SCO 2025: quando un gesto diventa geopolitica

Modi e Putin mano nella mano a Tianjin, sotto lo sguardo di Xi: il simbolo di una nuova stagione multipolare
Il Summit dell’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (SCO), ospitato quest’anno a Tianjin, ha consegnato al mondo un’immagine destinata a restare negli archivi della diplomazia internazionale: il premier indiano Narendra Modi e il presidente russo Vladimir Putin che camminano mano nella mano, sorridenti, verso il presidente cinese Xi Jinping. Un gesto semplice, quasi spontaneo, ma capace di catalizzare l’attenzione mediatica più delle dichiarazioni ufficiali e dei comunicati finali.
La stretta di mano prolungata, trasformata in una camminata condivisa, ha assunto il valore di una dichiarazione politica: non si tratta soltanto di un atto di amicizia personale, ma della rappresentazione scenica di una convergenza strategica. In un momento in cui il sistema internazionale appare attraversato da tensioni crescenti, quella fotografia racconta molto più di mille parole.
La SCO come palcoscenico del “nuovo mondo”
Fondata nel 2001, l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai è nata inizialmente come forum regionale di sicurezza, con l’obiettivo di gestire le tensioni in Asia centrale. Col tempo si è trasformata in un contenitore geopolitico ed economico sempre più ambizioso, che oggi riunisce potenze come Cina, Russia, India, Pakistan, e diversi Paesi dell’Asia centrale e mediorientale.
Negli anni, la SCO si è affermata come uno strumento di proiezione del cosiddetto “Sud globale”: un laboratorio alternativo all’ordine mondiale dominato da Stati Uniti e alleati occidentali. Il vertice di Tianjin del 2025 segna un passaggio di qualità: non più solo cooperazione regionale, ma una piattaforma per rivendicare una leadership multipolare.
La regia, naturalmente, è in gran parte cinese. Xi Jinping ha trasformato la SCO in una vetrina per la sua idea di “nuovo ordine mondiale”, fondato sul rispetto delle sovranità nazionali, sul rifiuto delle ingerenze occidentali e su una più equa distribuzione del potere economico.
Modi e Putin: amicizia o strategia?
La camminata mano nella mano tra Modi e Putin non è soltanto un gesto di cordialità. L’India e la Russia condividono da decenni una “relazione speciale e privilegiata”, che affonda le radici nella Guerra Fredda e che si è rinnovata con forza negli ultimi anni.
Sul piano economico, la cooperazione è stata cementata dal petrolio. Dopo l’invasione russa dell’Ucraina e le conseguenti sanzioni occidentali, Nuova Delhi è diventata uno dei principali acquirenti di greggio russo, beneficiando di prezzi scontati che hanno garantito al Paese un vantaggio energetico significativo. Questa scelta ha irritato Washington e Bruxelles, ma ha consentito a Modi di rafforzare la sicurezza energetica indiana in una fase di grande volatilità dei mercati.
Non si tratta solo di energia. La Russia resta per l’India un fornitore fondamentale di armamenti, e la cooperazione tecnologica in ambito nucleare e spaziale continua a rappresentare un pilastro della relazione bilaterale.
Dal punto di vista politico, Putin vede nell’India un partner indispensabile per dimostrare che la Russia non è isolata. Modi, invece, utilizza la relazione con Mosca come leva per riaffermare l’autonomia strategica indiana: non allineata all’Occidente, ma nemmeno subordinata all’asse sino-russo.
Xi Jinping e il “drago-elefante”
Il terzo protagonista della scena di Tianjin è Xi Jinping. Il leader cinese ha osservato con compiacimento la stretta di mano tra Modi e Putin, interpretandola come un segnale favorevole alla propria strategia. Per Xi, la coesione tra Pechino, Mosca e Nuova Delhi è un tassello essenziale della sua visione di un mondo multipolare, capace di ridimensionare la centralità americana.
Nel suo discorso di apertura, Xi ha evocato la metafora del “drago e dell’elefante che camminano insieme”, riferendosi alla necessità di una cooperazione sincera tra Cina e India. Un messaggio che non nasconde però le tensioni irrisolte: i due Paesi hanno una lunga storia di rivalità, marcata da dispute territoriali e da episodi di scontro militare lungo i confini himalayani.
Tuttavia, la logica della realpolitik sembra prevalere. La Cina offre all’India opportunità commerciali e di investimento, mentre l’India rappresenta un contrappeso indispensabile per evitare che la SCO si trasformi in un mero strumento dell’egemonia cinese.
Ombre dietro i sorrisi
Nonostante le immagini di unità e amicizia, le divergenze rimangono. L’India non ha alcuna intenzione di rinunciare al dialogo con gli Stati Uniti, che restano il principale partner economico e tecnologico del Paese. Allo stesso tempo, Modi coltiva la sua partecipazione al Quad (con Usa, Giappone e Australia), visto a Pechino e Mosca come un’alleanza anti-cinese.
La Russia, pur rafforzando i legami con l’India, rimane profondamente dipendente dalla Cina, che rappresenta il suo principale mercato energetico e finanziario. E la Cina, pur corteggiando Modi, non ha rinunciato alle proprie ambizioni nell’Oceano Indiano, un’area che Nuova Delhi considera vitale per la sua sicurezza.
Dietro l’abbraccio simbolico, insomma, si nasconde un gioco complesso di equilibri, in cui ciascun attore cerca di massimizzare i propri interessi senza cedere troppo terreno.
L’eco a Washington e in Europa
La scena di Tianjin non è passata inosservata a Washington. Negli ambienti politici americani, la camminata mano nella mano tra Modi e Putin è stata interpretata come un affronto. Per molti osservatori, si tratta della prova che l’India non intende farsi trascinare in una logica di blocchi e che continuerà a perseguire la sua autonomia strategica, anche a costo di irritare l’alleato americano.
L’Europa, dal canto suo, osserva con crescente preoccupazione. Mentre Bruxelles cerca di consolidare la propria politica estera comune, la prospettiva di una saldatura tra Russia, India e Cina viene percepita come una sfida diretta all’influenza occidentale.
Non mancano però voci più caute, che invitano a leggere l’episodio come un gesto simbolico più che come un’alleanza organica. Secondo questa interpretazione, la stretta di mano non cancella le differenze strutturali tra i tre giganti asiatici e non rappresenta l’inizio di un blocco compatto.
Economia e multipolarismo
Al di là delle dinamiche politiche, la SCO si candida a diventare un motore economico. Gli accordi siglati a Tianjin spaziano dall’energia alla tecnologia, dal commercio agricolo alla cooperazione digitale. Il progetto più ambizioso resta quello delle nuove vie della seta, che Pechino cerca di rilanciare con nuove partnership, coinvolgendo anche Paesi africani e latinoamericani.
L’India, pur mantenendo alcune riserve, ha mostrato disponibilità a partecipare a progetti infrastrutturali condivisi, purché rispettino criteri di trasparenza e non si trasformino in strumenti di dipendenza finanziaria. La Russia, dal canto suo, spinge per accordi in valute alternative al dollaro, con l’obiettivo di ridurre la vulnerabilità alle sanzioni occidentali.
Se queste iniziative avranno successo, la SCO potrebbe assumere un peso crescente nell’economia mondiale, offrendo un’alternativa concreta alle istituzioni di Bretton Woods.
Le incognite del futuro
Il vertice di Tianjin ha dimostrato che il mondo sta cambiando rapidamente. Il gesto di Modi e Putin mano nella mano, con Xi come testimone, sintetizza la volontà di costruire un nuovo equilibrio globale. Ma le incognite sono molte.
Riusciranno India e Cina a superare le loro rivalità storiche? La Russia sarà in grado di sostenere un ruolo di primo piano nonostante l’isolamento dall’Occidente? La SCO potrà davvero diventare un pilastro dell’ordine internazionale, o resterà una vetrina politica priva di sostanza?
Per ora resta l’immagine: due leader che si prendono per mano, sorridendo. Ma dietro quell’immagine c’è un mondo in trasformazione, in cui i vecchi equilibri vacillano e i nuovi non sono ancora definiti.
Il linguaggio dei gesti
Nella diplomazia, spesso i gesti contano più delle parole. La camminata di Modi e Putin a Tianjin è stata uno di quei momenti in cui la simbologia diventa geopolitica. È il segno di un mondo che non vuole più vivere all’ombra di Washington e Bruxelles, ma che allo stesso tempo fatica a costruire un’alternativa stabile e condivisa.
Il multipolarismo evocato dai leader della SCO resta, per ora, un progetto in divenire. Ma la scena di Tianjin dimostra che quel progetto ha già trovato i suoi simboli e i suoi interpreti. E che l’Asia, con tutte le sue contraddizioni, è ormai il centro di gravità della politica mondiale.
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