiche, del malumore diffuso (costi dell’energia, precarietà, disuguaglianze, crisi climatica) la sinistra può guadagnare credibilità se riesce a proporre non solo reazioni ma progetti radicali. Altrimenti rischia di continuare a perdere terreno rispetto alla destra o a movimenti populisti, che spesso sfruttano proprio la narrazione del cambiamento.

    Dovrà emergere un confronto interno: tra chi pensa la sinistra come gestione di equilibri, compromessi, tutela, e chi la pensa come forza antagonista, di trasformazione, capace di rotture visibili, seppur nobili solo se sostenibili.

Una provocazione che può diventare proposta

La tesi di Cacciari non è comoda, non è riconciliabile facilmente con le identità della sinistra com’è oggi. Ma è utile: serve a mettere in discussione certezze, ruoli, retoriche, abitudini. Serve a spingere il dibattito non su cosa la sinistra è stata, ma su cosa può essere.

Se la sinistra riesce a farsi “rivoluzionaria” nei termini di Cacciari — non con la mera rabbia, non con la pura opposizione, ma con visione, capacità di progetto, innovazione istituzionale, cultura del conflitto ma anche della costruzione — allora la frase può diventare non solo provocazione, ma punto di partenza. Altrimenti, rischia solo di restare titolo di giornale, applauso di intellettuali, dissipazione nel rumore.

14 Settembre 2025 ( modificato il 13 Settembre 2025 | 1:02 )
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