Banksy colpisce ancora con un murale che scuote Londra

Lunedì scorso Londra si è svegliata con una nuova opera di Banksy. Sul lato dei maestosi Royal Courts of Justice, lungo lo Strand, è comparso un murale destinato a suscitare discussioni, polemiche e – come spesso accade quando l’artista interviene su edifici iconici – un’immediata corsa alla rimozione.
La scena raffigurata non lascia spazio a interpretazioni accomodanti: un giudice in toga e parrucca colpisce con il martelletto un manifestante steso a terra, che a sua volta stringe un cartello imbrattato da una macchia rossa, un evidente rimando al sangue. Un’immagine cruda, diretta, che sposta il linguaggio dell’arte sul terreno della denuncia civile.
Il contesto politico e sociale
L’apparizione non avviene in un momento qualsiasi. Pochi giorni prima, Londra era stata teatro di una delle più grandi ondate di arresti degli ultimi anni: centinaia di attivisti erano stati fermati per aver preso parte a una manifestazione contro il bando imposto all’organizzazione “Palestine Action”, accusata dal governo di legami con il terrorismo dopo un’incursione contro una base dell’aeronautica.
Le immagini delle cariche della polizia, delle manette scattate attorno ai polsi di ragazzi e ragazze in protesta, avevano già fatto discutere. Banksy ha scelto di immortalare, in forma allegorica, quel conflitto tra la piazza e le istituzioni, trasformando la figura austera del giudice in simbolo della repressione statale.
La reazione delle istituzioni
La risposta è stata immediata: il murale è stato coperto con teli neri e barriere metalliche, sorvegliato da agenti di sicurezza per impedire che fotografi e curiosi potessero immortalare l’opera ancora a cielo aperto. La motivazione ufficiale parla di tutela architettonica: i Royal Courts of Justice sono un edificio vittoriano di 143 anni, sottoposto a vincolo e quindi non “disponibile” a interventi pittorici, per quanto d’autore.
Tuttavia, dietro la prassi burocratica è difficile non leggere il disagio che l’opera ha suscitato. Perché Banksy non ha semplicemente abbellito un muro: ha puntato il dito contro il cuore stesso della giustizia britannica, scegliendo come tela il suo palazzo più iconico.
L’eredità della street art come atto politico
Non è la prima volta che Banksy utilizza l’arte urbana come arma politica. La sua carriera è disseminata di episodi in cui l’ironia visiva si fonde con la denuncia sociale. Dalla barriera di separazione in Cisgiordania, su cui ha dipinto aperture immaginarie verso paesaggi sereni, fino alle scritte contro la sorveglianza di massa a Londra, passando per murales comparsi in luoghi di conflitto o di protesta globale.
Ogni volta, il suo intervento è effimero ma dirompente: destinato a essere rimosso, coperto o vandalizzato, ma capace di sopravvivere nelle fotografie e nei dibattiti pubblici. È questo il paradosso della sua arte: la sua forza non sta nella durata, ma nell’impatto immediato.
Precedenti celebri
Il legame tra Banksy e le istituzioni non è mai stato semplice. Alcuni episodi rimasti nella memoria collettiva:
“One Nation Under CCTV”: un enorme murale comparso nel centro di Londra come critica alla sorveglianza di massa, rapidamente cancellato dalle autorità.
Il “Flower Thrower” a Betlemme: un manifestante che lancia un mazzo di fiori, simbolo della resistenza pacifica in un contesto di conflitto armato.
Marble Arch 2019: lo slogan “From this moment despair ends and tactics begin” durante le proteste di Extinction Rebellion, un messaggio alla città su come il cambiamento passi dall’azione collettiva.
La serie animalier del 2025: rinoceronti, pellicani, capre comparsi a Londra in un ciclo di murales che rifletteva sul rapporto tra uomo, ambiente e specie a rischio.
Ogni gesto, anche quando apparentemente leggero o poetico, contiene una presa di posizione netta contro le disuguaglianze, la guerra, le contraddizioni del potere.
Il peso del gesto artistico
L’opera alla Corte di Giustizia londinese va oltre l’ennesimo murale “a sorpresa”. È una dichiarazione di sfida a un sistema percepito come repressivo, che colpisce proprio chi si esprime, chi scende in piazza, chi contesta. Il giudice che diventa carnefice, il sangue che macchia la protesta, l’istituzione che, invece di garantire diritti, appare come strumento di oppressione: un messaggio che scuote la coscienza collettiva.
Molti osservatori hanno sottolineato come questa immagine arrivi in un momento cruciale per le libertà civili in Regno Unito. Tra leggi sempre più restrittive sulle manifestazioni, classificazioni di movimenti come “terroristici” e un clima politico teso, il murale diventa il ritratto visivo di un’epoca di contrasti.
Una battaglia per la memoria
Il destino dell’opera sembra già segnato: sarà rimossa, o forse restaurata in forma museale, staccata dal muro e conservata in qualche collezione. Ma la sua breve esistenza pubblica ha già compiuto lo scopo: attirare l’attenzione, costringere cittadini e istituzioni a fare i conti con la propria immagine riflessa.
E questo è forse il vero lascito di Banksy: la capacità di trasformare un muro in un editoriale, un’immagine in un atto politico, un graffito in una pagina di storia contemporanea.
Il nuovo murale davanti alla Corte di Giustizia londinese si inserisce in una lunga linea di interventi urbani che sfidano i poteri costituiti. È un’opera destinata a vivere poco sul muro, ma a lungo nelle coscienze. In tempi in cui il confine tra sicurezza e libertà si fa sempre più labile, Banksy ci ricorda che l’arte non è soltanto bellezza: è anche resistenza, scomoda, necessaria, urgente.
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