Rui-katsu: quando piangere diventa arte, rito e sollievo

Una nuova frontiera della salute emotiva giapponese, che supera il tabù della lacrima. Dai “maestri del pianto” ai locali dove si versa un sospiro, fino ai rischi e alle opportunità di questo trend che sta attraversando anche l’Occidente.
In Giappone — dove il controllo interiore è parte integrante della cultura quotidiana — nasce una pratica che spinge le persone a piangere, insieme, consapevolmente. È il rui-katsu: non solo un fenomeno di costume, ma una risposta concreta a un disagio emotivo collettivo.
Che cos’è il rui-katsu
Il termine rui-katsu (涙活, lett. “attività/ricerca delle lacrime”) indica un insieme di pratiche pensate per stimolare il pianto come esperienza liberatoria. Non si tratta semplicemente di piangere quando capita, ma di sessioni guidate, individuali o collettive, volte a risvegliare emozioni represse — attraverso film, video, musica, parole — e favorire così un rilascio emotivo.
Origini e diffusione
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L’idea è nata nella prima metà degli anni 2010 per mano di Hiroki Terai, imprenditore e ideatore di vari servizi a sfondo emotivo/sociale. Terai ha organizzato inizialmente cerimonie di divorzio rituali, dove il distacco era accompagnato da momenti simbolici e lacrime, aiutando le persone a chiudere quei capitoli della vita in modo più completo.
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Dal 2013 Terai ha iniziato a proporre eventi di rui-katsu veri e propri, con un numero crescente di partecipanti.
Come si pratica
Alcune modalità per vivere rui-katsu:
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Sessioni collettive: gruppi che si riuniscono per guardare contenuti emotivamente intensi (film, video, documentari) che stimolano il pianto, seguite da momenti di condivisione silenziosa o guidata.
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Individuazione/affitto di un “supporto emotivo”: figure come gli Ikemeso Danshi (“ragazzi che aiutano a piangere”) che accompagnano la persona, talvolta con presenza fisica, conforto, asciugatura delle lacrime, o semplicemente partecipando al rituale emotivo.
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Luoghi dedicati: crying cafés, stanze del pianto in hotel, spazi riservati per chi vuole sfogarsi senza giudizio. Ambienti progettati con luci soffuse, musica, fazzoletti, comodità fisiche per favorire il rilassamento emotivo.
Il tabù da cui nasce
Per capire perché il rui-katsu è nato solo ora — o meglio, è tornato con forza — bisogna guardare al contesto culturale giapponese:
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La cultura del gaman: la resistenza stoica al dolore, la sopportazione delle difficoltà senza mostrarle, è un valore molto forte. Mostrare emozioni forti, specie il pianto, può essere percepito come perdita di dignità o debolezza.
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Pressione lavorativa ed economica: lunghe ore, aspettative elevate e un sistema che spesso premia la silenziosa accettazione anziché la condivisione emotiva.
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Carico emozionale privato: tra isolamento, ruoli di genere, aspettative sociali che impediscono l’espressione autentica.
Profili dei protagonisti
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Hiroki Terai: imprenditore e “divorce planner”, autore di iniziative che trasformano momenti forti della vita (separazioni, lutti, fallimenti) in rituali emotivi. I suoi eventi di rui-katsu sono fra i più noti e citati.
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Namida Sensei (letteralmente “professore delle lacrime”): figure che conducono lezioni, corsi o sessioni specifiche per aiutare le persone a piangere, spesso usate dalle aziende per ridurre lo stress o incentivare la coesione emotiva.
Storie, testimonianze, numeri
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Quanti partecipanti: Terai dichiara di aver aiutato decine di migliaia di persone attraverso le sue sessioni.
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Ambienti aziendali: alcune aziende assumono gli Ikemeso per venire negli uffici, far guardare video emotivi ai dipendenti, e condurre sessioni di pianto collettivo. Ci sono casi in cui queste pratiche hanno migliorato l’umore percepito tra i lavoratori.
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Crying cafés: Bar Mori Ouchi a Tokyo è citato spesso come esempio. Un locale che accoglie “persone negative” o che vogliono sfogarsi, dove non è richiesto di sorridere. Anche gli hotel con stanze speciali per piangere sono parte del fenomeno.
Benefici e possibili critiche
Benefici segnalati
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Sollievo emotivo: scaricare tristezza, stress, ansia attraverso il pianto allevia tensioni interiori.
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Riscoperta di sé: la pratica aiuta alcune persone a riconnettersi con sentimenti che erano stati repressi o ignorati.
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Maggiore empatia e coesione nei gruppi: condividere momenti emotivi può rompere barriere, creare un senso di comunità.
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Potenziale impatto positivo sulla salute: liberazione di ormoni del benessere, riduzione del carico di stress, miglioramento dell’umore.
Critiche e rischi
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Effetto superficiale: c’è chi sostiene che il rui-katsu sia un trend mediatico più che una terapia solida, che tratta solo la superficie del disagio emotivo senza affrontare radici profonde (traumi, problemi psicologici).
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Possibile dipendenza dal rituale: se una persona si abitua a passare da questi eventi come unica modalità per “star meglio”, potrebbe non sviluppare strategie personali sostenibili.
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Costi economici: alcune sessioni o stanze costano cifre significative, non accessibili a tutti.
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Normativa e professionalità: non sempre chi guida queste sessioni è uno psicologo o terapeuta; la distinzione fra intrattenimento, “benessere” e salute mentale può diventare sfumata.
Rui-katsu e salute mentale: cosa dice la ricerca
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Studi internazionali mostrano che il pianto può aumentare la produzione di endorfine e abbassare gli ormoni dello stress.
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Un’indagine su 37 nazionalità ha rilevato che i giapponesi sono fra i popoli che piangono meno frequentemente, forse a causa di fattori culturali che inibiscono l’espressione emotiva.
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Non ci sono però, al momento, molti studi clinici controllati sul rui-katsu in sé come terapia riconosciuta: la maggior parte delle evidenze sono testimonianze, articoli giornalistici, interviste.
Confronto con fenomeni analoghi in altri paesi
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Terapie del pianto o gruppi emotivi esistono in Occidente, ma con modalità diverse: gruppi di supporto, psicoterapia di gruppo, “sharing circles” etc.
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I crying cafés non sono ancora molto diffusi nel resto del mondo, ma sono comparsi spunti simili: locali dove si incoraggia l’espressione emotiva, eventi “feelings nights” etc.
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Il fenomeno del “pianto come bene di consumo” — pagare per versare lacrime — rimane piuttosto innovativo e ancora poco conosciuto fuori dal Giappone.
10. Scenario futuro: verso un’export emotiva?
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Interesse crescente in Europa: già ci sono locali in Spagna che prendono spunto dal crying café giapponese. Possibili adattamenti: modelli che integrano la figura professionale (psicologi, counselor), norme per garantire sicurezza emotiva, spazi pubblici dedicati.
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Sfida culturale: in molti Paesi lo stigma sulla manifestazione delle emozioni rimane forte, quindi l’adozione del rui-katsu richiede un cambiamento culturale significativo.
Impatto sociale e culturale
L’adozione del rui-katsu riflette mutamenti profondi: dal mondo del lavoro sempre più “connected” ma emotivamente distante, alla necessità di nuovi rituali che aiutino a elaborare stress, lutti invisibili, solitudine. Il pianto, tradizionalmente privato, diventa pubblico o almeno condiviso.
In Giappone, specie tra le donne, ma non solo, si percepisce un bisogno di spazi dove essere fragili senza giudizio. La società sta lentamente aprendo, seppur con resistenze, all’idea che le emozioni non siano segno di debolezza bensì di umanità.
Il rui-katsu non è un mero fenomeno di moda: è un tentativo collettivo di restituire dignità alle emozioni. Le sue modalità, la sua diffusione e le reazioni che suscita mostrano che stiamo vivendo una controtendenza rispetto all’iperproduttività, al controllo interiore, al silenzio emotivo.
Domande aperte restano: quanto può diventare una “norma” pubblica senza perdere profondità? Come garantire che chi guida queste sessioni abbia competenze psicologiche adeguate? Potrà essere uno strumento efficace preventivo per il benessere mentale, oppure rischia di restare un rituale simbolico per pochi?
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