Stretta sui visti: l’amministrazione Trump blinda il campus e la stampa estera

Washington si prepara a rivoluzionare l’approccio ai visti F, J e I, tagliando i tempi di permanenza per studenti, operatori culturali e giornalisti. Un giro di vite annunciato nella tarda estate 2025, che riflette l’orientamento deciso in materia di immigrazione dell’amministrazione Trump. L’obiettivo dichiarato è bloccare l’“abuso dei visti” e garantire un controllo più stretto sui flussi dall’estero.
Le nuove disposizioni stabiliscono limiti precisi:
- Visti F e J (studenti e programmi culturali): durata massima fissata a quattro anni, contrariamente al precedente sistema che legava la validità al corso di studi.
- Visti I (giornalisti): permanenza ridotta a 240 giorni, ulteriormente contratta a 90 giorni per i giornalisti provenienti dalla Cina. Sono previste estensioni, ma soggette a controlli più severi e vincolate alla durata effettiva dell’incarico.
La proposta è stata presentata come regolamento federale e rimarrà aperta ai commenti pubblici per 30 giorni, al termine dei quali si deciderà se adottarla in via definitiva.
Contesto e politiche collegate
Il provvedimento si inserisce in un mosaico di iniziative recenti:
- Pausa nelle nuove interviste per visti studenti e introduzione di controlli più invasivi, incluso il monitoraggio dei profili social.
- Revoca di oltre 6.000 visti studenteschi, legata in parte a reati commessi e in parte a sospetti di affiliazioni terroristiche.
- Travel ban esteso a vari Paesi, introdotto nel giugno 2025, con restrizioni collettive per l’ingresso negli Stati Uniti.
Chi sono i più colpiti?
– Studenti internazionali: circa 1,6 milioni di persone detenevano un visto F nel 2024. Gli studenti indiani rappresentano da soli oltre un quarto del totale. Per molti di loro, la riduzione della durata dei permessi rappresenta un ostacolo sia accademico che economico.
– Giornalisti stranieri: con finestre di permanenza drasticamente accorciate, soprattutto per la stampa cinese, diventa quasi impossibile garantire un lavoro di approfondimento stabile e continuativo.
– Università e centri di ricerca: gli istituti accademici americani hanno sempre beneficiato della presenza di studenti internazionali, sia sul piano culturale che finanziario. Una diminuzione delle iscrizioni avrebbe un impatto diretto sui bilanci, già messi alla prova dal calo delle immatricolazioni domestiche.
Ripercussioni e reazioni
Il mondo accademico e quello dell’informazione hanno espresso forte preoccupazione. Le associazioni universitarie parlano di un rischio concreto per la competitività scientifica e per la capacità di attrarre talenti. Le organizzazioni giornalistiche, dal canto loro, denunciano un attacco alla libertà di stampa e al diritto dei cittadini a ricevere un’informazione completa e plurale.
Sul piano politico interno, la misura ha alimentato un acceso dibattito: da un lato, chi sostiene la linea dura come strumento per garantire la sicurezza nazionale; dall’altro, chi vede un restringimento autoritario delle libertà fondamentali, in contrasto con l’immagine storica degli Stati Uniti come Paese aperto e inclusivo.
Dall’altra parte l’Amministrazione difende la misura sottolineando la necessità di:
- Controllo più stringente: fissare limiti temporali chiari consentirebbe un monitoraggio regolare delle presenze, riducendo i rischi di permanenze irregolari.
- Riduzione dei costi pubblici: secondo i promotori, gli studenti “eterni” o i giornalisti che prolungano la permanenza senza vincoli concreti graverebbero sul sistema.
- Strategia politica interna: la misura si inserisce in una visione complessiva di riforma dell’immigrazione, che punta a limitare tanto gli ingressi irregolari quanto l’immigrazione legale di lungo periodo.
Molto dipenderà dall’esito della consultazione pubblica. Università, associazioni di categoria, giornalisti e gruppi per i diritti civili stanno preparando osservazioni e ricorsi.
Nel medio e lungo termine, le conseguenze potrebbero essere profonde: un progressivo spostamento di studenti e ricercatori verso Paesi con politiche più favorevoli, e una riduzione della presenza di stampa internazionale sul territorio statunitense.
L’America rischia così di vedere intaccato uno dei suoi pilastri storici: la capacità di attrarre talenti, innovazione e racconti dal mondo. Una scelta che, se confermata, potrebbe ridefinire non solo l’immagine degli Stati Uniti, ma anche il ruolo del Paese come punto di riferimento globale in ambito culturale, scientifico e mediatico.
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